Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13413 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 18/05/2021), n.13413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34643-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

AURORA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2288/11/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL LAZIO, depositata P 11/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR del Lazio, con sentenza nr2288/2018,rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia della CTP di Latina con cui era stato accolto il ricorso della società Aurora s.r.l. relativo all’impugnazione dell’atto di contestazione avente ad oggetto l’irrogazione delle sanzioni per ritenute, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, per gli anni 2007 e 2008 conseguente ad un processo verbale della Guardia di Finanza relativo alla contestazione di una interposizione fittizia di manodopera per l’anno 2007.

Rilevava per gli aspetti che qui interessano l’infondatezza delle ragioni poste a fondamento del gravame ritenendo che l’accordo stipulato fra la società committente e la cooperativa 3000 si inquadrasse in un contratto di appalto di servizi di facchinaggio, movimentazioni merci e attività connesse, nei locali della committente dietro corrispettivo da liquidarsi mensilmente in funzione dei servizi prestati rivenendosi in esso tutti gli elementi distintivi del contratto di appalto. Evidenziava che l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito prove specifiche a sostegno della ipotizzata interposizione fittizia.

Osservava poi che trattandosi di una cooperativa di facchinaggio i soci non necessitavano di particolari beni e mezzi per compiere la movimentazione a braccia di cassette di ortofrutta sottolinenando che la cooperativa alla conclusione periodica del servizio emetteva fatture per la prestazione rese con l’individuazione dell’Iva da versare.

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo; la parte intimata non si è costituita.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 1655 c.c., e del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21,27 e art. 29, commi 1 e 3-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si denuncia in particolare l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la CTR laddove rilevate le particolare caratteristiche dell’attività oggetto del contratto, non fosse necessario dimostrare quantomeno un qualche potere organizzativo e gestionale in capo al soggetto che veniva a porsi quale formale appaltatore onde verificare l’effettiva esistenza di un contratto di appalto di servizi in luogo della somministrazione illecita di manodopera rilevata dall’Ufficio.

Il motivo è fondato.

Ai fini di un corretto inquadramento della questione che è stata posta è necessario muovere dal dato di riferimento normativo.

Il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, prevede che “ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo (Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco), il contratto di appalto, stipulato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenza dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonchè per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.

La distinzione tra appalto genuino di cui all’art. 1655 c.c., e somministrazione vietata di manodopera si individua dalla presenza dei seguenti requisiti (per la sussistenza dell’appalto genuino):organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, con la precisazione, però, che l’organizzazione dell’appaltatore può anche essere minima, con prevalenza dell’apporto di personale specializzato da parte dell’appaltatore; l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavori utilizzati, da parte dell’appaltatore; l’assunzione da parte dell’appaltatore del rischio di impresa.

Mancando tali requisiti si è in presenza di una somministrazione vietata di manodopera, sicchè i lavoratori sono considerati alle dirette dipendenze dell’imprenditore appaltante.

Ciò che caratterizza l’appalto “non genuino” non è tanto la mancanza di una organizzazione, che può essere minima (Cass., n. 5265/19 con riferimento anche alla vecchia disciplina di cui alla L. n. 1369 del 1960; Cass., 29 settembre 2011, n. 19920;), tanto che può essere appaltatore anche un soggetto non imprenditore, privo di organizzazione, che adempie solo ad una prestazione “occasionale”, per un singolo contratto di appalto (Cass., 28 luglio 2017, n. 18808), ma soprattutto l’eterodirezione, ancora prima della assenza di rischio di impresa (Cass., 7 dicembre 2018, n. 31720; Cass., 15 luglio 2011, n. 15615; Cass., 6 giugno 2011, n. 12201, con riferimento alla L. n. 1369 del 1960, poi abrogata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 85, comma 1, lett. c).

L’eterodirezione si ha quando l’appaltante-interponente, non solo organizza, ma anche “dirige” i dipendenti dell’appaltatore, utilizzandoli in prima persona. Si ha eterodirezione quanto restano in capo all’appaltatore solo i compiti di gestione amministrativa, quali la retribuzione, la pianificazione delle ferie, senza una reale organizzazione della prestazione, volta ad un risultato produttivo autonomo (Cass., 28 marzo 2013, n. 7820), mentre l’interponente-committente non solo organizza, ma anche dirige i dipendenti, utilizzandoli in prima persona (Corte Giustizia 6 marzo 2014, causa C-458/12, Amatori, con riferimento al trasferimento di azienda o di ramo di azienda).

Alla interposta, quindi, in presenza di eterodirezione, restano solo compiti di gestione amministrativa del rapporto, senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa.

Il rischio di impresa resta, comunque, un requisito essenziale dell’appalto “genuino” (Cass., n. 28953/2018; Cass. 2020 n. 12807).

Utili indici sulla consistenza dell’eterodirezione si possono trarre dalla giurisprudenza unionale, sia pure in relazione al tema contiguo del trasferimento di azienda o di ramo aziendale labour intensive: la Corte di giustizia, con la sentenza Amatori (Corte giust. 6 marzo 2014, causa C-458/12), nell’identificare il parametro dell’autonomia del ramo aziendale, che, qualora sia labour intensive, finisce con l’immedesimarsi con l’organizzazione impressa alle prestazioni lavorative, ha evocato il complesso di “poteri, riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori considerato, di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno a tale gruppo e, più specificamente, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati appartenenti al gruppo medesimo.

In questa cornice non risulta corretto, quindi, il ragionamento dei secondi giudici nella parte in cui hanno ritenuto che sussistente un valido contratto di appalto rivenendo in esso gli elementi costitutivi del rapporto tipico quale regolato dall’art. 1655 c.c., e ritenendo non necessaria l’esistenza di particolari mezzi e strutture gestionali in considerazione della natura dell’attività prestata (servizio di facchinaggio) senza svolgere alcuna verifica degli elementi allegati dall’Amministrazione finanziare in sede di gravame, debitamente trascritti in ossequio al principio dell’autosufficienza In esso si sottolineava come i soci della cooperativa in quanto tenuti al rispetto degli stessi orari e turni di quelli del personale dell’impresa committente, avessero svolto la loro attività inseriti nell’organizzazione della impresa committente ricevendone ordini e direttive dai responsabili di questa e quindi si denunciava nella sostanza l’assenza di dati indicativi dell’esercizio di poteri di gestione e di organizzazione dell’attività lavorativa da parte dell’appaltante che come si è detto rappresentano elementi essenziali ai fini dell’individuazione della fattispecie vietata.

La sentenza va cassata alla CTR del Lazio per un nuovo esame e per l’eventuale liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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