Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13412 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13412 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA
sul ricorso 1087-2010 proposto da:
CARMASSI

LUIGI

CRMLGU36E01E715N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo
studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI,
rappresentato e difeso dall’avvocato ROMANO ZIPOLINI;
– ricorrente contro

2015
1247

GIANNOTTI

FRANCO

GNNFNC35T14L833V,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LUCRINO 5, presso lo studio
dell’avvocato LUCIO TAMBURRO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FRANCESCO FRATI;

Data pubblicazione: 30/06/2015

- controricorrente

avverso la sentenza n. 1604/2008 della CORTE D’APPELLO

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di FIRENZE, depositata il 18/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/04/2015 dal Consigliere Dott. LINA

udito

l’Avvocato

Tamburro

Lucio

difensore

del

controricorrente che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per
l’accoglimento del primo e secondo motivo,
l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso.

MATERA;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 23-10-1996 Carmassi Luigi
conveniva dinanzi al Tribunale di Lucca Giannotti Franco, per
sentirlo condannare a chiudere la finestra dal medesimo aperta nella

rispettiva proprietà.
Nel costituirsi, il Giannotti resisteva alla domanda, deducendo
che la situazione lamentata era tale da tempo immemorabile.
Con sentenza in data 27-6-1995 il Tribunale adito rigettava la
domanda, ritenendo che il convenuto aveva acquistato per
usucapione la servitù di veduta, essendo la configurazione dei luoghi
tale sin dal 1964.
Con sentenza in data 27-4-2000 la Corte di Appello di Firenze
rigettava il gravame proposto avverso tale decisione dall’attore,
rilevando, in particolare, che la finestra in questione costituiva
veduta e non luce, in quanto l’altezza del parapetto consentiva a
qualunque persona di statura normale di inspicere sul fondo altrui, e
che dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e delle
deposizioni testimoniali si evinceva che l’apertura datava dal 19641965.
Avverso la predetta pronuncia proponeva ricorso per
cassazione il Carmassi.

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vetrata installata nel muro divisorio dei due fondi confinanti, di

Con sentenza in data 4-8-2004 la Corte di Cassazione riteneva
fondato il primo motivo di ricorso, rilevando che ai fini della
sussistenza di una veduta è necessario, oltre al requisito della
inspectio, anche quello della prospectio, in relazione al quale, in

impugnata. Il giudice di legittimità, pertanto, cassava tale sentenza
con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, ai fini
della valutazione anche della possibilità di affaccio, invitando altresì
il giudice del rinvio ad esaminare la questione afferente al parametro
utilizzato dell’altezza media, sul quale pure si era appuntata la
critica del ricorrente.
A seguito della riassunzione della causa, con sentenza in data
18-11-2008 la Corte di Appello di Firenze, pronunciando quale
giudice di rinvio, rigettava l’appello, rilevando che l’apertura in
oggetto, posta ad un’altezza di cm. 155 dal pavimento, consentiva ad
una persona di media altezza non soltanto di vedere al di là di essa,
ma anche di affacciarsi e di guardare sia di fronte che lateralmente
sul fondo del vicino, nella stessa misura in cui lo consentiva il
parapetto che in passato delimitava il terrazzo successivamente
chiuso dal Giannotti per realizzare un ulteriore volume. Di
conseguenza, secondo la Corte territoriale, rimaneva confermata la
validità dell’impianto motivazionale che aveva indotto il giudice di ,
primo grado ad affermare l’intervenuta usucapione.

violazione dell’art. 901 c.c., nulla era stato detto nella sentenza

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Carmassi
Luigi, sulla base di quattro motivi.
Giannotti Franco ha resistito con controricorso, e in prossimità
dell’udienza ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c.

