Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13408 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 01/07/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 01/07/2020), n.13408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4024/2014 proposto da:

UNIVERSITA DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA, in persona del Rettore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

– T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ISONZO

42-A, presso lo studio dell’avvocato ACHILLE REALI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARINELLA ANTONIA

INGUSCIO;

– AZIENDA POLICLINICO (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEL

POLICLINICO 155, presso la sede legale dell’Azienda, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO NARDELLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 8964/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/11/2013, R.G.N. 10242/2010.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza in data 12 novembre 2013 la Corte d’appello di Roma dichiara inammissibile l’appello proposto dall’Azienda Policlinico (OMISSIS) avverso la sentenza del locale Tribunale n. 13686/2010 e rigetta l’appello proposto dall’Università La Sapienza, così confermando la sentenza appellata che aveva condannato la suindicata Università al pagamento in favore di T.A. delle differenze retributive conseguenti al riconoscimento del diritto della dipendente all’attribuzione delle funzioni assistenziali mediche ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 6, comma 5, con decorrenza dall’1 luglio 1998 e sino alla data di collocamento a riposo (1 aprile 2008), oltre accessori di legge;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) l’appello dell’Azienda Policlinico (OMISSIS) è inammissibile in quanto il primo giudice ne ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva, sicchè essa non ha interesse ad impugnare la sentenza dalla quale non ha avuto alcun effetto negativo e che non le può attribuire alcun vantaggio pratico, tanto più che comunque, essendo il rapporto di lavoro della T. cessato, il relativo espletamento delle funzioni assistenziali mediche non può avere alcun effetto sull’organizzazione dell’Azienda;

b) non è stata impugnata la statuizione del Tribunale relativa all’insussistenza della giurisdizione del giudice ordinario per il periodo antecedente il 30 giugno 1998, va però affermata la sussistenza di tale giurisdizione a partire dall’1 luglio 1998;

c) è infondato il secondo motivo di appello con il quale l’Università ha riproposto l’eccezione del proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto il rapporto è sorto alle dipendenze dell’Università che ha provveduto al relativo trattamento retributivo e giuridico, come affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato;

che avverso tale sentenza l’Università degli studi di Roma La Sapienza, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, propone ricorso affidato ad un unico motivo;

che resistono, con distinti controricorsi sia T.A. sia l’Azienda Policlinico (OMISSIS).

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che preliminarmente devono essere ricordati i consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte secondo cui:

a) il controricorso è l’atto difensivo con il quale la parte contro la quale il ricorso è diretto espone le ragioni atte a dimostrare l’infondatezza delle censure mosse alla sentenza impugnata da parte del ricorrente, senza proporre una propria domanda di annullamento, totale o parziale della sentenza stessa ed osservando nella relativa formulazione l’art. 366 c.p.c., richiamato dall’art. 370, comma 2, stesso codice (Cass. 20 aprile 2012, n. 6222; Cass. 19 maggio 2016, n. 10329);

b) laddove in un atto denominato controricorso sia contenuta la richiesta, anche implicita, di cassazione totale o parziale della sentenza, tale atto può valere come ricorso incidentale purchè contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c., in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369, tra i quali rientra il rispetto, a pena di inammissibilità, del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, che comporta l’onere di indicare i termini esatti in cui la questione in contestazione era stata sottoposta al giudice di appello, in modo tale da permettere alla Corte di cassazione di verificare se essa possa ancora ritenersi “sub judice” (Cass. SU 7 dicembre 2016, n. 25045; Cass. 21 ottobre 2005, n. 20454; Cass. 14 marzo 2011, n. 5970);

che, nel presente giudizio, l’Azienda Policlinico (OMISSIS) in un atto denominato controricorso ha inserito – sia nella parte argomentativa sia nella parte conclusiva (v. pp. 5 e 6) – la richiesta della cassazione della sentenza di cui si tratta nella parte in cui ha riconosciuto il diritto di T.A. alla “strutturazione assistenziale”;

che, pertanto, tale atto, con riferimento a tale richiesta, deve essere qualificato come ricorso incidentale;

che, peraltro, esso va considerato inammissibile in primo luogo perchè nella sentenza impugnata l’appello dell’Azienda Policlinico Umberto I è stato dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione passiva, senza quindi alcuna statuizione di merito nei confronti dell’Azienda stessa, sicchè rispetto alla suindicata richiesta l’Azienda è priva dell’interesse a ricorrere, visto che non ha impugnato la dichiarazione del proprio difetto di legittimazione passiva, della quale anzi ha chiesto la conferma;

che, infatti, per costante giurisprudenza, l’interesse a ricorrere non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata ed è inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che sia diretta all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (vedi, ex plurimis: Cass. 11 luglio 2014, n. 16016; Cass. 16 marzo 2011, n. 6150; Cass. 25 giugno 2010, n. 15353; Cass. 23 maggio 2008, n. 13373; Cass. 28 aprile 2006, n. 9887; Cass. 26 luglio 2005, n. 15623; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755);

