Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13410 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 01/07/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 01/07/2020), n.13410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 33492/2018 proposto da:

C.L., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato EMANUELE GUARINO;

– ricorrente –

contro

IL NOTTURNO DI M.T. & C. S.A.S., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

MOZZI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO PEZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5302/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/10/2018 R.G.N. 767/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito

l’Avvocato VINCENZO MOZZI per delega Avvocato ANTONIO PEZONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 5302/2018, in accoglimento del reclamo proposto dalla società Il Notturno s.a.s. di M.T., ha riformato la sentenza del Tribunale di Napoli e dichiarato la legittimità del licenziamento intimato in data 23 giugno 2015 dalla società convenuta al dipendente C.L..

2. Secondo la ricostruzione dei fatti risultante dalla sentenza di appello, il dipendente, guarda giurata in servizio presso la società reclamante, assegnato ad un turno di lavoro notturno con luogo di piantonamento itinerante su cantiere con l’utilizzo di un’auto di servizio collegata al centro operativo anche mediante sistema satellitare, si era allontanato senza autorizzazione dall’area a lui assegnata per la vigilanza.

2.1. Il giudice di primo grado, pur riconoscendo veritiera la ricostruzione dei fatti fornita dall’azienda, aveva accolto l’impugnazione basandosi sostanzialmente su tre argomenti: l’assenza, nella contestazione disciplinare, della specifica ipotesi dell’abbandono del posto di lavoro e il carattere generico dell’espressione contenuta nella lettera di contestazione “oltremodo distante”, riferita al luogo in cui il C. si era recato e aveva commesso un incidente stradale; la non gravità dell’allontanamento temporaneo; l’unicità del fatto ascritto, rispetto al quale le omissioni o le reticenze successive del C. costituivano meri tentativi di nascondere l’accaduto, non idonei a ledere il vincolo fiduciario.

3. La Corte d’appello, nel ribaltare tale giudizio, ha affermato in sintesi che:

a) anche a prescindere dai risultati del tracciamento satellitare dell’autovettura assegnata al C., che avevano confermato il posizionamento del luogo dell’incidente al di fuori dell’area sottoposta a vigilanza, la versione dei fatti offerta dal lavoratore è poco plausibile;

b) la fattispecie contestata è l’abbandono del posto di lavoro, come risulta dall’avere la contestazione fatto riferimento all’incidente avvenuto in via (OMISSIS) ovvero in luogo “oltremodo distante” dal luogo di lavoro assegnato per il turno di servizio e dal fatto che il C. non aveva chiesto l’autorizzazione ad allontanarsi dal sito vigilato;

c) la fattispecie dell’abbandono del posto di lavoro è tipizzata dalle parti sociali tra le cause di recesso per giusta causa ex art. 140 comma 2 c.c.n.l. dei dipendenti dell’istituto di vigilanza privata: tale fattispecie presenta una duplice connotazione, una di carattere oggettivo, in base alla quale deve identificarsi il concetto di abbandono nel totale distacco dal bene da proteggere, e un’altra, di carattere soggettivo, consistente nella coscienza e volontà dell’agente di voler realizzare la condotta incriminata, fatta salva l’eventuale configurabilità di cause discriminanti e restando irrilevante il motivo dell’allontanamento;

d) nel caso di specie, risultavano provati entrambi i presupposti, ossia il totale distacco dal bene da proteggere e la coscienza e volontà del lavoratore di porre in essere la condotta incriminata, posto che l’abbandono era avvenuto senza alcun avviso alla centrale operativa e per futili motivi;

e) è da escludersi la configurabilità dell’abbandono temporaneo del posto di lavoro o una semplice superficialità da parte del dipendente, posto che la vigilanza del cantiere era visiva con piantonamento itinerante, per cui anche un allontanamento di pochi minuti poteva pregiudicarla;

f) quanto alle reticenze e alle omissioni sulle reali modalità del sinistro, si era trattato non soltanto di maldestri tentativi di coprire l’accaduto, ma di una condotta anch’essa suscettibile di ledere gli interessi del datore di lavoro e del vincolo fiduciario.

