Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13411 del 30/06/2016


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Cassazione civile sez. trib., 30/06/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 30/06/2016), n.13411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25492/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE BRUNO

BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FAUSTO CIAPPARONI, che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 123/2009 della COMM. TRIB. REG. del LAZIO,

depositata il 02/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CIAPPARONI che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il contribuente svolge professione di commercialista. Per l’anno 1998 ha versato l’IRAP per un importo di 4335,00, versamento di cui ha chiesto il rimborso, deducendo di non essere tenuto al pagamento.

Ha impugnato il silenzio rifiuto sostenendo adducendo la mancanza di un’organizzazione autonoma della sua attività professionale, assistita da tre borsisti, quattro collaboratori, ed una segretaria, ma in un locale in conduzione cori altri colleghi.

La Commissione provinciale ha respinto il ricorso, ma la decisione è stata riformata in appello.

Ora propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, denunciando omessa motivazione su un punto controverso, quello dell’ammontare delle spese sostenute e dichiarate al rigo RE dallo stesso contribuente.

Resiste con controricorso il commercialista.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La sentenza impugnata, dopo aver ricordato le regole fissate in tema di Irap, ed aver ritenuto che solo l’accertamento della effettiva autonomia organizzativa comporta l’obbligo di pagamento dell’imposta, ha però fatto leva su una sentenza precedente della Commissione provinciale, passata in giudicato, la quale aveva riconosciuto il diritto al rimborso dell’acconto Irap proprio per l’anno di imposta qui considerato.

1.- Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia denuncia omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo.

In particolare, sostiene di avere fatto valere con l’appello una specifica circostanza. Lo stesso contribuente nella dichiarazione dei redditi, al rigo RE, aveva denunciato costi per un ammontare notevole, in particolare per collaboratori (78 mila Euro circa), dipendenti (13 mila circa) immobili (25 mila), per compensi a terzi (circa 93 mila).

Nonostante ciò, i giudici di appello non hanno tenuto in considerazione questa circostanza, limitandosi a rilevare che, con precedente e definitiva sentenza, era stato disposto il rimborso dell’acconto Irap, e che comunque nel caso di lavoro autonomo è da presumersi la mancanza di autonoma organizzazione.

Il motivo è inammissibile.

La decisione impugnata è basata su due rationes decidendi. Una fa applicazione del precedente giudicato, che si era formato sull’acconto Irap proprio per il medesimo anno di imposta, e ritiene dunque preclusa la questione dell’obbligo di pagare conseguentemente il saldo. L’altra decide nel merito ritenendo comunque inesistente il presupposto dell’autonoma organizzazione imprenditoriale, necessario per l’assoggettamento all’imposta in questione.

Il ricorso censura solo la seconda e non la prima delle due rationes decidendi. E’ regola consolidata di questa Corte che allorchè la sentenza di primo grado pronunci sulla domanda in base ad una pluralità di autonome ragioni, ciascuna di per sè sufficiente a giustificare la decisione, come al giudice è consentito, qualora egli, ritenendo di poter fondare la decisione sopra una determinata ragione di merito, ritenga utile valutare anche un’altra concorrente ragione, parimenti di merito, al fine di fornire adeguato sostegno alla decisione adottata, la parte soccombente ha l’onere di censurare con l’atto d’appello ciascuna delle ragioni della decisione, non potendosi, in difetto, trattare successivamente della ragione non tempestivamente contestata e non potendosi, conseguentemente, più nemmeno utilmente discutere, sotto qualsiasi profilo, della stessa statuizione che nella detta ragione trova autonomo sostegno, a nulla valendo a tal fine la richiesta di integrale riforma della sentenza, poichè la non contestata autonoma ragione di decisione resta anche in tal caso idonea a sorreggere la pronunzia impugnata, non potendo il giudice d’appello estendere il suo esame a punti non compresi neppure per implicito nei termini prospettati dal gravame, senza violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (Sez. 1, n. 18310 del 2007; Sez. L, n. 7809 del 2001).

La mancata censura della statuizione sul giudicato, rende inammissibile il ricorso per via della conseguente impossibilità di censurare il merito.

Il ricorso va dunque respinto e le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessive 1500,00 Euro, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016

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