Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13446 del 20/06/2011

Cassazione civile sez. I, 20/06/2011, (ud. 28/02/2011, dep. 20/06/2011), n.13446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25971/2005 proposto da:

M.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso l’avvocato PANARITI

BENITO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLIMA Felice, APREA

ANTONIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA INTESA MEDIOCREDITO S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Via U.

DE CAROLIS 166, presso l’avvocato FOSSA’ Gianguido, che lo

rappresenta e difende., giusta procura speciale per Notaio dott.ssa

LAURA CAVALLOTTI di SESTO SAN GIOVANNI (MILANO) – Rep. n. 2.919 del

30.3.07;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FOGGIA, CURATELA

DEL FALLIMENTO M.G., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA

CORTE DI APPELLO DI BARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 886/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 19/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/02/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato FOSSA’ che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.G. propose opposizione avverso la sentenza del Tribunale di Foggia resa pubblica il 23.10.1998 con la quale, risolto il concordato preventivo con cessione dei beni omologato dal medesimo tribunale con sentenza n. 856/1987, era stato dichiarato il fallimento della impresa individuale M.. Chiedeva la revoca della sentenza e la condanna della creditrice Mediocredito del Sud s.p.a. al risarcimento dei danni, deducendo, in primo luogo, la nullità della sentenza per difetto di motivazione circa lo stato di insolvenza, quindi la illegittimità della risoluzione, per insufficienza della somma ricavata all’intero pagamento dei creditori privilegiati, del concordato preventivo con cessione dei beni “pro soluto”; inoltre eccepiva la decadenza prevista dalla L. Fall., art. 137, per la risoluzione del concordato, nonchè la mancanza del presupposto di cui alla L. Fall., art. 10, per far luogo alla sentenza dichiarativa di fallimento. Con sentenza depositata il 22.10.2001, il Tribunale di Foggia rigettava la opposizione, osservando in sintesi che l’attivo realizzato non era sufficiente ad ottenere quanto previsto nella proposta concordataria, cioè l’integrale soddisfazione dei creditori privilegiati e l’attribuzione ai chirografari del 40% degli importi loro dovuti. 2. Proponeva appello il M., riproponendo le questioni già sottoposte al tribunale. La Corte d’appello di Bari – dato atto della ininfluenza della chiusura della procedura fallimentare nel frattempo intervenuta – rigettava il gravame rilevando: a) la sussistenza dello stato di insolvenza (peraltro censurata solo genericamente dall’appellante), sia alla data di omologazione del concordato di cui l’insolvenza costituisce presupposto, sia alla data del fallimento; b) la risolubilità del concordato con cessione dei beni, atteso che nella specie la immediata liberazione del debitore al momento della cessione non era stata prevista espressamente – come necessario – nè nella proposta nè nella sentenza di omologazione, ed in tal caso la liberazione del debitore può avvenire (salva la sola deroga prevista dalla L. Fall., art. 186, comma 2, che però non toglie la necessità di integrale soddisfazione dei creditori privilegiati) solo se ed in quanto tutti i creditori, anche quelli inizialmente non interpellati, ricevano la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione come da proposta concordataria, ma tale risultato incontestatamente non era stato conseguito, essendo rimasti incapienti anche i crediti assistiti da privilegio, e d’altra parte era rimasta indimostrata la tesi dell’appellante circa la riconducibilità di tale incapienza a responsabilità del liquidatore. Rilevava infine la Corte di merito che il termine annuale previsto dalla L. Fall., art. 137, era stato rispettato non essendo ancora esaurite le operazioni di liquidazione (con l’ultimo dei pagamenti) alla data della dichiarazione di fallimento; e che anche il termine annuale di cui alla L. Fall., art. 10, era stato rispettato, dovendo esso computarsi, in caso di consecuzione di procedure concorsuali, alla data della apertura della prima procedura. 3. Avverso tale sentenza il M. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato in data 19 ottobre 2005, formulando tre motivi. Resiste la sola Banca Intesa Mediocredito s.p.a. con controricorso. Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, deve rilevarsi la inammissibilità della tardiva contestazione, espressa da Intesa Mediocredito s.p.a. nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., circa la propria legittimazione passiva per mancanza di collegamento con le società Mediocredito del Sud e Mediocredito Lombardo che hanno partecipato, rispettivamente, al giudizio di primo e secondo grado. Tale contestazione, in quanto avente ad oggetto non già la legittimazione passiva della intimata bensì la sua titolarità del rapporto controverso dal lato passivo, avrebbe dovuto essere formulata tempestivamente, nel controricorso, nel quale al contrario Intesa Mediocredito ha svolto solo difese (ancorchè generiche) nel merito del ricorso, in tal modo implicitamente confermando la sua titolarità.

