Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13429 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 13429 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
Rtjl rienNO

6379-2013 proposto da:

INTESA SAN PAOLO SPA 00799960158, quale incorporante
SANPAOLO IMI SPA, in persona del legale rappresentante,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso
lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO TOSI giusta
procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
CARADONNA ALBERTO, DE BENEDICTIS ROSA, quali eredi di
Caradonna Giuseppe, MASI ANNA MARIA, quale erede di

Data pubblicazione: 30/06/2015

Castellano Giuseppe, CHI ARELLA LETIZIA, quale crede di
Chiarella Luigi, BELLINO PAOLO, BELLINO ROSALBA,
BELLINO ALESSANDRA, BELLINO GIULIANA, BRANDI
RITA, quali eredi di Bellino Vincenzo, DELL’AQUILA
ERMELINDA, quale erede di Borelli Giuseppe, GAMBARDELLA

GAMBARDELLA GAETANO ANTONIO, quali eredi di
Gambardella Gaetano, M ANDER MASSIMILIANO,
CArfARUZZA CARMHIN, quali eredi di

Mancier

flvin

FILIPPIS CONC13_,TTA, quale erede di Lapolla Esperindo, DEL
LUONG O ROBERTO, AMODIO ELISA, quali eredi-di Del Luongo
Mario, DUBIOSO GIOVANNINA, quale erede di Scognamiglio
Salvatore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA 195,
presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, rappresentati e
difesi dall’avvocato GIUSEPPE FERRARO giusta procura speciale a
margine del controricorso;
– contivricorren ti ACOCELLA FRANCESCA, DI MILIA GIOVANNA, LA
CERTOSA LIDIA, SANTACROCE GIUSEPPINA, GATTI
GIULIANA, GATTI PAOLA, GORGONI RAFFAELE,
GORGONI CARLA, BARSI MARIA FELICIA, GRILLO MARIA
GIOVANNA, GRILLO CLAUDIO, GRILLO ANGELO,
SANTOPIETRO LUCREZIA, LAPOLLA ANTONIO, LAPOLLA
ANNA MARIA, MALACARIO AITONSO, MALACARIO
GIULIA, MAI,ACARIO FRANCESCA, MANCA DARIO,
SCOGNAMIGLIO ANTONELLA, SCOGNAMIG MO PAOJ A,
SCOGNAMIGLIO FULVIA, SCOGNAMIGLIO GUIDO;
– intimati Ric. 2013 n. 06379 sez. ML ud. 12-03-2015
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MARIA, GAMBARDELLA GIUSEPPE, GAMBARDELLA LUCIA,

avverso la sentenza n. 7574/2011 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI dell’i /12/2011, depositata il 07/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito l’Avvocato Luigi Fiorillo (delega avvocato Paolo Tosi) difensore

udito l’Avvocato Ferrar° Giuseppe difensore dei controricorrenti che
si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 7.11.1994, il Pretore di Napoli dichiarò il diritto degli
odierni intimati, o loro danti causa, tutti ex dipendenti del Banco di
Napoli in quiescenza, a conservare il sistema di variabilità delle
pensioni (cosiddetta perequazione automatica), così come preesistente
all’entrata in vigore del dl.vo n. 503/92.
La suddetta sentenza venne confermata in grado di appello dal
Tribunale di Napoli; successivamente le Sezioni Unite della
Cassazione, con sentenza n. 9024/2001, cassarono con rinvio la
pronuncia resa in grado d’appello, riconoscendo tuttavia il diritto dei
pensionati al mantenimento del regime perequativo aziendale, ove
cessati dal servizio prima del 31.12.1990 e limitatamente al periodo
1 ° 11994-26.7.1996.
La Corte d’Appello di Napoli, nel giudizio di rinvio, riconobbe il
diritto dei pensionati (tra cui gli odierni intimati o loro danti causa) a
conservare il suddetto regime perequativo aziendale relativamente al
periodo 1°1.1994-26.7.1996, condannando per l’effetto la Sanpaolo
Imi spa (incorporante della Banco di Napoli spa) alla corresponsione
dei relativi aumenti di pensione.
L’ulteriore impugnazione venne rigettata da questa Corte con sentenza
n. 19937 del 19.5.2004, con conseguente formazione del giudicato.
Ric. 2013 n. 06379 sez. ML – ud. 12-03-2015
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della ricorrente che si riporta agli scritti;

Con successivo ricorso gli odierni intimati, o loro danti causa, chiesero
la condanna dell’Istituto di credito al pagamento delle differenze
economiche sul trattamento pensionistico per il periodo successivo al
26.7.1996 ed in particolare dal gennaio 1996 ai decessi dei rispettivi
danti causa.

