Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13413 del 30/06/2016


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Cassazione civile sez. trib., 30/06/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 30/06/2016), n.13413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3790-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 61, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

BASTIANELLI, che la rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 212/2009 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 16/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato GUIZZI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BASTIANELLI che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

L’agenzia delle entrate propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 212/28/09 del 16 dicembre 2009 con la quale la commissione tributaria regionale di Roma, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato a P.G. per revoca dei benefici per l’acquisto di prima casa; revoca conseguente al fatto che la P. aveva usufruito di tali benefici, richiesti in data 28 febbraio 2004, in quanto aggiudicataria di un immobile per decreto di trasferimento 14 giugno 2004 del tribunale di Viterbo, allorquando risultava essere già proprietaria di altro immobile abitativo in forza di precedente decreto di trasferimento 15 marzo 2004.

Resiste la P. con controricorso, nel quale si insiste altresì – nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso – per l’accoglimento dei motivi di impugnazione dell’avviso di liquidazione non considerati dalla commissione di merito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta –

ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione o falsa applicazione dell’art. 1 tariffa parte I all. D.P.R. n. 131 del 1986 nonchè dell’art. 2697 c.c.; per avere la commissione tributaria regionale posto a carico di essa agenzia l’onere di provare l’idoneità all’uso abitativo dell’altro immobile risultato in proprietà della contribuente, nonostante che fosse quest’ultima a dover fornire la proVa di tutti i presupposti dell’agevolazione, compresa l’inidoneità a tale uso.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 violazione dell’art. 112 c.p.c. (ultrapetizione); per avere la commissione tributaria regionale accolto l’appello della contribuente sulla base di un profilo (inidoneità abitativa dell’immobile precedentemente trasferitole) in realtà mai dedotto in giudizio, essendosi la P. limitata, in 1 e 2 grado, ad affermare l’anteriorità della sua richiesta di agevolazione rispetto al decreto di trasferimento del primo immobile, assunto quale atto traslativo della proprietà in ipotesi di aggiudicazione in procedura espropriativa.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 motivazione insufficiente in ordine ad un fatto decisivo e controverso del giudizio; per non avere la commissione tributaria regionale esplicitato alcunchè sulle circostanze di fatto, e sugli elementi probatori, dai quali essa avrebbe tratto convincimento della inidoneità abitativa dell’ulteriore immobile in proprietà della contribuente.

2.1 E’ fondato, con effetto assorbente delle altre doglianze, il secondo motivo di ricorso; ancorchè da tale statuizione non possa discendere – come si dirà – la cassazione della sentenza impugnata e raccoglimento della pretesa impositiva.

Va premesso che in base all’art. 112 c.p.c. il giudice non può pronunciare oltre i limiti della domanda, nè può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalla parte.

Nell’ambito del processo tributario – avente natura impugnatoria dell’atto impositivo – il suddetto principio generale trova specificazione ed adattamento con riguardo al motivi, formali o sostanziali, di contestazione dell’atto impugnato; nel senso che sono questi ultimi a definire la causa petendi e, di conseguenza, i relativi temi di prova e di decisione.

Si è in proposito affermato che “nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto tributario per vizi formali o sostanziali, l’indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado; con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, “ex officio”, annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al “theme controversum”, come definito dalle scelte del ricorrentè (Cass. 19337/11; in termini, 15051/14 ed altre). Unica eccezione a questa regola è data dalla possibilità per il contribuente di apportare motivi aggiunti a quelli già proposti con l’atto introduttivo, ma ciò soltanto nei ristretti limiti di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24; vale a dire, solo nel caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione”.

In altri termini, essendo il processo tributario caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto impositivo, l’indagine sul rapporto sostanziale è circoscritta ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale; presupposti che il contribuente ha l’onere di specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado. Coerente con questa premessa è che (salva la sussistenza dei presupposti derogativi di cui all’art. 24 cit.) il giudice debba attenersi al solo esame dei vizi di invalidità e delle cause di infondatezza così come dedotti dal contribuente nel suo ricorso introduttivo.

