Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13444 del 30/06/2016

Cassazione civile sez. II, 30/06/2016, (ud. 14/04/2016, dep. 30/06/2016), n.13444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26919-2011 proposto da:

M.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ZANARDELLI 23, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

DI STEFANO, rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO FERINA;

– ricorrente –

contro

L.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 25, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

ERRANTE, rappresentato e difeso dagli avvocati SALVATORE SPEDALE,

DANIELE SALADINO;

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1192/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato FEDERICO FERINA, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento delle difese in atti ed il rigetto e

l’inammissibilità delle difese di controparte;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

(Cassazione n. 2157/14) e per il rigetto della domanda del L.

ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’11 giugno 2003, L.M. conveniva in giudizio M.S. deducendo di essere proprietario di un immobile, con giardino circostante, ubicato in (OMISSIS) e rilevando, altresì, che il proprio vicino, e cioè la controparte, aveva collocato sul terrazzo e sul lastrico solare della propria unità immobiliare coperture in legno e profilati isolanti.

Nella resistenza del convenuto il Tribunale di Palermo rigettava le domande proposte dall’attore rilevando come dalle opere realizzate non discendeva la costituzione di una servitù di veduta.

Proposto gravame da parte di L., la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza impugnata disponeva la demolizione delle coperture allocate sul terrazzo e sul lastrico solare dell’immobile del convenuto, compensando le spese dei due gradi di giudizio. Osservava la corte sicula che la realizzazione delle due tettoie determinava più intense e costanti inspectio e prospectio sul fondo servente, con conseguente ampliamento della servitù di veduta preesistente.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione M.S., il quale fa valere tre motivi di impugnazione. Resiste L.M., che ha spiegato ricorso incidentale basato su un unico motivo. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo è lamentata nullità della sentenza e violazione della legge processuale in relazione all’art. 112 c.p.c.. Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata aveva pronunciato su una domanda mai proposta, così incorrendo nel vizio di ultrapetizione. Infatti l’appellante aveva lamentato la costituzione di una nuova servitù di veduta, mentre la corte di appello aveva accolto la domanda sul presupposto dell’accertato illegittimo aggravamento della servitù preesistente.

Con il secondo motivo è denunciato difetto di motivazione in relazione all’interpretazione dell’atto di appello, avendo il giudice del gravame omesso di considerare che le opere di cui si doleva controparte integravano arbitraria costituzione di una servitù di veduta e che, pertanto, l’aggravamento della servitù esulava dal thema decidendum.

I due motivi vanno esaminato congiuntamente.

Non sono fondati.

La corte di merito ha qualificato come ampliamento – è da intendere come aggravamento – della servitù la fattispecie dedotta in lite, che l’attore aveva prospettato come costituzione di nuova servitù.

Una tale attività non gli era preclusa, dal momento che compete al giudice qualificare i fatti e i rapporti allegati dalla parte. In particolare, l’applicazione del principio jura novit curia, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti: tale regola deve essere naturalmente coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 c.p.c., che viene violato quando il giudice pronuncia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato; resta, in particolare, preclusa al giudice la decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (Cass. 14 luglio 2012, n. 12943). Nella fattispecie, la corte distrettuale è pervenuta a tale qualificazione senza immutare il quadro fattuale sotteso alla domanda (l’apposizione di coperture sul terrazzo e il lastrico solare del convenuto) ed evidenziando che l’opera realizzata non determinava l’insorgenza di una servitù prima inesistente, ma il mero aggravamento di quella esistente. L’esistenza di tale servitù, può aggiungersi, era del resto implicata dalla rappresentazione in loco del terrazzo e del lastrico di cui l’odierno controricorrente ha dato atto fin dalla citazione in prime cure.

Nè potrebbe ritenersi che tale qualificazione discenda da un’erronea interpretazione della domanda e che, quindi, la sentenza sia affetta, sul punto, dal denunciato vizio di motivazione. Infatti la corte di merito si è limitata ad inquadrare la fattispecie portata al suo esame nello schema legale paradigmatico corrispondente agli elementi materiali oggetto della prospettazione. Sicchè, in definitiva, l’operato del giudice si è esaurito sul piano della mera sussunzione, senza implicare la spendita di una vera e propria attività interpretativa con riguardo alla domanda.