Con sentenza del 1.12.2011-7.3.2012 la Corte d’Appello di Napoli
rigettò il gravame dell’Istituto di credito confermando la condanna al
pagamento di quanto di rispettiva spettanza, ritenendo
sostanzialmente, per quanto qui specificamente rileva, che doveva
riconoscersi, per effetto del giudicato, una stabilizzazione dell’importo
del trattamento pensionistico raggiunto alla data del luglio 1996, con
effetti sulla liquidazione dei ratei maturati nel periodo successivo.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Intesa Sanpaolo
spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo.
Caradonna Alberto, De Benedictis Rosa, quali eredi di Caradonna
Giuseppe, Masi Anna Maria, quale erede di Castellano Giuseppe,
Chiarella Letizia, quale erede di Chiarella Luigi, Bellino Paolo, Bellino
Rosalba, Bellino Alessandra, Bellino Giuliana, Brandi Rita, quali eredi
di Bellino Vincenzo, Dell’aquila Ermelinda, quale erede di Borelli
Giuseppe, Gambardella Maria, Gambardella Giuseppe, Gambardella
Lucia, Gambardella Gaetano Antonio, quali eredi di Gambardella
Gaetano, Mander Massimiliano, Cattaruzza Carmen, quali eredi di
Mander Silvio, De Filippis Concetta, quale erede di Lapolla Esperindo,
Del Luongo Roberto, Amodio Elisa, quali eredi di Del Luongo Mario,
Dubioso Giovannina, quale erede di Scognamiglio Salvatore hanno
resistito con controricorso.
Gli intimati Acocella Francesca, Di Mila Giovanna, La Certosa Lidia,
Santacroce Giuseppina, Gatti Giuliana, Gatti Paola, Gorgoni Raffaele,
Ric. 2013 n. 06379 sez. ML – ud. 12-03-2015
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Ti Giudice adito accolse le domande.

Gorgoni Carla, Barsi Maria Felicia, Grillo Maria Giovanna, Grillo
Claudio, Grillo Angelo, Santopietro Lucrezia, Lapolla Antonio, Lapolla
Anna Maria, Malacario Alfonso, Malacario Giulia, Malacario
Francesca, Manca Dario, Scognamiglio Antonella, Scognamiglio Paola,
Scognamiglio Fulvia, Scognamiglio Guido non hanno svolto attività

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378
c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Con l’unico motivo la ricorrente, denunciando violazione degli

artt. 324 cpc e 2909 cc in relazione agli artt. 9 e 11 dl.vo n. 503/92,
come interpretati autenticamente dall’art. 1, comma 55, legge n.
243/04, deduce che, per il periodo successivo a quello su cui si è
formato il giudicato (in sostanza dall’agosto 1996 in poi) deve trovare
applicazione la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1,
comma 55, legge n. 243/04, in forza della quale, come chiarito da
consolidata giurisprudenza di legittimità, il sistema di perequazione
automatica aziendale è abrogato, per tutti i pensionati (ante e post
31.12.1990), a far data dal gennaio 1994; conseguentemente, in
relazione al diritto di conservare, successivamente al mese di luglio
1996, gli aumenti perequativi ottenuti in virtù del sistema previgente,
non venendo in rilievo il principio di intangibilità del giudicato, né il
divieto del ne bis in idem, la pretesa azionata avrebbe dovuto essere
decisa alla luce della ridetta norma di interpretazione autentica e non
già in base alla regula iuris affermata dalla sentenza delle Sezioni Unite n.
9024/2001, siccome sostituita

ab otigine

dalla normativa di

interpretazione autentica; ciò in quanto il diritto alla conservazione
dell’assegno perequativo non è parte integrante del giudicato, bensì un

Ric, 2013 n. 06379 Sez. ML – ud. 12-03-2015
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difensiva.

diritto conseguente che permane, rebus sic stantibus, al peinianere della
relativa fonte costitutiva.

2.

Osserva il Collegio che il giudicato, pur non identificandosi con

gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato
a fissare la regola del caso concreto e partecipando, quindi, della natura

giudizio di mero fatto; per conseguenza, con efficacia riguardante
anche i rapporti di durata, qualora due giudizi tra le stesse parti
abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia
stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così
compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di
questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale
comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica
indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della
sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e
risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle
che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (cfr, ex plurimis,
Cass., SU, n. 13916/2006 e le numerose successive conformi).
Con riferimento poi alla sopravvenienza di una normativa incidente
sulla disciplina giuridica in base alla quale il giudicato si è formato, deve
considerarsi che il fondamento del giudicato sostanziale, che si realizza
nei casi in cui la decisione, oltre ad essere passata formalmente in
giudicato (art. 324 cpc), incide sul diritto fatto valere (art. 2909 cc), e
che risponde al generale principio della certezza del diritto, è quello di
rendere insensibili le situazioni di fatto dallo stesso considerate, per le
quali è stata individuata ed applicata la corrispondente regula iuris, ai
successivi mutamenti della normativa di riferimento, anche con
riguardo allo ius superveniens che contenga norme retroattive, salva una
diversa volontà espressa dal legislatore, costituendo quindi ostacolo
Ric. 2013 n. 06379 sez. ML – ud. 12-03-2015
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dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un