Questo principio fondamentale trova completamento nella disciplina del giudizio di appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57, nel quale non possono proporsi domande nuove che, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio; nè possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio. L’introduzione in giudizio di nuovi motivi di illegittimità ed infondatezza dell’atto impositivo non è consentita nemmeno con la memoria D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, volta non già ad ampliare il tema di indagine e di decisione, ma unicamente ad illustrare ed argomentare l’oggetto del contendere nei limiti dei motivi di impugnazione già formulati in primo ed in secondo grado (Cass. 22662/14); sicchè: “nel processo tributario d’appello, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all’originaria “causa petendi” e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un’eccezione, ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 24 e 57″ (Cass. n. 13742/15).

2.2 Orbene, il giudice di secondo grado non ha fatto buon governo di tali principi, incorrendo effettivamente nella lamentata ultrapetizione nel momento in cui, discostandosi dai motivi di impugnazione dell’avviso di liquidazione proposti dalla P. tanto nel ricorso introduttivo quanto nell’atto di appello, è addivenuto d’ufficio a dichiarare l’illegittimità di tale avviso per una ragione – attinente la prova della inidoneità abitativa del primo immobile aggiudicato alla contribuente – che non poteva essere presa in considerazione.

In particolare, la decisione qui impugnata si è dichiaratamente basata sull’orientamento giurisprudenziale che, nell’interpretazione dell’art. 1 (nota II bis) Tariffa parte 1 all. al D.P.R. n. 131 del 1986, esclude la decadenza dal beneficio per l’acquisto della prima casa nell’ipotesi in cui l’immobile di cui il richiedente sia già proprietario non possa essere destinato a sopperire ai bisogni abitativi (Cass 6476/96 citata dalla CTR; in termini, 7686/02;

18128/09); circostanza, quest’ultima, che la commissione territoriale ha ritenuto provata dalla contribuente.

In accoglimento della censura, va però considerato che questo specifico profilo (della idoneità o inidoneità del primo acquisto a soddisfare un’esigenza di tipo abitativo) non costituiva affatto oggetto di impugnazione dell’avviso di liquidazione.

Nel ricorso introduttivo la P. aveva dedotto – oltre ad altri aspetti, ritenuti assorbiti dai giudici di merito – una diversa contestazione; insita nel fatto che, al momento di richiedere (28 febbraio 2004) i benefici per l’acquisto della prima casa, ella non aveva ancora ottenuto il trasferimento della proprietà del primo immobile in Viterbo, poi perfezionatosi soltanto con l’emanazione da parte del tribunale del relativo decreto (15 marzo 2004). Sicchè la pretesa negatoria dell’amministrazione finanziaria doveva, sulla base dei motivi da lei formulati, ritenersi illegittima non perchè basata sulla attitudine abitativa del primo immobile aggiudicato (aspetto non toccato nel ricorso iniziale), ma perchè erroneamente presupponente un diritto di proprietà che, in realtà, non poteva configurarsi prima della formale adozione del decreto giudiziale di trasferimento (tanto da censurare l’impropria qualificazione, da parte dell’agenzia delle entrate, in termini di proprietà di una situazione che, prima del trasferimento, poteva a tutto concedersi qualificarsi come di mero possesso).

Analogamente è a dire con riguardo all’atto di appello nel quale, come era del resto necessario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57 cit., l’impugnazione della sentenza di primo grado venne articolata con riguardo allo stesso profilo; unicamente attinente, in effetti, alla successione temporale degli acquisti; alla natura del diritto attribuibile al contribuente prima del decreto di trasferimento; al diritto all’agevolazione in quanto richiesto prima dell’acquisizione in proprietà del primo immobile.

In sintesi, la P. aveva impugnato l’avviso di liquidazione, nel merito, non per l’inidoneità abitativa di tale immobile, ma unicamente perchè non ancora proprietaria (al momento di richiedere il beneficio) di esso.

3. Ancorchè erronea sotto il profilo del motivo qui considerato, la sentenza della commissione tributaria regionale deve tuttavia ritenersi corretta nel suo decisum; sicchè il presente ricorso per cassazione andrà infine rigettato, sebbene in esito alla correzione della sentenza impugnata. Correzione possibile, anzi doverosa, in quanto qui dettata non già da una diversa valutazione degli aspetti fattuali della lite, ma esclusivamente da una diversa e più consona ricostruzione in diritto di una vicenda i cui risvolti fattuali debbono reputarsi del tutto pacifici.