2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la omessa, o quantomeno insufficiente, motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 186. Ribadisce, in primo luogo, la tesi già sostenuta nei precedenti gradi – che la corte d’appello avrebbe disatteso senza addurre alcuna migliore spiegazione o motivazione rispetto alla sentenza di primo grado-secondo la quale il concordato preventivo non poteva nella specie risolversi, avendo il debitore adempiuto all’unico adempimento posto a suo carico, cioè la cessione dei beni, in seguito alla quale egli – una volta omologato il concordato dal tribunale – era da ritenersi liberato in virtù di una vera e propria datio in solutum che in tal modo si verifica. In tal senso, sostiene che la disposizione della L. Fall., art. 186, comma 2, n. 2 – secondo la quale il concordato preventivo con cessione dei beni non può risolversi ove nella liquidazione dei beni si sia ricavata una percentuale inferiore al quaranta per cento-confermerebbe il principio della liberazione immediata del debitore al momento della cessione, sia perchè non sarebbe concessa una interpretazione restrittiva di tale norma (nel senso di ritenere risolubile il concordato ove la percentuale di soddisfazione dei chirografari risultasse irrisoria), sia perchè questa dovrebbe applicarsi anche ai creditori privilegiati. In ogni caso, sostiene che, anche seguendo la interpretazione della L. Fall., art. 186, comma 2, esposta dalla Corte (secondo la quale il concordato deve essere risolto se neppure i creditori muniti di privilegio siano stati soddisfatti), la risoluzione del concordato non avrebbe potuto essere pronunciata, se la Corte avesse valutato il fatto, che emergerebbe dagli atti, secondo cui il ricavato della liquidazione (L. 570 milioni) copriva abbondantemente l’importo dei crediti privilegiati (307 milioni).

2.1 Il motivo è privo di fondamento. 2.2 Quanto alla risolubilità nella specie del concordato preventivo, la sentenza impugnata, pur dando atto del dibattito in corso da tempo sul tema, ha rettamente applicato l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 13626/1991; n. 709/1993; n. 13357/2007; n. 7942/2010), che il collegio condivide, secondo il quale il concordato preventivo con cessione dei beni – salva previsione espressa di totale, immediata liberazione del debitore – deve essere risolto, a norma della L. Fall., art. 186, qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua naturale funzione in quanto, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, le somme ricavate dalla vendita dei beni ceduti siano insufficienti a soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati. E’ nella impossibilità, anche per cause sopravvenute, di attuare queste condizioni minime previste dalla legge fallimentare che deve ravvisarsi la ragione della risoluzione nel caso in esame, indipendentemente dalla colpa del debitore, il quale in effetti con la consegna dei beni ha esaurito la sua prestazione. Consegna che peraltro, in tale particolare modo di attuazione del concordato preventivo inquadrabile nell’ambito della normativa dettata dall’art. 1977 cod. civ., e segg., non comporta (salvo patto contrario) il trasferimento dei beni ceduti con la conseguente liberazione immediata del debitore, ma il trasferimento in favore degli organi della procedura concordataria della legittimazione (mandato irrevocabile) a disporre dei beni ceduti onde procedere alla loro liquidazione; e produce la liberazione del debitore, a norma dell’art. 1984 cod. civ., soltanto quando i creditori conseguono sul ricavato della liquidazione le somme loro spettanti. 2.3 Quanto poi al fatto che nella specie siano rimasti incapienti anche i crediti assistiti da privilegio, è sufficiente rilevare come la affermazione della corte di merito secondo la quale tale fatto risultava incontestato non sia stata fatta oggetto da parte del ricorrente di specifica censura, alla quale peraltro avrebbe dovuto aggiungersi la indicazione specifica – anch’essa omessa – del modo, del tempo e del luogo in cui tale contestazione fosse eventualmente stata espressa. Inconferenti dunque, in tale contesto, si mostrano le deduzioni contenute in ricorso circa le diverse risultanze che, in merito al fatto in questione, emergerebbero dagli atti e la omessa valutazione al riguardo da parte della corte di merito.

