Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13434 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 01/07/2020), n.13434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33284-2018 proposto da:

C.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARNABA

TORTOLINI 30, presso lo STUDIO LEGALE PLACIDI SNC, rappresenta e

difesa dell’avvocato ERNESTO PENSATO;

– ricorrente –

contro

IMPRESA EDIL DI L.O. & F.LLI SNC, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO FALVO D’URSO, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIANGREGORIO DE PASCALIS;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 20724/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 13/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI

MILENA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Nel procedimento definito con ordinanza della Seconda Sezione civile, 13 agosto 2018 n. 20724, questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da C.A.R. avverso la sentenza n. 1284 del 2013, con cui la Corte di appello di Bari aveva rigettato l’impugnazione interposta dalla medesima ricorrente avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Trani n. 112 del 2005, che aveva – a sua volta – dichiarato inammissibile l’opposizione proposta dalla Canessa avverso il decreto ingiuntivo di 125.036.007 intimato dalla Impresa Edil di L.O. & F.lli s.n.c. quale compenso per l’esecuzione di lavori di appalto per tardività non ricorrendo le condizioni di cui all’art. 650 c.p.c..

Ha premesso questa Corte che pur vero che la Corte di appello aveva affermato che la indispensabilità dei documenti non poteva costituire parametro per superare le preclusioni già maturate in primo grado, senza tenere in alcun conto la pronuncia delle Sezioni Unite n. 10790 del 2017 che aveva rimeditato l’originario orientamento in materia, tuttavia la medesima corte distrettuale aveva effettuato siffatta valutazione ritenendo i documenti prodotti con l’atto di appello non indispensabili e tale statuizione non era stata oggetto di specifica di critica in quanto l’appellante non aveva censurato con apposito motivo la parte della sentenza del Tribunale che aveva ritenuto sufficiente a perfezionare l’iter notificatorio l’invio della racomandata di cui all’art. 140 c.p.c. “posizione non più sostenibile alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 3/2010, ma attaccata dall’appellante solo con la memoria di replica e pertanto da ritenersi ormai preclusa dal formarsi del giudicato interno.

Avverso siffatta decisione la C. ha proposto, con ricorso notificato il 14 novembre 2018, revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, affidato a due motivi, per essere la sentenza impugnata – a suo avviso – affetta da errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa.

L’intimata Impresa Edil di L.O. & F.lli s.n.c. ha resistito con controricorso.

Dovendo avvenire la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., giusta l’art. 391-bis c.p.c., comma 3, nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati ai difensori delle parti.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Il collegio ritiene di condividere la proposta del relatore.

Con il primo motivo di doglianza la ricorrente lamenta che la Corte abbia dato per acclarato che l’iter notificatorio ex art. 140 c.p.c. era perfezionato, non essendo sufficiente a tal fine il mero invio della raccomandata informativa ivi prevista e ciò a mente della sentenza n. 3 del 2010 della Corte costituzionale. Aggiunge la ricorrente che con l’ordinanza impugnata sarebbe stato rigettato de facto il ricorso sulla scorta della mancata proposizione in sede di appello dello specifico motivo di gravame avente ad oggetto la censura avverso la statuizione del Tribunale circa la sufficienza dell’invio ai fini del perfezionamento dell’inter notificatorio.

Con il secondo mezzo – ad abundantiam – la ricorrente denuncia l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di Cassazione sulla anteriorità cronologica dell’appello rispetto alla sentenza n. 3/2010 della Corte costituzionale, ragione per la quale siffatto specifico motivo di impugnazione avrebbe potuto essere eccepito anche per la prima volta innanzi alla Suprema Corte.

Entrambe le censure – da trattare congiuntamente per la evidente connessione delle argomentazioni con le stesse coltivate tutte collegate alla ritualità del procedimento notificatorio – sono prive di pregio.

