Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13415 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 18/05/2021), n.13415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37634-2019 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MAGLIANO SABINA,

22, presso lo studio dell’avvocato MARIA RITA MARCHESE,

rappresentato e difeso dall’avvocato TERESA BALSAMO;

– ricorrente-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2819/3/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA SICILIA, depositata il 10/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di R.S., esercente la professione di avvocato, sulla scorta dei dati desumibile dagli studi di settore, avviso di accertamento con cui venivano contestati maggiori ricavi per Euro 17.079,00.

Il contribuente impugnava detto provvedimento contestando l’attendibilità delle risultanze dello studio di settore in virtù dello stato di salute e dell’età avanzata.

La CTP di Agrigento accoglieva il ricorso con sentenza nr 3889/2014 che veniva impugnata dall’Ufficio avanti alla CTR della Sicilia che accoglieva il gravame.

Il Giudice di appello rilevava che le incongruenze erano state molteplici e complessivamente valutate dall’Ufficio; che il contribuente non aveva partecipato al contraddittorio pur regolarmente provocato e che lo scostamento dei compensi dello studio di settore era stato pari al 30% e quindi di misura molto elevata.

Evidenziava che l’ammontare dei ricavi dichiarati corrisponde alla metà del compenso versato per un dipendente a tempo pieno determinando la forte antieconomicità dell’attività svolta.

Avverso tale pronuncia il ricorrente propone ricorso affidato a due motivi cui resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo si deduce l’omessa e/o insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto controverso decisivo per il giudizio dolendosi del fatto che la CTR non aveva preso in esame gli elementi addotti dal ricorrente al fine di contrastare le risultanze desumibili dagli studi di settore.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, convertito in L. n. 427 del 1993, per aver la CTR considerato gli elementi presuntivi posti a base del suo convincimento dotati della gravità, precisione e concordanza.

In via preliminare si rileva che la memoria depositata dal ricorrente in data (OMISSIS) deve ritenersi tardiva in quanto presentata senza il rispetto dei termini di 10 giorni previsti dalla legge (art. 380-bis 1 c.p.c.) sicchè della stessa non si terrà conto.

Il primo motivo è inammissibile in quanto deduce il vizio di motivazione in difformità dal paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, come enucleato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte (ex plurimis, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053).

Nel nuovo regime, infatti, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tale fatto storico deve essere indicato dalla parte – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del fatto stesso, rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881).

Nel caso di specie tale specificazione manca, rivelandosi piuttosto la doglianza nel suo complesso diretta a sollecitare una mera nuova valutazione di merito dei medesimi argomenti ed elementi di fatto già dedotti nei giudizi di merito e compiutamente esaminati dai giudici a quibus.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile in quanto si risolve nella sollecitazione ad un riesame delle risultanze istruttorie, postulando una rivisitazione degli accertamenti di fatto operati dal giudice del merito che, come è noto, esula dalle funzioni istituzionali di questa Corte di legittimità.

In particolare la questione posta con il secondo motivo di ricorso investe essenzialmente il tema dei limiti del potere di controllo del giudice di legittimità, considerato che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso (ex plurimis, cfr. Sez. 5, Sentenza, n. 961 del 21/01/2015, Rv. 634470-01).

In tal senso, si è chiarito che il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi di fatto portati al suo esame ma può senz’altro limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purchè tale valutazione risulti logicamente coerente (v. sentenza n. 961 del 2015, cit.).

Sotto tale profilo l’odierna censura del ricorrente – secondo cui la CTR avrebbe malamente applicato le regole in materia di prova presuntiva, in materia di disponibilità delle prove nel giudizio ed alla loro valutazione, anche degli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento – è inammissibile in quanto sottende un riesame di quegli stessi elementi di fatto che i secondi giudici hanno valutato come determinanti ai fini del decidere.

Va considerato che, nella specie, i secondi giudici più che essere incorsi nella violazione delle norme indicate, hanno posto a fondamento della decisione i fatti e gli atti dedotti in giudizio che, secondo il loro insindacabile apprezzamento, erano idonei a fondare la decisione.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri di legge.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessive Euro 2300,00 oltre s.p.a.d..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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