3. Con il secondo motivo, il M. denuncia omessa, o almeno insufficiente, motivazione su un punto decisivo della controversia nonchè violazione della L. Fall., art. 137, comma 3. Sostiene che il termine annuale, previsto da tale norma (applicabile anche al concordato preventivo), alla cui scadenza consegue la preclusione alla risoluzione del concordato, dovrebbe computarsi dall’esaurimento non già delle operazioni di liquidazione bensì delle vendite immobiliari, avvenuto nel 1991, o quantomeno dal momento in cui i creditori e gli organi della procedura hanno raggiunto la certezza della insufficienza dei beni ceduti al previsto pagamento dei crediti. Certezza che nella specie sarebbe emersa sin dal piano di riparto approntato dal Commissario Giudiziale e trasmesso ai creditori il 29 ottobre 1996; sì che in ogni caso la risoluzione del concordato, in data 23 ottobre 1998, sarebbe avvenuta oltre il termine suddetto. Osserva tuttavia il collegio che la corte di merito ha ampiamente motivato il suo convincimento in ordine alla decorrenza del termine annuale di cui all’art. 137, in mancanza nella sentenza di omologazione della fissazione di un termine per l’ultimo pagamento, dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione, e quindi dall’ultimo degli effettivi pagamenti, evento nella specie non ancora intervenuto alla data della sentenza dichiarativa di fallimento. Ha infatti ritenuto – in sintonia con la sentenza di primo grado – che la realizzazione dell’attivo (compimento delle vendite) non esaurisce il procedimento liquidatorio; che ciò del resto trova conferma nel riferimento normativo all’ultimo pagamento (ancorchè nella specie non fosse stabilito un termine per procedervi); e che peraltro la consapevolezza della impossibilità del concordato di adempiere alla sua funzione, ove mai rilevante ai fini della preclusione in esame, non poteva che essere successiva al 3 marzo 1998, atteso che sino a quella data risultano effettuati dal Commissario liquidatore tentativi di ottenere il consenso dei creditori privilegiati ad una soddisfazione in misura ridotta dei loro crediti, il che avrebbe comunque consentito di dare esecuzione al concordato evitando il fallimento. A fronte di tale motivazione congrua, logica e coerente, il ricorrente si è limitato a ribadire semplicemente le sue tesi, in tal modo sollecitando una diversa valutazione che, ove riferita alla interpretazione della norma in esame, si mostra priva di solide basi, e ove riferita alla ricognizione della fattispecie si palesa inammissibile per genericità della censura.

4. Con il terzo motivo, il M. denuncia omessa, o almeno insufficiente, motivazione su un punto decisivo della controversia nonchè violazione della L. Fall., artt. 10 e 5. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il rispetto del termine annuale di cui all’art. 10 va valutato, nel caso qui ricorrente di consecuzione (sia pure atipica) di procedure concorsuali, alla data della apertura della prima procedura. Si duole inoltre della falsa applicazione della L. Fall., art. 5, circa il momento al quale va riferito l’accertamento dello stato di insolvenza e gli elementi che lo comprovino.

Osserva il collegio che, quanto al rispetto del termine annuale previsto dall’art. 10, il ricorrente si limita a dolersi dell’omesso vaglio da parte della corte d’appello della sua tesi secondo la quale detto termine sarebbe, in caso di domanda di ammissione al concordato preventivo, sospeso e riprenderebbe a decorrere con l’esaurimento delle operazioni di liquidazione, da identificarsi sempre con il perfezionamento dell’ultima vendita (quindi nel 1991). Tesi che, al contrario, risulta motivatamente disattesa nella sentenza impugnata, la quale ha, da un lato, fatto coerente richiamo al principio di consecuzione tra procedure, dall’altro ha comunque ribadito che al momento della dichiarazione di fallimento le operazioni di liquidazione non si erano ancora concluse. Sotto entrambi i profili, peraltro non specificamente censurati, la motivazione merita condivisione. Quanto poi all’accertamento dello stato di insolvenza, rettamente la corte di merito lo ha considerato implicito nella sentenza di omologazione del concordato preventivo, trattandosi di un presupposto indefettibile di tale procedura; e, d’altra parte, merita condivisione anche la ulteriore considerazione della corte secondo la quale inconferenti si mostrano i rilievi del M. circa la capienza del valore dei beni ceduti rispetto ai debiti dell’impresa, essendo lo stato di insolvenza piuttosto collegato alla incontestata incapacità funzionale dell’impresa.

5. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione, tenuto conto sia della reciproca soccombenza sia della disputabilità della questione centrale, inerente alla risolubilità nella specie del concordato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 28 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011

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