Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13434 del 30/06/2016


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Cassazione civile sez. I, 30/06/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 30/06/2016), n.13434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 16474/2009 proposto da

COMUNE DI VILLAFRANCA TIRRENA, (c.f. (OMISSIS)), in persona del

sindaco p.t. L.T.P. G., autorizzato a stare in giudizio con

Delib. della G.M. n. 54 del 16.4.2009, rapp.to e difeso per procura a

margine del ricorso dall’avv. Giovanni Caruso, presso il quale

elettivamente domicilia in Roma alla v. Rimini n. 14, scala B;

– ricorrente –

contro

L.R.F., (c.f. (OMISSIS)), rapp.to e difeso per

procura a margine del controricorso dall’avv. Basilio Librizzi, con

il quale elettivamente domicilia presso lo studio dell’avv. Olga

Geraci, in Roma alla v. Della Giuliana n. 85;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 265/08 della Corte d’appello di Messina,

depositata il 19 maggio 2008;

Sentita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 22 marzo 2016 dal relatore dr.ssa Maria Cristina Giancola;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del febbraio 1999 L.R.F. conveniva innanzi al tribunale di Messina il Comune di Villafranca Tirrena, domandando la condanna al risarcimento del danno in base a quattro riserve ritualmente formulate e deducendo di aver stipulato con l’ente convenuto un contratto di appalto – avente ad oggetto la realizzazione di una strada comunale – che non aveva avuto regolare esecuzione a causa di reiterati ritardi imputabili al committente.

Nel contraddittorio con l’ente convenuto, il quale deduceva tra l’altro che la sospensione era legittima e dunque, in mancanza di una domanda di scioglimento del contratto, all’attore non spettava alcun indennizzo, il tribunale, con ordinanza pronunciata ex art. 184 quater c.p.c., accoglieva la domanda e condannava il Comune al pagamento della somma di Euro 100.211,72, oltre interessi e rivalutazione. In sede di gravame l’ente appellante, contestando la legittimità dell’ordinanza ex art. 186 quater e ribadendo l’eccezione di incompetenza del tribunale in ragione di una clausola compromissoria contenuta nel contratto, nel merito affermava la piena legittimità della sospensione dei lavori e dunque, non avendo l’appaltatore richiesto lo scioglimento del contratto, concludeva per l’insussistenza del diritto al risarcimento dei danni.

La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 19 maggio 2008, rigettava l’appello principale ed accoglieva parzialmente quello incidentale, diretto a conseguire una rideterminazione del tasso degli interessi moratori sulle somme riconosciute in primo grado.

In particolare, quanto alle ragioni del rigetto dell’appello principale, la Corte territoriale osservava che nel caso in esame i lavori erano stati sospesi tra il 1993 ed il 1995 a causa della mancanza della concessione per la realizzazione di un ponte sull’alveo di un torrente (i lavori vennero ripresi solo a seguito della concessione all’occupazione rilasciata dall’Intendenza di Finanza nel 1995 e furono completati nel 1996); tale sospensione, dunque, doveva considerarsi illegittima, con conseguente diritto dell’appaltatore al risarcimento del danno, atteso che – da un lato –

il Comune avrebbe dovuto conferire l’appalto solo dopo il conseguimento delle autorizzazioni necessarie e – dall’altro – che nel corso del periodo di sospensione il Comune non si era in nessun modo attivato per sollecitare l’amministrazione competente al rilascio del provvedimento. Avverso tale sentenza il Comune di Villafranca Tirrena ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. L.R.F. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 30 del Capitolato Generale di Appalto, approvato con D.P.R. n. 1063 del 1962, sostenendo che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto, qualificando illegittima la sospensione, di non poter ricondurre il caso in esame a quelle ipotesi speciali idonee a qualificare, secondo la normativa in oggetto, come legittimo l’ordine di sospensione dei lavori (cause di forza maggiore o stato di necessità). Viene dunque formulato il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. se il ritardo nella concessione di un’autorizzazione da parte della P.A., necessaria per l’esecuzione di un’opera pubblica, possa considerarsi realmente un fatto usuale e prevedibile, sì da non potersi annoverare tra le cause di forza maggiore (o tra le altre circostanze speciali o nello stato di necessità) e dunque valere come motivo di legittima sospensione dei lavori, allorchè il committente abbia richiesto tale autorizzazione ben prima della stipulazione del contratto. In tal senso andrebbe vieppiù considerato lo stesso comportamento dell’appaltatore che – da un lato – era ben consapevole fin dall’inizio della mancanza dell’autorizzazione e – dall’altro – ha omesso a sua volta di attivarsi per sollecitare (sia pure indirettamente presso il committente) il rilascio del provvedimento.

Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, avendo la Corte territoriale omesso di pronunciare riguardo alla rilevanza della posizione dell’appaltatore, atteso che i fatti, considerati significativi per fondare il giudizio di colpa nei riguardi del Comune (ossia la prevedibilità del ritardo nel rilascio dell’autorizzazione e l’omesso svolgimento di qualsiasi attività sollecitatoria nei riguardi dell’ente preposto al rilascio), erano sostanzialmente comuni anche all’appaltatore. Dunque, secondo il ricorrente, la motivazione sarebbe carente e contraddittoria atteso che la Corte territoriale avrebbe addebitato tali circostanze solo al Comune e non anche all’appaltatore.

Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. atteso che, pur volendo ritenere la sospensione illegittima, la Corte, nel quantificare il danno, avrebbe dovuto limitare la responsabilità risarcitoria del Comune, atteso che la sospensione era ascrivibile a fatti prevedibili, notori e comuni anche all’appaltatore.