4. Per la cassazione di tale sentenza C.L. ha proposto ricorso affidato a cinque

motivi.

Ha resistito con controricorso la società Il Notturno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte di appello ritenuto che l’abbandono del posto di lavoro fosse condotta specificamente contestata nell’avvio del procedimento disciplinare, mentre nella descrizione dei fatti contenuta nella lettera di contestazione era stato soltanto evidenziato che l’incidente stradale era avvenuto “in una strada oltremodo distante dal luogo assegnato il turno di servizio” e che il ricorrente si era allontanato dal sito vigilato senza avere richiesto la previa autorizzazione nè via radio nè via telefono.

2. Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per avere la sentenza ritenuto contestati più fatti disciplinarmente rilevanti, mentre si era in presenza di un unico fatto non scindibile nelle sue varie componenti.

3. Il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, per avere la Corte d’appello ritenuto i fatti contestati idonei a costituire giusta causa di licenziamento. Si assume che l’avere causato un sinistro non costituisce illecito disciplinare, così come l’avere mentito al datore di lavoro, dovendosi invece escludere in concreto l’abbandono del posto di lavoro in presenza di mere irregolarità. Anche l’avere arrecato danni alle cose ricevute in dotazione costituisce una negligenza, che però non può dare origine ad una sanzione espulsiva. Si ribadisce che l’assenza dal cantiere è durata in tutto poco meno di venti minuti.

4. Il quarto motivo denuncia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, per non avere la sentenza ritenuto i fatti suscettibili di sanzione conservativa, in presenza non di un abbandono definitivo della postazione di lavoro, ma di mere irregolarità nell’adempimento del servizio, quali devono ritenersi la mancata richiesta di autorizzazione preventiva e i danni arrecati alle cose ricevute in dotazione, negligenze queste che al più sarebbero riconducibili nell’alveo applicativo dell’art. 18 cit., comma 5.

5. Il quinto motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la sentenza ritenuto plausibile la ricostruzione dei fatti riferita dalla società e invece non plausibile quella fornita dal ricorrente, sostanzialmente incentrata sul verificarsi dell’incidente all’interno dell’area sorvegliata.

6. I primi due motivi, vertenti sulla contestazione disciplinare, sono infondati.

6.1. In tema di licenziamento disciplinare, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità; l’apprezzamento di tale requisito – da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali – è riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata (Cass. n. 13667 del 2018). Inoltre, per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione (Cass. n. 9590 del 2018). Infine, va ribadito che nell’interpretazione degli atti unilaterali, il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 1, impone di accertare – mancando una comune intenzione delle parti – esclusivamente l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, ferma l’applicabilità, atteso il rinvio operato dall’art. 1324 c.c., del criterio dell’interpretazione complessiva dell’atto e senza che possa farsi ricorso alla valutazione del comportamento dei destinatari di esso (Cass. n. 25608 del 2013).

6.2. Nel caso in esame, la contestazione disciplinare è stata esaminata dalla Corte di appello, che ne ha valutato l’adeguatezza rispetto al canone di specificità in relazione ai fatti ascritti. Il ricorso per cassazione non denuncia alcuna violazione dei canoni di ermeneutica negoziale quanto all’interpretazione del contenuto della lettera di contestazione disciplinare, nè è prospettata la violazione dei diritti di difesa in conseguenza di un ipotetico difetto di specificità.

Il ricorso tende a sostenere che la condotta contestata non fosse in realtà prospettata come ipotesi di abbandono del posto di lavoro; tuttavia, tale questione non attiene al requisito di specificità della contestazione disciplinare, ma alla qualificazione giuridica dei fatti ascritti nella lettera di contestazione in termini di allontanamento temporaneo o di abbandono del posto di lavoro e dunque è questione interpretativa della fattispecie.