Infatti l’oggetto della revocazione attiene alla mancata applicazione alla controversia in esame dell’interpretazione secundum costitutionem dell’art. 140 c.p.c. di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, rilevando la ricorrente che a fronte di siffatta statuizione la Corte di legittimità in facto avrebbe rigettato il ricorso e ciò in contrasto “con la realtà documentale sotto il profilo giuridico”.

In realtà l’odierna domanda di revocazione denuncia sostanzialmente un preteso errore di giudizio.

L’art. 391-bis c.p.c. stabilisce che “Se la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta LI da errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), la parte interessata può chiederne (…) la revocazione”. Quest’ultima disposizione prescrive che “Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione (…) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa” e precisa che “Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso, se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (vedasi tra le tante Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2017, n. 30994 e cent. ivi cit. a p. 3.4; conf. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2017, nn. da 30995 a 30997). Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perchè siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto.

In sintesi estrema la combinazione dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4), non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione. Sicchè non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione.

Inoltre, quanto all’effettività della tutela giudiziaria, anche la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonchè l’ordinata amministrazione della giustizia (Corte giust., 03/09/2009, Olimpiclub; 30/09/2003, Kobler; 16/03/2006, Kapferer; conf. Corte EDU, 28/07/1998, Omar c. Francia; 27/03/2014, Erfar-Avef c. Grecia; 03/07/2012, Radeva c. Bulgaria); il che convalida il contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di “sviste” o di “puri equivoci” senza che rilevino a pretesi errori di valutazione (Corte Cost. n. 17 del 1986; Corte Cost. n. 36 del 1991; Corte Cost. n. 207 del 2009).

Dunque le interpretazioni letterale e sistematica, ma pure quelle costituzionalmente e convenzionalmente orientate, dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4), portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali), oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia, rispondendo la “non ulteriore impugnabilità in generale” all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass. 29 aprile 2016 n. 8472). Il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l’inammissibilità di ogni censura ivi non compresa (Cass. 7 maggio 2014 n. 9865).

Nella specie, la ricorrente assume che la Corte, nella decisione dall’esito per lei negativo, avrebbe ritenuto non proposto in appello il motivo circa il momento di perfezionamento del procedimento di notificazione del decreto ingiuntivo intimato, soprattutto quanto al regime degli atti processuali da applicarsi.

Il che significherebbe, a suo dire, che la Corte, nella revocanda sentenza, sarebbe incorsa in errore giacchè avrebbe dovuto esaminare il gravame sulla tempestività dell’opposizione proposta.

Però, se questa è la interpretazione del proprio assunto dato dalla stessa difesa della ricorrente, è del tutto evidente che manca la deduzione di un qualsivoglia errore di fatto, proponendosi solo pretesi errores in iudicando e in procedendo estranei al perimetro del rimedio revocatorio.

E d’altra parte con i due motivi del ricorso per cassazione la C. – cui la ordinanza oggi impugnata ha dato puntuale risposta – non ha chiarito come avrebbe in appello posto la critica preliminare alla statuizione del giudice di prime cure sulla ritenuta tardività dell’opposizione al decreto ingiuntivo intimato, ma la diversa questione della indispensabilità della documentazione prodotta solo in appello, per cui la censura non riguarda la ‘percezionè del dato processuale da parte del giudice (che ne ha fatto un apposito esame: v. pagg. 4 e 5 dell’ordinanza), ma un errore valutativo. Del resto con il termine “attaccata dall’appellante” (di cui all’ultima parte del secondo capoverso della pag. 4) l’ordinanza impugnata ha inteso chiarire che la C. non avesse posto con l’atto di appello in modo specifico la questione del perfezionamento dell’iter notificatorio dell’invio della raccomanda ai sensi dell’art. 140 c.p.c., introdotta e sviluppata solo con la memoria di replica.

E d’altro canto lo stabilire, poi, se quei motivi di ricorso siano stati bene o male qualificati e decisi è questione non più prospettabile in questa sede, per la superiore volontà della legge.

Ciò comporta l’inammissibilità del ricorso per revocazione in esame.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

Vertendosi in ipotesi di giudizio di revocazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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