che a ciò va aggiunto che la richiesta stessa non è stata formulata in conformità con il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, nei suindicati termini;

che con l’unico motivo di ricorso l’Università degli studi di Roma La Sapienza denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.R. 30 ottobre 1993, art. 85-bis, e del D.L. n. 341 del 1999, artt. 1 e 2, convertito dalla L. n. 453 del 1999, sostenendo l’erroneità della sentenza impugnata ove ha escluso la legittimazione passiva dell’Azienda Policlinico (OMISSIS), ritenendo legittimata passivamente l’Università;

che il ricorso deve essere accolto, dovendo essere confermato, in assenza di decisivi argomenti che impongano un riesame della questione, il costante orientamento di questa Corte di legittimità (vedi, in particolare: Cass. SU 9 maggio 2016, n. 9279; Cass. SU 29 maggio 2012, n. 8521; Cass. SU 22 dicembre 2009, n. 26960; Cass. SU 15 maggio 2012, n. 7503; Cass. SU 6 maggio 2013, n. 10406; Cass. 7 marzo 2014 n. 5325; Cass. 24 maggio 2013 n. 12908; nonchè la successiva giurisprudenza di questa Corte che si è uniformata a Cass. SU n. 9279 del 2016: Cass. 8 novembre 2017, n. 26480; Cass. 19 marzo 2018, n. 6794; Cass. 7 marzo 2018, n. 5388; Cass. 28 febbraio 2018, n. 4631; Cass. 17 agosto 2018, n. 20771; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27377 e molte altre più recenti) che, decidendo su fattispecie analoghe a quella in esame, ha ritenuto la sussistenza della legittimazione passiva sia dell’Università sia della corrispondente Azienda Ospedaliera Universitaria in riferimento alla gestione del personale universitario “strutturato” nel Servizio sanitario nazionale che, pur trovandosi in rapporto di impiego con l’Università, è in rapporto di servizio con l’Azienda ospedaliera;

che nella giurisprudenza citata – la quale, nella maggior parte dei casi, è intervenuta in controversie riguardanti la spettanza dell’indennità di perequazione di cui al D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31, (c.d. “indennità De Maria”) – sono stati affermati principi di portata generale, con riguardo alla gestione del suddetto personale;

che è stato, in primo luogo sottolineato, che l’esame delle norme che disciplinano i rapporti fra Servizio Sanitario Nazionale e Università e che prevedono la loro collaborazione per l’esercizio della funzione sanitaria, dimostra che, mentre sul piano materiale l’attività sanitaria è convogliata in un modello aziendale unico (l’azienda ospedaliera universitaria), la gestione (anche sul piano finanziario) è rimessa alla Regione e all’Università, per cui la soluzione delle questioni giuridiche ed economiche fa necessariamente capo ad entrambi i soggetti pubblici considerati;

che con il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, è stata prevista l’istituzione di Aziende ospedaliere universitarie dotate di autonoma personalità giuridica e che con il D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, sono stati definiti i rapporti giuridici del personale assegnato o trasferito alle nuove aziende, stabilendosi con l’art. 4 di quest’ultimo D.Lgs., che l’organo amministrativo dell’Azienda ospedaliera universitaria (il Direttore generale) ed il Presidente dell’organo di indirizzo dell’azienda (chiamato al coordinamento delle attività didattiche e scientifica con quella strettamente assistenziale) sono nominati dal Presidente della Regione d’intesa con il Rettore;

che, inoltre, ai sensi del successivo art. 7, comma 1: “al sostegno economico-finanziario delle attività svolte dalle aziende concorrono risorse messe a disposizione sia dall’Università sia dal Fondo sanitario regionale ai sensi del presente comma. Alle attività correnti concorrono le Università con l’apporto di personale docente e non docente e di beni mobili ed immobili ai sensi dell’art. 8 sia le regioni mediante il corrispettivo dell’attività svolta…”;

che, pertanto, dall’esame della normativa che disciplina l’attività delle Università e delle Aziende ospedaliere emerge che i rapporti fra tali due enti “configurano una vera e propria cogestione” informata al principio di leale cooperazione (vedi anche: Cass. 27 ottobre 2017, n. 25670);

che in Cass. SU 29 maggio 2012 n. 8521 è stato, in particolare, affermato che il personale universitario “strutturato” nel Servizio sanitario nazionale, pur trovandosi in rapporto di impiego con l’Università, è in rapporto di servizio con l’Azienda ospedaliera, la quale, in ragione del diretto coinvolgimento nella gestione del rapporto di lavoro entro l’assetto organizzativo delineato dal D.Lgs. n. 517 del 1999, è passivamente legittimata (al pari dell’Università), rispetto alla domanda del dipendente universitario sia per l’indennità di equiparazione al personale del ruolo sanitario sia per gli altri emolumenti di spettanza, come quelli derivanti dal riconoscimento del diritto all’attribuzione delle funzioni assistenziali mediche ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 6, comma 5, di cui si discute nella presente controversia;