all’esplicarsi dell’effetto retroattivo della norma di interpretazione
autentica.
Ne consegue, con riferimento ai limiti cronologici del giudicato
sostanziale (sempre fatta salva un’eventuale diversa espressa previsione
del legislatore, intesa a travolgere i giudicati già formatisi ovvero i loro

contraddica l’interpretazione recepita nella sentenza irrevocabile vale a
evidenziare l’ingiustizia di questa, ma non a comprometterne il valore,
che è indipendente dall’esattezza della statuizione con essa resa;
pertanto, sebbene l’intangibilità del giudicato riguardi solo quanto sia
stato oggetto del giudicato stesso, con esclusione di quanto non fosse
deducibile nel giudizio in cui esso si è formato, tale non deducibilità
non può ricollegarsi alla mera sopravvenienza di una norma, che, senza
introdurre una nuova azione, si sia limitata ad interpretare
autenticamente una disposizione precedente (cfr, ex plurimis, Cass., nn.
8797/1995; 12701/1995; 4630/2000; 18339/2003; 1583/2010).
Del resto l’intangibilità del giudicato sostanziale si concretizza non solo
con riferimento allo ius superveniens e all’emanazione di norme di
interpretazione autentica, ma anche rispetto alla caducazione, ab origine,
delle norme su cui il giudicato si fonda per effetto della declaratoria di
illegittimità costituzionale delle stesse, costituendo appunto il
giudicato, al pari di altre situazioni giuridiche consolidate in
conseguenza di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a
produrre tale effetto, uno dei limiti che incontra l’efficacia retroattiva
della decisione di illegittimità costituzionale (cfr, ex plurimis, Cass., SU,
n. 1707/1963; Cass., nn. 1860/1983; 891/1996; 7057/1997;
4766/1999).
Applicando tali principi al caso che ne occupa, deve allora convenirsi
che la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 55,
Rie. 2013 n. 06379 sez. ML – ud. 12-03-2015
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effetti futuri), che la sopravvenienza di una legge interpretativa che

legge n. 243/04, che non contiene previsione alcuna di caducazione dei
giudicati sostanziali già formatisi, non è suscettibile di incidere, nel caso
concreto, in relazione alle situazioni giuridiche già oggetto di sentenza
definitiva passata in giudicato.
Né può ritenersi che tale norma di interpretazione autentica venga ad

l’interpretazione resane dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex
plurimis, Cass., nn. 22700/2006; 16206/2009), la stessa non introduce
una nuova disciplina della normativa di riferimento, destinata ad
esplicare la propria efficacia sui rapporti giuridici di durata a cui si
applica, ma, conformemente alla sua natura interpretativa, individua
soltanto la corretta portata precettiva della normativa già esistente, la
stessa, cioè, sulla base della quale si è formato il giudicato sostanziale.
Ne consegue che il giudicato sostanziale ha cristallizzato il maturato
pensionistico per il periodo considerato, che resta insensibile, anche
nei suoi effetti, alla successiva norma di interpretazione autentica e che,
pertanto, deve essere riconosciuto nella sua entità (con le eventuali
variazioni legate alla dinamica perequativa legale, non essendo più
applicabile quella aziendale) anche per i ratei successivi.
Dovendosi dare continuità ai precedenti di legittimità già formatisi in
casi analoghi (cfr, ex plurúnis, Cass., nn. 20975/2009; 10825/2011 ed
anche recentemente su casi del tutto analoghi Cass. 24.3.2015 n. 5874,
5877, 25.3.2015 n. 6002,6003, 6011, 26.3.2015 n. 6107) ed essendosi la
sentenza impugnata conformata ai suindicati principi, il ricorso non
può trovare accoglimento.

3.

La rilevata infondatezza del ricorso, basata del resto sui già

ricordati conformi orientamenti giurisprudenziali di questa Corte,
rende applicabile il principio (cfr, Cass., n. 15106/2013) secondo cui il
rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del
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incidere sugli effetti futuri del giudicato sostanziale, posto che, giusta

processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di
evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una
sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si
traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità
superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo

da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al
processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica
l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti; con la conseguenza
che, in caso di ricorso per cassazione infondato, appare superfluo, pur
potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine
per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una
notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si
tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei
termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare
alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle
parti.

4.

In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese a favore dei controricorrenti, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza, non essendo invece luogo a provvedere al
riguardo per le parti rimaste intimate.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che
liquida in C 4.000,00 (quattromila) per compenso, C100,00 per esborsi
oltre spese generali 15% e accessori come per legge; nulla sulle spese
per le parti rimaste intimate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 da atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
Ric. 2013 n. 06379 sez. ML – ud. 12-03-2015
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e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio,

ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art.13 comma 1 bis
del citato d.p.r..

Così deciso in Roma 11 26 marzo 2015.

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