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione
degli artt. 901 e 902 c.c.. Deduce che il giudice del rinvio, ignorando
la contraria giurisprudenza di legittimità e lo specifico invito
rivoltogli dalla Corte di Cassazione a tener conto delle critiche
mosse dal ricorrente in ordine al criterio dell’altezza media
utilizzato nella sentenza cassata, per stabilire se il parapetto per cui
è causa può consentire o meno il prospicere in alienum, senza
l’ausilio di mezzi artificiali, ha erroneamente applicato il parametro
dell’altezza media, in luogo di quello dell’altezza media. Sostiene
che, applicando il criterio di normalità, invece di quello di inedietà,
non può che giungersi alla conclusione secondo cui un parapetto alto
m. 1,55 + 2 non consente ad una persona normale di poter prospicere
in alienum. Rileva, pertanto, che nella specie l’apertura deve essere
considerata come luce e non veduta e, in quanto luce irregolare, è
soggetta all’azione di cui all’art. 902 ultimo comma c.c.
L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.,
applicabile

ratione temporis

al ricorso in esame: “Se nella

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MOTIVI DELLA DECISIONE

distinzione tra luce e veduta ex artt. 900-902 c.c., tenuto conto che i
requisiti per l’esistenza di una veduta sono non soltanto la inspectio
ma la prospectio, la possibilità di affacciarsi sul fondo del vicino
deve essere determinata con riferimento a una persona di altezza

media, essendo indicativo di un unico valore numerico, intermedio
fra una minimo e un massimo, non si identifica con quello di altezza
normale che comprende una serie di valori di diversa entità
matematica entro suddetti limiti”.
2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, anche in relazione
all’art. 384 comma 2 c.p.c. Deduce che la Corte di Appello, nel
richiamare apoditticamente il parametro dell’altezza media, senza
preoccuparsi minimamente della problematica segnalata dalla Corte
di Cassazione in ordine alla distinzione tra il parametro dell’altezza
media e quello dell’altezza normale, ha violato il principio posto dal
citato art. 384 c.p.c., secondo cui il giudice di rinvio deve
uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla
Corte. Rileva, infatti, che la Suprema Corte, nell’accogliere il primo
motivo di impugnazione del ricorrente e nel ritenere assorbita ogni
altra questione, aveva specificato che il giudice di rinvio avrebbe
dovuto

“pure…esaminare” “ogni altra questione afferente al

parametro utilizzato” e cioè “la statura media, su cui la critica pure

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normale e non di statura media, posto che il concetto di statura

si appunta”.

Sostiene, inoltre, che, poiché i requisiti indispensabili

per poter affermare l’usucapione devono sussistere sin dall’inizio, e
cioè da almeno venti anni prima della introduzione del giudizio, non
ha senso logico né giuridico sostenere che “una persona di media

altezza… oggi non è più quella di un tempo, come gli studi statistici
del dopoguerra hanno posto in rilievo”, poiché non è l’altezza di

oggi quella che rileva, ma quella del tempo trascorso.
Il quesito posto è il seguente: “Se la motivazione
dell’affermazione dell’usucapione di un diritto di servitù di veduta
possa essere fondata su un dato di fatto venuto ad esistenza in data
successiva all’inizio del decorso dei venti anni e se non debba
ritenersi sussistere il vizio di motivazione là dove la sentenza non
esamina “ogni altra questione afferente al parametro utilizzato”,
come disposto dalla Corte di Cassazione, nel rispetto dell’art. 384 II
comma c.p.c.”
3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione
dell’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., in relazione ai principi che
disciplinano l’onere probatorio. Deduce che la Corte di Appello,
nell’affermare che l’attuale apertura consente di vedere “nella stessa
misura in cui lo consentiva il parapetto che delimitava il terrazzo
che è stato successivamente chiuso dal Giannotti per realizzare un
ulteriore volume”, ha affermato un fatto che il convenuto non ha mai

provato né chiesto di provare. Sostiene, infatti, che il Giannotti ha

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‹,

chiesto di provare a mezzo testi l’esistenza di una parete vetrata da
un tempo sufficiente ad acquistare per usucapione la servitù di
veduta, ma non ha mai asserito né, tanto meno, chiesto di provare
che, prima della installazione della parete vetrata -ove è stata

realizzata l’apertura oggetto di causa- si potesse esercitare in
qualche modo una veduta.
4) Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione
dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., in relazione agli artt. 1061, 900-902 c.c.
Deduce che il giudice di appello, nel far decorrere il termine utile
per l’usucapione dalla realizzazione (non dimostrata) del solo
parapetto della terrazza, a suo dire posto già nel 1965 all’altezza di
m. 1,55, non ha considerato che la presenza di un parapetto di
quell’altezza, dal quale nessuno, nel 1963-1964, poteva inspicere né,
tanto meno,

