Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13444 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 03/06/2010), n.13444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27371-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, viale Mazzini 134, presso

lo studio dell’avv. FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’Avvocato TOSI PAOLO, per procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato BONINO GIOVANNI per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1497/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 5/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21.04.2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito l’Avvocato FIORILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Biella veniva dichiarata, a decorrere dal 28.6.99, la nullità dell’apposizione del termine all’assunzione di C.M. alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., disposta ex art. 8 del ccnl 26.11.94, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Proposto appello da Poste Italiane s.p.a., la Corte d’appello di Torino con sentenza 30.9-5.10.05 accoglieva parzialmente l’impugnazione.

Rilevava la Corte di merito che, pur nel sistema creato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.9.97, Poste Italiane avrebbe comunque dovuto dar prova delle particolari esigenze, diverse dalla mera attuazione del processo di ristrutturazione, precisandone la natura e la collocazione spazio-temporale, in modo da consentire la verifica della rispondenza dell’assunzione alle esigenze in questione; confermava, pertanto, la nullità dell’apposizione del termine.

Accoglieva, invece, l’impugnazione in punto di conseguenze economiche della dichiarazione di nullità e fissava la decorrenza dell’obbligo di corrispondere la retribuzione a titolo di risarcimento al momento della notifica della richiesta del tentativo di conciliazione.

Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui l’intimata rispondeva con controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato, anche se per motivazione diversa da quella adottata dal giudice di merito.

Con il primo articolato motivo Poste Italiane s.p.a. deduce violazione della L. n. 230 del 1962, della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dell’art. 1362 e segg. c.c., nonchè carenza di motivazione, sostenendo che la sentenza si fonderebbe sull’erronea convinzione che detto art. 23 non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti le assunzioni a termine collegate a situazioni tipicamente aziendali, non direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., nonchè carenza di motivazione, in quanto il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione dell’ultimo rapporto a termine stipulato con Poste Italiane ((OMISSIS)) e la proposizione del tentativo di conciliazione (19.2.02) indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che la prolungata inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto.

Il secondo motivo, da trattare preliminarmente per ragioni di consequenzialità logica, è infondato alla luce della giurisprudenza di legittimità (v. tra le tante Cass. 17.12.04 n. 23554, 28.9.07 n. 20390, 10.11.08 n. 26935).

E’ stato, infatti, affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la con figurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

Nel caso di specie il giudice di merito – confermando sul punto la sentenza di primo grado che aveva ritenuto non significativo il lasso di tempo trascorso tra cessazione dell’ultimo rapporto e la proposizione della domanda – sostiene che lo spazio temporale intercorso non può essere considerato indice della volontà di porre fine al rapporto, procedendo quindi ad una valutazione di merito che appare congruamente articolata. E’ esclusa pertanto da un lato la censurabilità della motivazione in sede di legittimità e, dall’altro, è posta in evidenza la mancanza di altre circostanze (la cui prova era a carico del datore di lavoro) che possano qualificare nel senso di inerzia colpevole il comportamento della lavoratrice.

Il motivo è, pertanto, infondato.

Quanto al primo motivo, premesso in fatto che il contratto a termine di cui si discute risulta stipulato per il periodo (OMISSIS) ex art. 8 del ccnl 26.11.94, come integrato dall’accordo 26.9.97, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione ecc.”? a detto motivo può rispondersi come segue.

La giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.

In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulami avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Conseguentemente, in relazione alla fattispecie in esame, i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo- collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

Considerato che nel caso di specie il contratto a termine risulta stipulato per il periodo (OMISSIS), all’esito di questa disamina, deve affermarsi che la contrattazione collettiva non consentiva la stipulazione del contratto de quo.

In conclusione il ricorso è infondato e la pronunzia impugnata, seppure per le ragioni sopra esposte, diverse da quelle indicate dal giudice di merito, deve essere confermata.

Rigettato il ricorso, le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente Poste Italiane s.p.a. alle spese, che liquida in Euro 33,00 per esborsi ed in Euro 2.000 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

 

 

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