Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1343 del 19/01/2017


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Cassazione civile, sez. I, 19/01/2017, (ud. 07/12/2016, dep.19/01/2017),  n. 1343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – rel. Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.P.S., rappr.to e difeso dall’avv. Pieremilio

Sammarco, elett. dom. presso il suo studio in Roma, via Muzio

Clementi n. 48, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.B. e S.P.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza resa dalla Corte di appello di

Catanzaro, 1^ sezione civile, n. 151/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 7 dicembre 2016 dal Presidente relatore dott. Aniello Nappi;

udito l’avvocato Valentina Corbeddu per delega per il ricorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. S.P. ha convenuto B.B. dinanzi al Tribunale di Paola e ne ha chiesto condanna al pagamento della somma di Lire 25.850.148, con accessori e spese.

A fondamento della domanda l’attore ha sostenuto di aver avallato sei cambiali emesse dal B. in favore della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., cambiali che il B. non aveva onorato, sicchè la banca aveva ottenuto il pagamento da parte di esso avallante.

B.B. ha resistito alla domanda, assumendo di aver incaricato tale A.P., suo debitore di un maggior importo in forza di un distinto rapporto (e cioè la cessione da parte sua di quote di una Srl), di estinguere il debito cambiario, cosa che questi gli aveva comunicato di aver fatto, sostenendo altresì di aver versato su un libretto di deposito, che tuttavia non gli aveva consegnato, l’importo ancora a suo credito.

Su tali premesse il B. ha chiesto ed ottenuto autorizzazione a chiamare in causa A.P. perchè, ove fosse risultato che non aveva estinto il debito cambiario, contrariamente a quanto dal medesimo affermato, fosse condannato a pagare direttamente all’attore S.P. la somma oggetto della domanda e fosse altresì condannato a pagare ad esso B. il residuo credito di sua spettanza.

A.P., dopo aver dedotto l’inammissibilità della chiamata, ha contestato il merito dell’avversa pretesa, formulando eccezione di prescrizione del credito vantato nei suoi confronti dal B. ai sensi dell’art. 2949 c.c.

p. 2. – Il Tribunale, dichiarata in sentenza l’inammissibilità della chiamata in causa dell’ A., ha condannato il B. al pagamento della somma richiesta dal S. e regolato le spese di lite.

p. 3. – Appellata la sentenza dal B., nel contraddittorio del S. e nella contumacia dell’ A., la Corte d’appello di Catanzaro con sentenza del 5 marzo 2012, confermata la condanna del B. a pagare al S. la somma da questi originariamente richiesta, ha condannato A.P. al pagamento in favore dello stesso S. e nell’interesse del B. della somma di Euro 13.350,54 nonchè, in favore del B., della somma di Euro 2.143,17, oltre accessori.

Ha ritenuto la Corte territoriale:

a) che la chiamata in causa dell’ A. fosse ammissibile sia sotto il profilo della connessione che della garanzia;

b) che l’eccezione di prescrizione spiegata dell’ A. fosse infondata, poichè la prescrizione di cui all’art. 2949 c.c. si riferisce ai soli rapporti fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta con il contratto di società;

c) che l’ A. era pacificamente debitore dell’importo di 30 milioni di Lire in favore del B. ed altrettanto pacificamente aveva assunto l’impegno di versare parte di detto importo per l’estinzione del debito cambiario, cosa che invece non aveva provato di aver fatto, avendo altresì ammesso di aver consegnato il libretto sul quale aveva versato la somma ancora a credito del B. non già a quest’ultimo, ma al S..

p. 4. – Contro la sentenza A.P. ha proposto ricorso per tre motivi.

B.G. e S.P. non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 5. – Il ricorso contiene tre motivi.

p. 5.1. Il primo motivo è rubricato:

“Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 106 c.p.c.. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile la chiamata in causa di esso A., non sussistendone i requisiti di legge, tanto più che la decisione sulla chiamata in causa da parte del primo giudice, in quanto discrezionale, neppure avrebbe potuto essere impugnata dinanzi al giudice d’appello.

p. 5.2. – Il secondo motivo è rubricato: “Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1269 e 1180 c.c.. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Sostiene l’ A. che egli non avrebbe potuto dar corso all’adempimento dell’obbligazione assunta, a seguito della delega da parte del B. a saldare il debito cambiario nei confronti della Banca, dal momento che detto debito era stato saldato dal S., con l’ulteriore conseguenza che la sua obbligazione si era estinta ai sensi dell’art. 1180 c.c. a seguito del pagamento di quest’ultimo.

p. 5.3. Il terzo motivo è rubricato:

“Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2949 c.c.. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Secondo il ricorrente la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere l’inapplicabilità del termine di prescrizione previsto dalla norma indicate in rubrica alla vicenda in discorso.

p. 6. – Il ricorso va respinto.

p. 6.1. – Il primo motivo, erroneamente spiegato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5) trattandosi all’evidenza di ipotetico error in procedendo, riconducibile quindi in astratto al numero 4) della stessa disposizione, è palesemente infondato.