prospicere,

costituiva elemento inidoneo ai fini

dell’usucapione, perché privo del requisito dell’apparenza e della
inequivocità.
A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito:
“Se il requisito dell’apparenza, che condiziona l’usucapibilità di una
servitù, non consiste soltanto nell’esistenza di segni visibili e di
opere permanenti, ma richiede altresì che queste ultime, come mezzo
necessario all’esercizio della servitù medesima, siano in pari tempo
un indice non equivoco del peso imposto al fondo servente, in modo
da fondare la presunzione che il proprietario di questo ne sia a

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i

conoscenza e se non sia indispensabile che la sussistenza o meno di
quei requisiti sia idoneamente motivata”.
5) I primi due motivi, che per ragioni di connessione possono
essere trattati congiuntamente, appaiono fondati, nei limiti di seguito

La Corte di Cassazione, con la pronuncia resa in data 4-82004, ha cassato con rinvio la sentenza del 27-4-2000 della Corte di
Appello di Firenze, osservando che ai fini della sussistenza di una
veduta è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello
della prospectio, dovendo l’apertura consentire non solo di guardare
frontalmente, ma anche di affacciarsi, e quindi di guardare anche
obliquamente e lateralmente, in modo da assoggettare il fondo alieno
ad una visione mobile e globale; laddove nella sentenza impugnata,
mentre si sosteneva che qualunque persona di statura media è in
grado di inspicere sul fondo altrui da un parapetto alto 155 cm.,
nulla si diceva riguardo alla prospectio, e cioè all’affaccio. Il
giudice di legittimità, di conseguenza, nel rilevare che tale
omissione integrava la violazione, ai fini della distinzione tra luci e
vedute, dell’art. 901 c.c., ha disposto che la situazione venisse
nuovamente presa in esame alla luce dell’esposto principio di diritto,
affinché fosse valutata anche la possibilità di affaccio; con la
precisazione che il giudice di rinvio avrebbe dovuto
“pure __esaminare”

la

“questione afferente al parametro

7

precisati.

utilizzato”, e cioè “la statura media, su cui la critica pure si
appunta”.
Così statuendo, il giudice di legittimità ha chiaramente
invitato il giudice di rinvio ad attenersi, nella valutazione del

prevalente, secondo cui la possibilità di affacciarsi sul fondo del
vicino deve essere determinata con riferimento a una persona di
altezza normale e non di statura media, posto che il concetto di
statura media, essendo indicativo di un unico valore numerico,
intermedio fra un minimo e un massimo, non si identifica con quello
di altezza normale, che comprende una serie di valori di diversa
entità matematica entro i suddetti limiti (Cass. 5-11-2012 n. 18910;
Cass. 17-11-2003 n. 17343; Cass. 23-2-1983 n. 1382).
Il giudice di rinvio, senza recepire l’effettiva portata del
decisum e discostandosi dal richiamato indirizzo giurisprudenziale,
nel valutare se la finestra realizzata dal Giannotti consentisse la
possibilità non soltanto di inspicere, ma anche di prospicere sul
fondo dell’attore, ha ancora una volta utilizzato il parametro della
persona di altezza “media”, omettendo ogni indagine circa la
possibilità di affaccio da parte di una persona di altezza “normale”.
Di conseguenza, in accoglimento dei motivi in esame,
s’impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra
Sezione della Corte di Appello di Firenze, la quale, alla luce dei

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requisito della prospectio, al criterio seguito dalla giurisprudenza

principi di diritto innanzi enunciati, dovrà accertare se la finestra
oggetto di causa, per le sue caratteristiche, consenta un comodo
affaccio sul fondo dell’attore, con riferimento a una persona di
statura normale e non di statura media.

giudizio di legittimità.
Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione i primi due motivi di
ricorso; dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese ad altra
Sezione della Corte di Appello di Firenze.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9-4-20
Il Consigliere relatore

Il Pres

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente

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