Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13410 del 01/06/2010

Cassazione civile sez. I, 01/06/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 01/06/2010), n.13410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13304-2005 proposto da:

A.C., nella qualità di amministratrice e socia della

società Supermercato Quadrifoglio di Amodio Costantina & C.

S.n.c.

(c.f. (OMISSIS)), B.G. (c.f.

(OMISSIS)), V.S. (c.f. (OMISSIS)),

questi ultimi due nella loro qualità di soci della su indicata

Società, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 10,

presso l’avvocato MINNICELLI AMERIGO, che li rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, L.RE DEI MELLINI 10, presso l’avvocato MAURELLI DANIELA,

rappresentato e difeso dagli avvocati DI SANZO VINCENZO, CARNEVALE

NADIA, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

T.F., V.N.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 201/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 22/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per manifesta infondatezza e

condanna alle spese.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 16.4.1998, A.C., nella qualità di legale rappresentante e di socio della società “Supermercato Quadrifoglio di Amodio Costantina & C. s.n.c.”, B.G., T.F., e V.S., convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Castrovillari, F.G. per ottenere l’annullamento dell’arbitrale irrituale pronunciato in data 12.12.1997 e della pronuncia correttiva in data 4/11/1997 avente ad oggetto la liquidazione del socio receduto F.G..

Gli attori deducevano: 1) l’inesistenza dell’atto di correzione del lodo arbitrale per difetto di sottoscrizione, per come si evinceva dalle copie notificate; 2) la nullità del lodo arbitrale irrituale del 4.11.1997 per violazione del principio del contraddittorio, non essendo stata consentita agli attori la partecipazione al procedimento e, in particolare, non essendo stata fissata alcuna udienza, nè istruttoria nè di precisazione delle conclusioni, nullità dedotta in relazione all’art. 816 c.p.c., e, comunque, in riferimento all’art. 1429 c.c., quale errore che, dipendendo da violazione dei limiti del mandato conferito, aveva inficiato la volontà contrattuale e in relazione all’art. 1418 c.c. per violazione di norme imperative; 3) la nullità del suddetto lodo per “error in iudicando” sotto il profilo dell’errore cd. di fatto revocatorio, dipendente da eccesso di mandato implicante la violazione di norma inderogabile; più precisamente, a giudizio degli attori, l’arbitro, anzichè effettuare una valutazione della quota partendo dalla situazione patrimoniale dell’azienda, per come espressamente previsto dall’art. 2289 c.c. e dall’atto costitutivo della società, sarebbe incorso in un errore di rappresentazione del fatto pervenendo, ad una valutazione fiscale dell’azienda svincolata dalla situazione patrimoniale della società.

F.G., costituitosi in giudizio, eccepiva, in primo luogo, l’incompetenza del giudice adito, per essere la causa devoluta alla cognizione della Corte di Appello ai sensi dell’art. 828 c.p.c. e, nel merito, contestava gli assunti avversari chiedendone il rigetto.

In particolare, il convenuto rappresentava che l’arbitro aveva convocato le parti, sia in relazione alla valutazione della quota sociale, sia in occasione della presentazione dell’istanza di correzione del lodo, il cui atto originale risultava regolarmente sottoscritto anche se le copie notificate, dichiarate conformi all’originale, non riportavano la firma.

Il F., infine, contestava l’assunto di parte avversa in ordine all’asserita mancata valutazione della situazione patrimoniale della società per come era desumibile dal tenore letterale del lodo.

Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di V. N., con sentenza pronunciata in data 3 maggio 2001, il Tribunale di Castrovillari rigettava la domanda proposta da parte attrice condannando gli attori e l’intervenuto alla rifusione delle spese processuali in favore del convenuto.

Avverso la precitata sentenza, notificata in data 6.6.2001, proponevano appello dinanzi alla Corte d’appello di Catanzaro A. C., B.G., T.F., V. S. e V.N., chiedendo, la riforma della sentenza di primo grado Si costituiva in giudizio, con comparsa depositata in data 10.10.2001, F.G. deducendo l’infondatezza dei motivi di gravame e chiedendo conclusivamente il rigetto dell’appello.

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 201/04, rigettava l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza ricorrono per cassazione l’ A., il B. ed il V. sulla base di due motivi cui resiste con controricorso il F.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione del contraddittorio poichè l’arbitro unico avrebbe convocato per l’inizio delle operazioni solamente l’ A. escludendo tutte le altre parti necessarie e anche in seguito nessun’altra operazione si sarebbe svolta in contraddittorio.

