Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13441 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 01/07/2020), n.13441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11618-2019 proposto da:

L.S., in proprio e quale erede di C.F.,

entrambi in proprio e quali eredi – rispettivamente fratello e madre

– di L.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

BALENIERE N. 92 SC. B, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTA DE

JULIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO

CARMELO MARIA IMPELLUSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso I’AWOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 107/2018 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata

il 15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RUBINO

LINA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Ricorre L.S. nei confronti del Ministero della Salute, impugnando direttamente la sentenza di primo grado, n. 107/2018, resa dal Tribunale di Trieste, avendo la Corte d’Appello di Trieste, con ordinanza n. 54/2019, notificata l’8.2.2019, dichiarato inammissibile ex artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. l’appello dell’odierno ricorrente.

2. A quanto è dato comprendere dalla lacunosa ricostruzione in fatto, diversi soggetti proponevano un giudizio di responsabilità da contagio di HIV nei confronti del Ministero della Salute; in quel giudizio intervenivano anche L.S. e la madre, poi mancata ai vivi, C.F., in relazione al danno subito dal defunto L.R., fratello del ricorrente. La domanda era accolta con sentenza del Tribunale di Roma del 2005 di condanna generica, passata in giudicato in quanto la successiva impugnazione del Ministero è stata dichiarata inammissibile nei loro confronti per omessa notifica dell’appello.

3. Gli attori agivano quindi davanti al Tribunale di Trieste per la quantificazione del danno ed il Ministero eccepiva in compensazione quanto corrisposto a titolo di indennizzo ex lege n. 210 del 1992. Il Tribunale di Trieste quantificava le somme dovute, detratte le somme già percepite a titolo di indennizzo.

4. I L. e C. proponevano appello, affermando di aver percepito una somma una tantum L. n. 210 del 1992 ex art. 2, comma 3, in relazione al danno iure proprio subito, e che pertanto tale importo non potesse essere scomputato dall’importo liquidato dal Tribunale di Trieste al diverso titolo di risarcimento del danno iure hereditatis.

5. L’ordinanza della Corte d’appello qui impugnata ha dichiarato inammissibile l’impugnazione perchè afferma che la questione della cumulabilità o meno di quanto già corrisposto a titolo di indennizzo con quanto da percepire a titolo di risarcimento del danno sia già stata decisa con la sentenza del 2005 relativa all’an, passata in giudicato.

5. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria della inammissibilità dello stesso.

6. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.

7. Il Ministero della salute non ha svolto rituale attività difensiva in questa sede, tale non potendo qualificarsi lmatto di costituzione”, depositato in cancelleria il 24 maggio 2019, non notificato e privo di alcun contenuto argomentativo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il Collegio (tenuto conto anche delle osservazioni contenute nella memoria di parte ricorrente), condivide le valutazioni contenute nella proposta del relatore nel senso della inammissibilità del ricorso.

2. Il ricorso non riproduce i motivi di appello ed in quanto tale non rispetta i parametri di ammissibilità della impugnazione avverso i provvedimenti ex artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., indicati da Cass. n. 19060 del 2016 (enunciati già da Cass. nn. 6279 e 9241 del 2015, o da Cass. Sez. U. n. 10876 del 2015), che enuncia il principio secondo il quale il ricorso per cassazione per cassazione avverso la sentenza di primo grado, previsto dall’art. 348-ter c.p.c., comma 3, ha natura ordinaria e, in quanto tale, deve contenere, a pena di inammissibilità, “l’esposizione sommaria dei fatti di causa”, prevista dall’art. 366 c.p.c., n. 3), da intendersi come esposizione dei fatti sostanziali oggetto della controversia e di quelli processuali relativi al giudizio di primo e di secondo grado, e dunque le domande ed eccezioni proposte innanzi al giudice di prime cure e non accolte o rimaste assorbite, oltre agli elementi che evidenzino la tempestività dell’appello e i motivi su cui esso era fondato: esso non riproduce infatti i motivi di appello e la stessa esposizione dei fatti è assai lacunosa e inidonea ad una piena comprensione della vicenda.

2. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

3. Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto rituale attività difensiva in questa sede.

4. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 e il ricorrente risulta soccombente; pertanto, egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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