che, infatti, la sussistenza del rapporto di impiego con l’Università se vale a fondare l’obbligazione di quest’ultima di corrispondere gli emolumenti di spettanza, secondo un meccanismo che prevede una provvista che, in ipotesi di tal tipo, viene assicurata dal finanziamento pubblico esterno (cfr. Cass. S.U. – 15 giugno 2000 n. 439), non esclude la legittimazione passiva di altri soggetti (nel caso di specie, l’Azienda ospedaliera) cui debba invece ricondursi un – rapporto di servizio connesso al particolare meccanismo che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti universitari “strutturati” in organismi distinti dall’Università;

che in base agli indicati principi non può che essere affermata, nella specie, la sussistenza della legittimazione passiva di entrambi i suindicati enti rispetto alla domanda formulata dalla attuale ricorrente in primo grado;

che la Corte d’appello nella sentenza impugnata, avendo escluso la legittimazione passiva dell’Azienda Policlinico Umberto I ed avendo affermato l’esclusiva legittimazione passiva dell’Università degli studi di Roma La Sapienza si è discostata dai suddetti principi;

che, pertanto, il motivo di ricorso dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza – riguardante esclusivamente la statuizione della legittimazione passiva esclusiva della ricorrente – deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata in riferimento al motivo accolto;

che, in applicazione dei principi affermati da Cass. SU 16 febbraio 2016, n. 2951 (e dalla successiva conforme giurisprudenza di questa Corte), poichè la questione della legittimazione passiva del rapporto controverso – rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa – risulta essere sempre stata inserita nel thema decidendum del presente giudizio, nel contraddittorio sia dell’Università sia dell’Azienda Policlinico e non sono necessari al riguardo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, affermando la responsabilità solidale sia dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza sia dell’Azienda Policlinico (OMISSIS) – per la prima in base al rapporto di lavoro e per la seconda in base al rapporto di servizio – a corrispondere ad T.A. quanto statuito nella sentenza del Tribunale di Roma n. 13686/2010 e, quindi, condannando entrambe a provvedere al relativo pagamento (vedi, per tutte: Cass. SU n. 9279 del 2016 cit.);

che, in sintesi, il ricorso principale dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza va accolto mentre il ricorso incidentale dell’Azienda Policlinico (OMISSIS), di cui si è detto sopra, deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese dell’intero processo vengono liquidate come è indicato nel dispositivo – rispettivamente per i vari gradi del processo stesso – precisandosi che, con riguardo al presente giudizio di cassazione, la relativa liquidazione segue la soccombenza dell’Azienda Policlinico (OMISSIS) in merito al suindicato ricorso incidentale;

che si dà atto della sussistenza nei confronti della Azienda Policlinico (OMISSIS) – in riferimento al proposto ricorso incidentale dichiarato inammissibile – dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto, senza che assuma alcun rilievo in contrario il fatto che il suddetto ricorso incidentale non sia stato identificato dalla parte come tale e sia stato inserito in un atto difensivo impropriamente denominato, nel suo complesso, come controricorso, visto che al suindicato fine, in questa sede, rileva l’elemento oggettivo costituito dal tenore della pronuncia (di rigetto integrale del ricorso, ovvero di dichiarazione della improcedibilità oppure, come nella specie, della inammissibilità del ricorso) che ne determina il presupposto (vedi, per tutte: Cass. 30 ottobre 2019, n. 27867 nonchè, mutatis mutandis, Cass. 16 novembre 1976, n. 4252).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto dall’Azienda Policlinico (OMISSIS) e accoglie il ricorso principale dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e, decidendo nel merito, condanna sia l’Università degli Studi di Roma La Sapienza sia l’Azienda Policlinico (OMISSIS) a corrispondere ad T.A. quanto statuito nella sentenza n. 13686/2010 del Tribunale di Roma. Quanto alle spese processuali: 1) compensa per metà, tra i due Enti condannati, le spese del giudizio di primo grado, nella misura liquidata nella predetta sentenza del Tribunale di Roma; 2) per il giudizio di secondo grado: conferma la liquidazione delle spese del grado stabilita dalla Corte d’appello di Roma nella sentenza impugnata; 3) per il presente giudizio di cassazione condanna l’Azienda Policlinico (OMISSIS), con riguardo al suindicato ricorso incidentale, al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate nella complessiva somma di Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito in favore della ricorrente principale ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge, in favore della contruicorrente T..

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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