Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13412 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 17/06/2011), n.13412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6365/2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Po n. 25/b, presso lo

studio dell’Avv. PESSI Roberto, che la rappresenta e difende per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., D.M.E. e T.I.,

elettivamente domiciliati in Roma, Viale Glorioso n. 13, presso lo

studio dell’Avv. BUSSA Livio, che li rappresenta e difende assieme

all’Avv. Roberto Giusti per procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 328/2009 della Corte d’appello di Firenze,

pronunziata in causa n. 1176/08 r.g., depositata in data 4.3.2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 10.05.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito l’Avv. Bussa;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- Con sentenza del Tribunale di Lucca veniva accolta la domanda di B.M., D.M.E. e T.I. di dichiarare nullo il termine apposto alla loro assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., disposta per i periodi 10- 29.2.00 ( B.), 8-31.01.01 ( D.M.) e 1.07-30.09.00 ( T.) con declaratoria del contratto a tempo indeterminato e condanna del datore alla riammissione in servizio con corresponsione delle retribuzioni dalla messa in mora.

2.- Proposto appello da Poste Italiane s.p.a., la Corte d’appello di Firenze con sentenza depositata il 4.03.09 rigettava l’impugnazione.

Quanto alle posizioni B. e D.M., la Corte di merito rilevava che – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per fare fronte ad esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda.

Considerato che la norma collettiva consentiva l’assunzione a termine per detta causale solo fino al 30.4.98, riteneva che per entrambi i contratti il termine fosse illegittimamente apposto.

Quanto alla posizione T., ove il termine risultava apposto per necessità di espletamento del servizio di recapito in concomitanza di assenze per il periodo feriale ed in funzione delle punte di più intensa attività stagionale, ferma restando la già rilevata assenza della clausola autorizzatoria collettiva, rilevava che la sostituzione avrebbe richiesto l’indicazione del dipendente sostituito e la prova del nesso causale esistente tra scopertura e contratto a termine.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui B., D.M. e T. rispondevano con controricorso.

4.- Il consigliere relatore ai sensi degli artt. 380 bis e 375 c.p.c., ha depositato relazione, che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

5.- I motivi proposti dalla soc. Poste possono essere così riassunti:

5.1.- violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 1362 c.c., e segg. e art. 8 del ccnl 26.11.94, nonchè degli accordi 25.9.97, 16.1.98, 27.4.98 e 18.1.01, contestandosi l’interpretazione data alla contrattazione collettiva dal giudice di merito, in particolare evidenziandosi la contraddittorietà della sentenza impugnata quando afferma che l’accordo 25.9.97, pur derogando alla disciplina generale del contratto a termine, sarebbe soggetta ad un limite temporale di efficacia;

5.2.- violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonchè carenza di motivazione, il quanto il rapporto si sarebbe risolto per mutuo consenso, costituendo il lasso di tempo trascorso (tra la cessazione e l’offerta della prestazione) indice di disinteresse a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto;

5.3.- violazione della detta normativa di provenienza collettiva e carenza di motivazione per la limitazione al 30.4.98 della possibilità di apposizione del termine per la fattispecie “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”, non essendo necessaria l’indicazione del nominativo del lavoratore sostituito.

6.- Il secondo motivo (risoluzione per mutuo consenso, v. sub 5.2), da trattare per primo per ragioni di consequenzialità logica), è inammissibile, non essendo la questione trattata dal giudice di appello, il quale anzi aveva ritenuto la questione stessa inammissibilmente proposta solo in secondo grado.

7.- Quanto al primo motivo (v. sub 5.1, relativo alle posizioni B. e D.M.), la giurisprudenza ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva dunque procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di presupposto normativo.

In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto sia scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378). Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo- negoziale costituito dall’art. 23 della legge 28.2.87 n. 56 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

8.-L’impostazione adottata consente di affermare che la sussistenza delle esigente eccezionali è stata negozialmente riconosciuta dalle parti stipulanti limitatamente ad un periodo temporale che è limitato alla data del 30.4.98 e che, conseguentemente, la legittimità dei contratti a termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art. 23, che esclude l’onere di Poste Italiane di dare prova di una specifica e concreta esigenza.

Essendo stati i contratti a termine di B. e D.M., oggetto della pronunzia impugnata, stipulati per i periodi 1-29.02.00 e 8-31.01.01, il motivo è infondato.

9,- Quanto al terzo motivo (v. n. 5.3, relativo alla posizione T.) deve ribadirsi, anche in sede di interpretazione diretta delle disposizioni del contratto collettivo, la giurisprudenza (v.

per tutte Cass. 2.3.07 n. 4933) che, decidendo su fattispecie inerente l’ipotesi di assunzione a tempo determinato prevista dall’art. 8 del precedente c.c.n.l. 26.11.94 dei lavoratori postali “per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno/settembre” ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

Infatti, l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva è autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie prevista dalla legge n. 230 del 1962, in considerazione del principio (Cass. S.u., 2.3.06 n. 4588) che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati. Questi ultimi, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti.

10.- Deve ritenersi infondata la tesi della difesa dei controricorrenti che, a proposito della posizione T., afferma che la ricorrente non avrebbe impugnato quella parte della motivazione della sentenza che ritiene inesistente la clausola autorizzatoria collettiva per la fattispecie della sostituzione del personale in ferie, dato che il ricorso di Poste Italiane è diretto ad affermare la applicabilità senza limiti temporali di tutto l’art. 8 del ccnl 1994 (e, quindi, anche per la parte che legittima il termine in occasione de concomitanza ferie) alle tre fattispecie in oggetto, E’, invece, arbitraria l’affermazione del giudice di merito che per l’apposizione del termine per sostituzione di personale assente per ferie esisterebbe un problema di limite temporale di applicabilità della clausola collettiva autorizzatoria, atteso che nella controversia in questione non risulta sollevata la questione della scadenza del contratto collettivo 1994.

Il motivo, riferito alla posizione T., è pertanto fondato.

11.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato per le posizioni B. e D.M. e deve essere accolto per T., con conseguente cassazione della sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento.

Per T., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può provvedersi nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, pronunziando il rigetto della domanda.

Le spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza.

Per le spese del giudizio di merito, sempre liquidate in unica soluzione essendo le attrici odierne controricorrenti costituite con unica difesa fin dal primo grado, deve procedersi a compensazione quanto alla posizione T. ed alla rideterminazione delle stesse nella misura di due terzi di quanto complessivamente determinato dai giudici di primo e secondo grado quanto alle posizioni B. e D.M..

P.Q.M.

La Corte così provvede:

– rigetta il ricorso proposto nel confronti di B.M. e D.M.E., condannando la ricorrente Poste Italiane s.p.a. alle spese del giudizio di legittimità in favore delle stesse nella misura complessiva di Euro 20,00 (venti) per esborsi e di Euro 1.500,00 (millecinquecento) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., rideterminando le spese del giudizio di merito tra le stesse parti nella misura di due terzi di quanto complessivamente liquidato dai giudici di primo e secondo grado;

– accoglie il ricorso nei confronti di T.I. e, cassata la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento, provvedendo nel merito, rigetta la domanda, condannando la controricorrente alle spese del giudizio di legittimità nella misura di Euro 20,00 (venti) per esborsi e di Euro 1.500,00 (millecinquecento) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., compensando tra le parti le spese del giudizio di merito.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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