7. Sono infondati anche il terzo e il quarto motivo, da trattare congiuntamente, riguardando la qualificazione della fattispecie e la sua riconducibilità o meno all’ipotesi della giusta causa di licenziamento di cui all’art. 2119 c.c..

7.1. Anche a voler prescindere dalla mancata trascrizione delle norme del codice disciplinare che vengono invocate da parte ricorrente per accreditare la distinzione tra l’ipotesi dell’abbandono del posto di lavoro, suscettibile di licenziamento disciplinare, e quella dell’allontanamento temporaneo dal luogo di lavoro, comunque va richiamato l’orientamento interpretativo già espresso da questa Corte in fattispecie analoghe. E’ stato infatti affermato (Cass. n. 15441 del 2016) che, a norma dell’art. 140 del CCNL Istituti di vigilanza privata, la più grave fattispecie giustificativa del licenziamento rispetto alla ipotesi dell’allontanamento momentaneo non può essere fatta discendere dal fine perseguito dal lavoratore piuttosto che dalla coscienza e volontà di sottrarsi temporaneamente all’adempimento delle proprie obbligazioni. Si è sottolineato che l’abbandono del posto di lavoro presenta una duplice connotazione, soggettiva ed oggettiva. Sotto il profilo oggettivo rileva l’intensità dell’inadempimento agli obblighi di sorveglianza, dovendosi l’abbandono identificare nel totale distacco dal bene da proteggere (o, se si vuole, nella completa dismissione della condotta di protezione).

Costituiscono elementi di valutazione della condotta del dipendente in generale, l’idoneità dell’inadempimento del lavoratore a pregiudicare le esigenze di prevenzione proprie del servizio svolto. La stessa durata nel tempo della condotta contestata deve essere apprezzata non già in senso assoluto, ma in relazione alla sua possibilità di incidere sulle esigenze del servizio (v. sent. cit., nonchè Cass. n. 7296 del 1998 e n. 5804 del 1987), dovendosi invece escludere che l’abbandono richieda una durata protratta per l’intero orario residuo del turno di servizio svolto. Tale apprezzamento, poi, deve essere compiuto con giudizio ex ante, relativo al momento dell’inadempimento e non già ex post, alla luce del concreto verificarsi dei fatti, che resta del tutto estraneo alla sfera di intervento e controllo del dipendente. Sotto il profilo soggettivo l’abbandono richiede un elemento volontaristico consistente nella semplice coscienza e volontà della condotta di abbandono (nel senso qui definito), indipendentemente dalle finalità perseguite, e salva la configurabilità di cause scriminanti (v. in tal senso, Cass. n. 15441 del 2016, con cui questa Corte ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva ritenuto sussistente non l’abbandono del posto di lavoro, ma l’allontanamento da esso, da parte di una guardia giurata che si era recata ad acquistare un giornale a circa cinquecento metri di distanza, lasciando incustodito, in orario diurno e per poco più di cinque minuti, l’ingresso pedonale del perimetro aziendale).

7.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, laddove ha evidenziato il carattere volontario dell’allontanamento senza previa autorizzazione, l’idoneità dello stesso a pregiudicare l’effettività della tutela del bene da proteggere e la sostanziale irrilevanza della durata dell’allontanamento (valutata ex ante e non ex post, per come gli eventi si svolsero in concreto).

8. Il quinto motivo è inammissibile. Con esso parte ricorrente tende ad un rivisitazione del merito, inammissibile in questa sede. Deve in proposito evidenziarsi che la sentenza impugnata ha ricostruito la vicenda dando anche una approfondita spiegazione dei motivi per i quali la versione dei fatti fornita dal lavoratore presentava aporie e contraddizioni, mentre risultavano comprovati sia il verificarsi dell’incidente stradale al di fuori dell’area sottoposta a sorveglianza, sia la mancata richiesta di autorizzazione all’allontanamento, sia il venir meno – nel lasso di tempo trascorso della possibilità di controllo dell’area sottoposta a sorveglianza.

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2, da distrarsi in favore del procuratore antistatario di parte resistente, avv. Antonio Pezone.

10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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