Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13440 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 03/06/2010), n.13440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, VALENTE NICOLA, giusta delega in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

MARCORA 18/20, presso UFFICIO LEGALE CENTRALE PATRONATO A.C.L.I.,

rappresentato e difeso dall’Avvocato FAGGIANI GUIDO, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1047/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/12/2006 R.G.N. 940/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso dell’INPS.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato il 29.6.2005 C.I. proponeva appello contro la sentenza del tribunale dell’Aquila del 30 giugno 2004 n. 272 con la quale era stata respinta la sua domanda diretta ad ottenere la condanna dell’Inps a corrisponderle l’assegno ordinario di invalidità. Rilevava che il CTU di primo grado, nel redigere la relazione, era incorso in evidente errore nel valutare le risultanze istruttorie e cliniche e, in particolare, la gravità della sua patologia, che la rendeva inabile all’esercizio di qualsiasi tipo di attività, anche sedentaria, per le coliche e l’incontinenza urinaria che comportava. Rilevava che le patologie che l’affliggevano la rendevano invalida dalla data della domanda amministrativa e concludeva chiedendo che l’Istituto previdenziale fosse condannato all’erogazione della corrispondente prestazione sin dalla domanda stessa, con vittoria delle spese del doppio grado del giudizio, da distrarsi.

L’Inps si costituiva in giudizio e concludeva per il rigetto dell’appello.

Disposta ed espletata CTU medico legale, l’adita Corte d’Appello di L’Aquila – Sezione Lavoro – con sentenza 23.11.2006 – 7.12.2006, notificata il 7.2.2007, ha accolto l’appello condannando l’I.N.P.S. a corrispondere all’appellante l’assegno ordinario di invalidità a decorrere dall’1.7.2002, oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo.

La Corte di Appello di L’Aquila ha riconosciuto il diritto della Sig.ra C. all’assegno ordinario di invalidità sulla base della valutazione medico-legale effettuata dal CTU nominato nel giudizio d’appello, valutazione che la Corte ha espressamente affermato di condividere.

In particolare, il CTU di secondo grado aveva espresso il seguente parere: “Si ritiene che, dato il tipo di lavoro della paziente, le condizioni generali della stessa e le patologie in causa, la sua capacità lavorativa sia ridotta a meno di un terzo rispetto alla normalità, almeno a far data dall’ultimo ricovero in Nefrologia ( (OMISSIS), diagnosi di dimissione: malattia del giunto pielo- ureterale)”.

La Corte di merito, aderendo a tali conclusioni, ha osservato che il CTU aveva evidenziato come la C. soffriva da molti anni di patologie dell’apparato urinario con frequenti ripetuti episodi di infezione urinaria che l’avevano portata anche a due ricoveri in ambiente specialistico, dovendosi considerare anche l’associazione con la discopatia L5-81, con sintomi costantemente ingravescenti negli anni. Ha quindi concluso che, considerato il tipo di lavoro della C., le sue condizioni generali e le patologie in questione, la sua capacità lavorativa era ridotta a mano di un terzo rispetto alla normalità almeno a far data dall’ultimo ricovero in Nefrologia ((OMISSIS)).

2. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di L’Aquila l’I.N.P.S. propone ricorso per cassazione con due motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

1.1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1.

Sottolinea che il c.t.u. ha affermato l’invalidità della C. avendo come riferimento solo l’attività lavorativa svolta dalla medesima omettendo di compiere una compiuta indagine sulle occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurata come prescritto dalla legge. La Corte di Appello, condividendo e facendo proprio il parere del Consulente d’Ufficio, avrebbe violato la L. n. 222 del 1984, art. 1 che dispone che la riduzione in modo permanente della capacità di lavoro a meno di un terzo debba essere accertata con riguardo non solo all’attività svolta dall’assicurato (capacità specifica) ma anche a tutte le “occupazioni confacenti alle sue attitudini”(capacità semi-specifica). L’Istituto ricorrente ha quindi formulato il seguente quesito di diritto: Dica la Suprema Corte “se, in tema di riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità previsto dalla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1 la valutazione della sussistenza della riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro deve essere effettuata avendo riguardo solo al lavoro di fatto esplicalo oppure a tutti i lavori che l’assicurato per condizioni fisiche, preparazione culturale ed esperienze professionali sia in grado di svolgere”.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata per non aver considerato la mancanza, nella relazione del consulente tecnico, della doverosa indagine sulle “occupazioni confacenti alle attitudini” dell’assicurata.

2. Il ricorso – i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

E’ vero che la L. n. 222 del 1984, art. 1 fa riferimento alla riduzione in modo permanente a meno di un terzo della “capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle … attitudini” di chi chiede l’assegno ordinario di invalidità. Ma le censure dell’INPS, secondo cui il riferimento del c.t.u. sarebbe stato alla sola capacità lavorativa specifica, è generico perchè da una parte ciò non risulta dalla sentenza impugnata; d’altra parte l’INPS, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, non indica i passaggi della relazione tecnica da cui si possa inferire questa limitazione.

Pertanto il quesito di diritto, sopra riportato, è astratto ed inidoneo ad inficiare l’impugnata sentenza, essendo certamente vero – in punto di diritto – che ciò che rileva è la riduzione della capacità di lavoro generica e non già solo quella specifica, ma nulla autorizza a dubitare che il c.t.u. abbia correttamente utilizzato il primo parametro legale e non già il secondo.

Generica, e quindi inammissibile, è poi la censura di vizio di motivazione.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna dell’Istituto ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna l’Istituto ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 15,00 per esborsi, oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorario d’avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali con distrazione in favore dell’avv. Guido Faggiani dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

 

 

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