Vero è che l’erronea interpretazione della domanda dà vita a un vizio della pronuncia che attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass. 27 gennaio 2016, n. 1545; Cass. 22 marzo 2007, n. 7049; Cass. 31 luglio 2006, n. 17451).

Ma se l’interpretazione della domanda non ha luogo, essendo pacifico il contenuto della stessa, e si dibatte unicamente della esatta riconducibilità dei fatti dedotti dalla parte a questa o quella previsione normativa, dovrà semplicemente verificarsi se il giudice di merito abbia proceduto a una corretta qualificazione di quei fatti, su cui la domanda si fonda.

Ove, dunque, la qualificazione del giudice del merito non presupponga uno specifico accertamento della volontà della parte con riferimento alla domanda proposta, il problema di riconduzione del nucleo fattuale di questa al modello normativa ritenuto più pertinente non implica la previa risoluzione di alcuna questione interpretativa, ma si risolve in un’attività di mera sussunzione, la quale può essere denunciata, in sede di legittimità, come error in judicando in jure, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

L’esistenza o meno di tale vizio costituisce materia del terzo motivo di ricorso.

Con tale motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione agli artt. 1067, 832, 905, 906 c.c. e art. 907 c.c. e ss., contestando la carenza dei requisiti normativi per la configurazione di un ampliamento della servitù di veduta.

Sostiene in particolare che la corte territoriale aveva errato nel ritenere che l’ampliamento della suddetta servitù potesse ravvisarsi in una qualsiasi modifica dello stato dei luoghi che rendesse più agevole l’esercizio della servitù preesistente.

La censura merita accoglimento.

Infatti, non costituisce aggravamento della servitù di veduta, ai sensi dell’art. 1067 c.c., la copertura di una terrazza da cui si esercita la veduta stessa, in quanto la copertura, pur potendo consentire un uso più intenso ed assiduo del diritto, non ne amplia il contenuto essenziale, perchè lascia inalterati i limiti della inspectio e della prospectio sul fondo vicino (Cass. 21 febbraio 1995, n. 1899; Cass. 15 aprile 1982, n. 2278; in senso analogo pure Cass. 31 gennaio 2014, n. 2157, non massimata, con riferimento alla fattispecie della costruzione sul lastrico solare di vano-soggiorno chiuso e coperto, con una serie di finestre che si affacciano sul fondo confinante). Ben diversa è l’ipotesi, presa in considerazione dal giudice dell’impugnazione, ed esaminata specificamente da altra pronuncia di questa Corte (Cass. 22 maggio 1981, n. 3370; ma cfr.

pure Cass. 25 maggio 1983, n. 3613), che si concreta nell’ampliamento di aperture esistenti: e ciò proprio in quanto tale ampliamento rende più agevole l’inspicere e il prospicere in alienum, che è di contro escluso nella fattispecie che qui viene in esame.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale il controricorrente lamenta che i1 giudice dell’impugnazione avesse disposto la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio in considerazione della peculiarità della fattispecie e dell’insussistenza di specifici precedenti giurisprudenziali in materia, rilevando come non potesse ravvisarsi, nel caso in esame, la peculiarità o novità delle questioni trattate.

Il motivo è assorbito, in ragione dell’effetto della disposta cassazione.

In accoglimento del terzo motivo, la sentenza va quindi cassata e la Corte, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, rigetta le domande proposte con l’atto introduttivo del giudizio.

Segue la condanna del controricorrente, siccome soccombente, al pagamento delle spese dei tre gradi del giudizio.

PQM

LA CORTE accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigetta i primi due, dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta le domande proposte da L.M.; condanna lo stesso L. al pagamento delle spese dei tre gradi del giudizio, liquidandole come segue: Euro 2.400,00, di cui 800,00 per diritti, Euro 1.400,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, con riguardo al primo grado; Euro 2.200,00, di cui 800,00 per diritti e Euro 1.400,00 per onorari, oltre rimborso spese generali, con riguardo al giudizio di appello; Euro 2.400,00, di cui Euro 2.200,00 per compensi e Euro 200,00 per esborsi, somma da maggiorarsi con l’importo relativo al contributo unificato, per il giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016

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