Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13444 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1486-2019 proposto da:

L.R., elettivamente domiciliato presso l’avvocato MASSIMO

LONGARINI dal quale è rappresentato e difeso, con procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, in VIALE EUROPA 190,

presso lo studio dell’avvocato DORA DE ROSE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LUCIA NERI, con procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 801/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 17/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con citazione notificata il 3.9.12 L.R. citò innanzi al Tribunale di Terni Poste Italiane s.p.a., esponendo: di aver stipulato il 26.1.07 con Poste Italiane s.p.a. un contratto di conto corrente, denominato “conto Bancoposta”, presso l’agenzia di Terni, senza ricevere il documento informativo; di non aver mai ricevuto comunicazioni sullo stato di sofferenza del proprio conto; era stato pertanto iscritto al CAI e nel registro dei protesti, a sua insaputa, a causa della mancata provvista di vari assegni i cui importi non erano stati resi disponibili sul conto corrente, o resi disponibili con molti giorni di ritardo.

Alla luce di quanto esposto, l’attore chiedeva che fosse dichiarata l’illegittimità della condotta di Poste Italiane s.p.a. e del recesso ad nutum dal contratto di conto corrente, previo accertamento dell’invalidità della relativa clausola contrattuale, con la condanna della convenuta al risarcimento dei danni per i protesi elevati.

Si costituì Poste Italiane s.p.a., eccependo l’infondatezza della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda, osservando che era lecito il recesso operato da Poste Italiane s.p.a. dal contratto di conto corrente in quanto conforme alle norme contrattuali, avendo la convenuta comunicato al L. l’imminente chiusura del conto con lettera racc. consegnata l’11.2.10 e procedendo all’estinzione dello stesso conto.

Il L. propose appello avverso tale sentenza, chiedendone la riforma con accertamento della nullità del contratto di conto corrente per essere stato da lui sottoscritto al di fuori dei locali commerciali e per la mancanza dell’avviso di recesso e, in subordine, la pronuncia di risoluzione per inadempimento di Poste Italiane s.p.a. per violazione dell’obbligo d’informativa, oltre al risarcimento dei danni.

Con sentenza emessa il 17.11.18, la Corte d’appello respinse il gravame osservando che la sentenza impugnata era stata rettamente motivata, rilevando che l’appellante fu informato in ordine alla sofferenza del suo conto corrente e anche del divieto di utilizzare gli assegni, per cui Poste Italiane legittimamente aveva effettuato il recesso dal conto nel rispetto del contratto.

Il L. ricorre in cassazione con tre motivi.

Resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, avendo la Corte territoriale adottato una motivazione puramente apparente, ovvero una pura motivazione per relationem.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 111 Cost., dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver i giudici di merito ritenute legittime le comunicazioni effettuate dalla convenuta all’appellante presso un indirizzo diverso da quello indicato nel contratto.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 261 e 132 c.p.c., per non aver la Corte territoriale ammesso i mezzi di prova articolati dal ricorrente, senza nessuna motivazione.

Il primo è inammissibile. Anzitutto, va esclusa ogni ipotesi di motivazione apparente, per aver la Corte territoriale motivato su ogni questione oggetto di causa.

Inoltre, la doglianza sulla motivazione per relationem è generica. Al riguardo, va osservato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., n. 20883/19; n. 28139/18).

Nel caso concreto, la motivazione per relationem della sentenza impugnata è conforme ai criteri suddetti, esprimendo, seppure molto sinteticamente, le ragioni della conferma della sentenza impugnata attraverso un richiamo puntuale alla motivazione a sostegno della sentenza di primo grado.

Il secondo motivo è inammissibile perchè diretto al riesame dei fatti ed a provocare la revisione delle decisioni istruttorie, senza in concreto allegare alcuna violazione della regola di giudizio invocata.

Del pari, incensurabile in questa sede è la doglianza afferente alla ritenuta inammissibilità delle istanze istruttorie dedotte in primo grado in quanto irrilevanti, avendo la Corte territoriale considerato che la causa fosse decidibile sulla base dei documenti prodotti. Inoltre, il ricorrente non ha trascritto i capitoli delle prove testimoniali articolate che sarebbero rilevanti ai fini della decisione, precludendo al collegio ogni valutazione circa la rilevanza dei mezzi istruttori, la cui mancata ammissione può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass., n. 16214/19).

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di 4100,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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