Il motivo di opposizione svolto dalla contribuente va infatti accolto, risultando che, al momento dell’istanza di agevolazione (28 febbraio 2004), ella non era affatto proprietaria di altro immobile abitativo; atteso che il decreto di trasferimento relativo al primo immobile venne emesso il 15 marzo successivo (mentre il decreto di trasferimento del secondo immobile, sul quale venne applicato il regime agevolato, risale al 14 giugno 2004).

Orbene, la commissione tributaria regionale non ha affrontato questo imprescindibile snodo di causa, che va ora risolto a favore della contribuente sulla premessa che – in ipotesi di acquisto dell’immobile in sede di espropriazione giudiziale del bene – la proprietà del medesimo non passa all’acquirente per effetto dell’aggiudicazione, ma unicamente a seguito del decreto di trasferimento del giudice dell’esecuzione (Cass. 3447/85; Cass. 6272/03).

si è in proposito affermato (Cass. 23709/08) che, in materia di vendita forzata, il trasferimento della proprietà dell’immobile aggiudicato costituisce l’effetto finale di una fattispecie complessa, rappresentata dalla aggiudicazione, dal versamento del prezzo e dall’emissione del decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c.. Tale fattispecie si perfeziona tuttavia proprio con quest’ultimo provvedimento giudiziale, il quale ha funzione di verifica ed accertamento della sussistenza di tutti gli altri presupposti del passaggio di proprietà in capo all’aggiudicatario.

Ancorchè quest’ultimo – in presenza di tutti i presupposti di validità ed efficacia del subprocedimento di aggiudicazione – abbia diritto di ottenere il trasferimento della proprietà del bene a proprio favore, tale effetto non si verifica prima della emanazione del decreto ex art. 586 c.p.c.; avendo, in particolare, I’ aggiudicazione carattere provvisorio e non decisorio.

D’altra parte, che prima di tale momento l’aggiudicatario non possa considerarsi proprietario dell’immobile (tale ancora essendo il debitore esecutato) si evince dal fatto che: – pur dopo il versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione può sospendere la vendita quando ritenga che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto; – è soltanto il decreto di trasferimento a contenere l’ingiunzione di rilascio dell’immobile venduto ed a costituire titolo esecutivo a tal fine; – solo sulla base del decreto di trasferimento si ha titolo per la trascrizione della vendita nei libri fondiari.

Su tale presupposto, va dunque affermato che quando la P. ha esercitato il proprio diritto all’agevolazione come prima casa (28 febbraio 2004), ella non era ancora proprietaria nè dell’immobile trasferitole il 15 marzo 2004 (sul quale non venne applicata, nè richiesta, alcuna agevolazione), nè di quello trasferitole il 14 giugno 2004 (sul quale ha usufruito dell’agevolazione poi revocata).

Con la conseguenza che la dichiarazione a tal fine resa dalla contribuente non risultava affetta da alcun mendacio, in quanto corrispondente alla realtà fattuale e giuridica che contraddistingueva la sua posizione.

Va detto che il richiamo al momento di presentazione dell’istanza di agevolazione si giustifica, nella fattispecie di acquisto di prima casa per effetto di decreto di trasferimento del giudice dell’esecuzione ex art. 586 c.p.c., sul duplice presupposto che in tale fattispecie: – l’acquisto dell’immobile non avviene per atto notarile preposto, tra il resto, a raccogliere le dichiarazioni delle parti D.L. n. 155 del 1993, ex art. 16 conv. in L. n. 243 del 1993, ora nota II bis lett. b) Art. 1 Tariffa all. D.P.R. n. 131 del 1986, bensì in forza di un provvedimento giudiziale precluso a qualsivoglia dichiarazione di parte acquirente, e suscettibile unicamente di dare atto, recependola, dell’istanza di agevolazione da quest’ultima precedentemente formulata sulla base della situazione all’epoca esistente; – la scansione temporale tra l’istanza di agevolazione, mediante dichiarazione ad hoc agli atti della procedura espropriativa, e l’emanazione del decreto di trasferimento non rientra in alcun modo nella disponibilità e sfera di influenza dell’acquirente, al quale non può pertanto addebitarsi la conseguenza pregiudizievole della revoca dell’agevolazione per effetto di una successione temporale puramente contingente e dettata in via esclusiva dalle esigenze dell’ufficio procedente.

Ne segue in definitiva il rigetto del ricorso.

Le spese vengono compensate in ragione della peculiarità della fattispecie.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016

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