Il B., debitore cambiario di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., è stato convenuto in giudizio dall’avallante S. il quale, avendo effettuato il pagamento della cambiale, ha esercitato nei suoi confronti l’azione di regresso. A fronte di ciò il B. ha replicato di aver delegato l’ A., che era a propria volta suo debitore, a pagare la cambiale alla scadenza, sul modello della delegazione contemplata dall’art. 1269 c.c., prospettando in causa l’alternativa che segue: o l’ A. aveva pagato il debito cambiario, nel qual caso nulla il S. poteva pretendere per il titolo dedotto in giudizio; o l’ A., rendendosi inadempiente, non aveva pagato il debito cambiari, e lo aveva invece pagato il S., nel qual caso, secondo il B., lo stesso A. doveva essere condannato per un verso a soddisfare direttamente il credito del S., per altro verso a pagare ad esso B. il residuo ancora spettantegli, pari al differenziale tra il debito dell’ A. nei confronti del B. ed il debito, di importo inferiore, di quest’ultimo nei confronti del S..

Ciò detto è agevole osservare che l’art. 106 c.p.c. contempla due distinte figure di chiamata in causa su istanza di parte, la chiamata per comunanza e la chiamata in garanzia: nella chiamata per comunanza il chiamante spiega una domanda di accertamento, volta a far sì che il giudicato sulla domanda proposta dall’attore si estenda anche al chiamato, divenuto parte; nella chiamata in garanzia il chiamante spiega una domanda di condanna, diretta a riversare sul terzo le conseguenze relative all’eventuale soccombenza rispetto all’originaria controparte.

Sul crinale tra l’una e l’altra figura si colloca la chiamata che ha luogo quando il convenuto si difenda assumendo di non essere obbligato e chiami in causa quello che indica come vero obbligato (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1522; Cass. 11 gennaio 2006, n. 254).

Il chè è per l’appunto quanto avvenuto nel caso di specie, dal momento che il B. ha indicato l’ A. come soggetto effettivamente tenuto al pagamento del debito cambiario, chiedendo conseguentemente che lo stesso fosse condannato direttamente a corrispondere il dovuto al S., cumulando a tale domanda quella di condanna dello stesso chiamato a saldare il debito per il residuo anche nei suoi confronti.

Sicchè la ricorrenza dei presupposti per la chiamata in causa ai sensi dell’art. 106 c.p.c. è indubbia.

D’altro canto l’ A. non ha richiamato a proposito il pur fermo principio, dal quale questa Corte non intende discostarsi, secondo cui, fuori dalla ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., il provvedimento del giudice di merito che concede o nega l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo ai sensi dell’art. 106 c.p.c. coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali, che come tali non possono formare oggetto di appello e di ricorso per cassazione (Cass. 4 dicembre 2014, n. 25676).

Ed invero in questo caso la censura formulata dal B. con l’appello non è stata indirizzata contro la valutazione discrezionale operata dal primo giudice in sede di autorizzazione alla chiamata in causa (autorizzazione che è stata data, mercè la fissazione di apposita udienza, tant’è che l’ A. è stato chiamato e si difeso deducendo tra l’altro l’inammissibilità della chiamata), bensì contro la sentenza del Tribunale che ha revocato l’autorizzazione precedentemente data, negando erroneamente, in iure, l’applicabilità dell’art. 106 c.p.c..

p. 6.2. – Il secondo motivo è inammissibile, involgendo una prospettazione – quella secondo cui egli non avrebbe potuto pagare la banca in quanto già aveva pagato il S. – che non risulta trattata nella sentenza impugnata ed il cui dispiegamento non risulta neppure dal ricorso per cassazione, avendo l’odierno ricorrente viceversa sostenuto nelle fasi di merito di aver pagato il debito nei confronti della banca.

p. 6.3. – Il terzo motivo è infondato.

Ed infatti i rapporti sociali ai quali si applica il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c. si riferiscono a quei diritti che derivano dalle relazioni che si istituiscono fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta con il contratto di società e delle situazioni determinate dallo svolgimento della vita sociale, mentre ne restano esclusi tutti gli altri diritti che trovano la loro ragion d’essere negli ordinari rapporti giuridici che una società può contrarre al pari di ogni altro soggetto (Cass. 25 settembre 2013, n. 21903).

Nel caso di specie la vicenda societaria si è svolta sullo sfondo: e cioè il debito dell’ A. nei confronti del B. era sorto dalla cessione di quote di una Srl da quest’ultimo al primo, sicchè il credito vantato dal B. non ha nulla a che vedere con i diritti che derivano dai rapporti sociali, cui si riferisce il citato art. 2949 c.c.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte suprema di Cassazione, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2017

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