Con il secondo motivo si dolgono che la liquidazione della quota del socio receduto F.G. sarebbe avvenuta sulla base di una valutazione del patrimonio su base fiscale anzichè patrimoniale.

Il primo motivo è infondato e per certi versi inammissibile.

E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che nell’arbitrato libero o irrituale, che si traduce in una regolamentazione contrattuale della contesa, la violazione del principio del contraddittorio non rileva come vizio del procedimento, ma come violazione del contratto di mandato, e può rilevare esclusivamente ai fini dell’impugnazione ex art. 1429 cod. civ., ossia come errore degli arbitri che abbia inficiato la volontà contrattuale dai medesimi espressa; ne consegue che la parte che impugna il lodo deve dimostrare in concreto l’errore nell’apprezzamento della realtà nel quale gli arbitri sarebbero incorsi, mentre il solo fatto di non essere stati ascoltati, di non aver ricevuto copia della memoria prodotta dalla controparte o di non aver potuto produrre una replica non implica di per sè un vizio della volontà degli arbitri. (Cass. 11353/04; Cass. 17636/07).

A tale proposito rileva la Corte che i ricorrenti criticano genericamente la sentenza impugnata deducendo che l’arbitro non li aveva convocati per l’inizio delle produzioni arbitrali e per non avere svolto alcuna operazione in contraddittorio. In ragione dei principi appena esposti perciò la parte che impugna il lodo deve farsi carico di dimostrare, in concreto, l’errore nell’apprezzamento della realtà nella quale gli arbitri sarebbero incorsi ed è evidente che non per il solo fatto di non essere stati i ricorrenti medesimi ascoltati o di non essere stati convocati per l’inizio delle operazioni peritali o per non avere ricevuto ulteriori convocazioni che può ritenersi dedotto e dimostrato un vizio di volontà degli arbitri.

In ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, inoltre, i ricorrenti avrebbero dovuto specificare nel ricorso medesimo quali fossero stati gli elementi concreti rappresentati al giudice di appello per dimostrare la erroneità e la illogicità del lodo per contestare la legittimità della decisione e la congruità della stessa.

Inoltre, il motivo non censura neppure in modo adeguato la sentenza impugnata dalla quale risulta che l’arbitro aveva convocato tutti i soci e che aveva poi richiesto la documentazione nei confronti della sola amministratrice della società che era l’unica a disporre dei dati per la determinazione del valore della quota.

I ricorrenti avrebbero dovuto, infatti, censurare in modo specifico la circostanza di non essere stati convocati a fronte anche alle deduzioni del contro ricorrente che fa esplicito riferimento nel controricorso alle raccomandate di convocazione inviate dall’arbitro a tutti i soci.

Il secondo motivo è inammissibile.

Con tale motivo, invero, i ricorrenti tendono a ricollegarsi al primo motivo assumendo che nel giudizio di impugnazione essi avrebbero dedotto che proprio la mancata convocazione che aveva impedito il contraddittorio aveva indotto l’arbitro alla erronea valutazione della quota del socio receduto, in tal senso risultando inadempiente al mandato ricevuto.

Tali doglianze non censurano però in modo adeguato la ratio decidendi posta alla base del capo della sentenza in questione ove si osserva che il dedotto errore di valutazione consistito nel determinare la quota in ragione di una valutazione dell’azienda sotto il profilo fiscale anzichè patrimoniale era stato sollevato sotto il profilo dell’errore revocatorio e che detto errore non ricorreva nella specie poichè non vi era stata alcuna erronea rappresentazione del fatto posto a base della decisione. Nessuna doglianza viene infatti dedotta in ordine alla rilevata insussistenza dei presupposti del vizio revocatorio. Inoltre, anche in questo caso i ricorrenti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non specificano nel ricorso medesimo quali fossero stati gli elementi concreti rappresentati al giudice di appello per dimostrare la erroneità e la illogicità della valutazione della quota effettuata dall’arbitro. In base a quanto in precedenza esposto infatti, nel caso di arbitrato irrituale non è sufficiente dedurre una violazione del contraddittorio sotto il profilo della mancata convocazione assumendo che la mancata possibilità di produrre documenti avrebbe indotto l’arbitro ad una erronea valutazione, ma è necessario dare anche conto al giudice di merito di quali sarebbero stati questi elementi che si sarebbero potuti produrre per dimostrare il fondamento del proprio assunto.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 1.000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2010

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