I tre motivi possono essere congiuntamente esaminati imponendo in ogni casi di verificare se possa rientrare nel concetto di forza maggiore (o tra le altre specifiche ragioni indicate dall’art. 30 del capitolato generale di appalto, idonee a giustificare l’ordine di sospensione dei lavori da parte del Comune), la mancanza dell’autorizzazione amministrativa, ad opera dell’autorità preposta al demanio, necessaria per la realizzazione di un ponte previsto dal progetto ed in che misura possa incidere al riguardo il fatto che l’omissione o il ritardo nel rilascio di detta autorizzazione costituisse una circostanza prevedibile, nota e comune anche all’appaltatore.

Sul punto giova ricordare come la disposizione richiamata preveda che la sospensione sia legittimamente disposta in presenza di cause di forza maggiore, di condizioni climatiche o di ragioni di pubblico interesse o di necessità; in tali ultimi due casi, qualora la sospensione superi i termini di legge (“un periodo di tempo che, in una sola volta, o nel complesso se a più riprese, non superi un quarto della durata complessiva preveduta per l’esecuzione dei lavori stessi, e mai per più di sei mesi complessivi”), l’appaltatore può domandare lo scioglimento del contratto o il risarcimento del danno (per gli oneri derivanti dal prolungamento della sospensione) qualora l’amministrazione si opponga allo scioglimento.

Con riferimento al caso in esame la Corte territoriale, partendo dall’assunto che il principio che subordina il diritto al risarcimento del danno alla previa istanza di scioglimento non trovi applicazione nell’ipotesi di sospensione illegittima (nel qual caso l’appaltatore ha pieno titolo per conseguire il risarcimento del danno subito per l’indebita interruzione dei lavori), ha qualificato come illegittima la sospensione disposta dal Comune.

Tale sospensione, infatti, venne disposta, come sopra ricordato, a causa dell’omesso rilascio dell’autorizzazione amministrativa, ad opera dell’autorità preposta al demanio, necessaria per la realizzazione di un ponte progettualmente previsto.

La Corte territoriale ha osservato in proposito che, sebbene il Comune avesse presentato l’istanza per l’ottenimento di tale concessione 18 mesi prima del conferimento dell’appalto, nondimeno sono ravvisabili nei suoi riguardi profili di colpa atteso che – da un lato – il Comune avrebbe dovuto astenersi dal conferire l’appalto in assenza della necessaria autorizzazione (essendo notorio, a detta della Corte, che nel nostro paese il completamento di una pratica amministrativa richiede talora tempi abnormi) e – dall’altro – che non risulta che nel corso del periodo di sospensione il Comune si sia mai attivato al fine di sollecitare l’amministrazione competente al rilascio della concessione.

Rispetto a tale ricostruzione, la prospettazione introdotta dal ricorrente, secondo la quale l’applicazione dell’art. 30 cit. non sarebbe esclusa allorchè il committente abbia richiesto ben prima della stipulazione del contratto siffatta autorizzazione, tanto più che lo stesso appaltatore era ben consapevole fin dall’inizio della mancanza del provvedimento, omettendo a sua volta di attivarsi per sollecitare il rilascio dello stesso, è destituita di fondamento.

Come recentemente statuito da questa Corte, infatti, l’evento che abbia inciso sull’operatività di un atto indispensabile per la realizzazione dell’opera commissionata non integra automaticamente una causa di forza maggiore, idonea a giustificare l’applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30 “occorrendo a tal fine che l’amministrazione committente, tenuta ad assicurare all’appaltatore la possibilità giuridica e materiale di compiere i lavori affidatigli, dimostri la propria assenza di colpa, riguardo alla determinazione dell’evento che abbia reso impossibile la prestazione, provando che le cause non erano ad essa imputabili, o comunque non erano prevedibili o evitabili, alla stregua dello sforzo dovuto secondo l’ordinaria diligenza” (Cass. civ. n. 16368 del 2014).

Dunque, proprio la valorizzazione del dovere dell’amministrazione committente di assicurare la possibilità giuridica dell’opera e dunque la necessità di dimostrare la propria assenza di colpa, impone di ritenere corretta la ricostruzione operata dalla Corte territoriale, non potendosi ricondurre al concetto forza maggiore (nè nell’ambito dello stato di necessità, nè tra le circostanze specifiche enunciate dall’art. 30 cit.) il mancato compimento di un atto o la mancata verificazione di un fatto riconducibile ad una carenza preesistente rispetto alla stipula del contratto, atteso che la diligenza in tal caso richiesta all’unico soggetto tenuto ad assicurare la possibilità giuridica dell’opera deve estendersi, proprio al fine di conservare integre le ragioni della controparte, fino al punto di astenersi dalla stipula del contratto, una volta rilevata l’impossibilità di assolvere a tale dovere.

In tale prospettiva, dunque, a nulla rileva la circostanza che l’appaltatore conoscesse o potesse conoscere l’originaria mancanza dell’autorizzazione e non abbia a sua volta segnalato al committente la necessità di sollecitarne il rilascio, non venendo certamente in rilievo circostanze idonee ad escludere o affievolire il giudizio di colpa formulato a carico dell’unico soggetto tenuto a procurare l’autorizzazione, cioè a carico del Comune, nemmeno potendosi d’altronde trascurare il fatto che la questione del concorso di colpa del danneggiato (sostenuto dal ricorrente invocando il disposto dell’art. 1227 c.c.), introdotta per la prima volta solo in sede di legittimità, avrebbe dovuto essere fatta valere nel giudizio di appello quale motivo di doglianza rispetto alla sentenza di condanna pronunciata in primo grado.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto con condanna del soccombente Comune di Villafranca Tirrena al pagamento in favore di L.R.F. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna il Comune di Villafranca Tirrena al pagamento, in favore di L.R.F., delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.000,00 per compenso ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016

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