Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13425 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. VI, 17/06/2011, (ud. 13/05/2011, dep. 17/06/2011), n.13425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in qualità di Responsabile della

Direzione Affari Legali di Poste Italiane Spa, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso l’AREA LEGALE

TERRITORIALE CENTRO della società, rappresentata e difesa dagli

avvocati URSINO ANNA MARIA, LAURORA ANNA TERESA, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA N. RICCIOTTI 9, presso lo studio dell’avvocato CAIAZZA

LUIGI, rappresentata e difesa dall’avvocato BALACCO MICHELE, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6932/2 008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/08/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato Balacco Michele, difensore della controricorrente

che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. PATRONE Ignazio che nulla

osserva.

Fatto

La Corte:

letta la relazione del Cons. Dott. Paolo Stile;

udite le richieste del P.M., dott. Ignazio Patrone;

esaminati gli atti, osserva:

Con ricorso depositato il 28.11.05, D.C., reggente e poi titolare dell’U.P. di (OMISSIS), proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Rieti con cui era stata dichiarata legittima la sanzione inflittale dalla società Poste il 20.10.03, consistente nella sospensione dal servizio e dalla retribuzione per due giorni, in conseguenza dei due addebiti contestatile (avere affisso un cartello con cui si invitava la clientela a non elargire mance al personale; per essere stata constatata una giacenza di corrispondenza nel suo ufficio di circa 120 Kg). Instauratosi il contraddittorio la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 6932/08, in riforma della impugnata decisione di primo grado, dichiarava l’illegittimità della adottata sanzione.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre Poste Italiane spa.

Resiste la D. con controricorso.

Diritto

Il ricorso di Poste Italiane spa si fonda su due motivi: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 51, 52 e 53 del CCNL del 2003 e degli artt. 2104 e 2106 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); 2) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Entrambi i motivi non possono trovare accoglimento.

La Corte territoriale, con motivazione priva di vizi logici, ha accertato che la D. nella vicenda ha mostrato serietà ed attaccamento all’azienda, adoperandosi preliminarmente presso il personale alle sue dipendenze al fine di interrompere una riprovevole ed annosa abitudine, che coinvolgeva il personale stesso, cioè quella di accertare eventuali mance dai clienti e poi affiggendo il cartello in contestazione con la dicitura “si prega cortesemente la gentile clientela di non lasciare compensi (mance) ai dipendenti Poste Italiane spa”. La sentenza impugnata, quanto all’affissione del cartello ha stabilito che “se è pur vero che potrebbe per un verso sostenersi che essa fosse idonea a determinare disagio tra gli utenti, d’altro canto è pur vero che potrebbe aver determinato, dopo incontestate ed esplicite disposizioni in tal senso impartite dalla D. ai dipendenti ai sensi dell’art. 51 CCNL (che vieta l’accettazione di mance da parte dei dipendenti), un senso di serietà o quanto meno di solerte intervento da parte della titolare dell’U.P. Pertanto, nella fattispecie in esame – come lascia intendere il Giudice a quo – la condotta della D., lungi dal dover essere censurata per mancanza del dovere di diligenza sancito dall’art. 2104 c.c. e del dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., o per violazione di norme contrattuali, doveva e deve essere considerata idonea a salvaguardare il buon nome e l’immagine dell’azienda, atteso che “gli artt. 2104 e 1176 c.c. impongono al lavoratore di eseguire la prestazione, anche in assenza di specifiche direttive del datore di lavoro, come nel caso di specie, secondo la particolare qualità dell’attività dovuta, risultante dalle mansioni e dai profili professionali che la definiscono, e di osservare altresì tutti quei comportamenti accessori e quelle cautele che si rendano necessari ad assicurare una gestione professionalmente corretta” (Cass. Civ. sez. lav. n. 12769/2000). Anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento in quanto le censure contenute in tale motivo di ricorso appaiono attinenti a valutazioni e accertamenti fattuali, inammissibili in questa sede.

In particolare, in merito alle circostanze che avrebbero determinato la giacenza della corrispondenza, la Corte territoriale ha dato una motivazione convincente ed immune da vizi logici, suffragata tra l’altro, anche in questo caso da dati probatori documentali e testimoniali.

Non risultando nell’iter argomentativo della Corte territoriale i denunciati vizi, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in 30,00 oltre Euro 1.500,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 13 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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