Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13404 del 29/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13404 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 6303-2011 proposto da:
POSTE

ITALIANE

S.P.A.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA,
PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato
STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega in
2013

atti;
– ricorrente –

719

contro

CAMASSA

EMILIO

CMSMLE83E28E882H,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 58, presso lo

Data pubblicazione: 29/05/2013

studio dell’avvocato ANTONIO CARUSO, rappresentato e
difeso dall’avvocato SIRACUSA ANTONINO, giusta delega
in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 791/2010 della CORTE D’APPELLO

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
CURZIO;
udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO per delega TRIFIRO’
SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per
l’accoglimento del sesto motivo, rigetto degli altri.

di MILANO, depositata il 01/09/2010 r.g.n. 1422/08;

1. Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di
Milano, pubblicata il 1° settembre 2010, che ha rigettato l’appello contro la
decisione con la quale il Tribunale di quella città aveva accolto la domanda di
Emilio Camassa.
2. Il signor Camassa ha lavorato in Poste italiane spa, impresa utilizzatrice di un
contratto di fornitura di lavoro temporaneo stipulato con ALI spa, per una
pluralità di periodi, a cominciare da un primo lavoro a tempo determinato
iniziato il 7 gennaio 2003 e terminato nell’aprile di quello stesso anno.
3. Tribunale e Corte d’appello, accogliendo la domanda del lavoratore hanno
ritenuto che la causale del contratto, “casi previsti dai contratti collettivi
nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice”, fosse “del
tutto generica ed inidonea ad integrare i requisiti di specificità richiesti dalla
legge n. 196 del 1997”.
4. Per tale motivo hanno ritenuto che il contratto a tempo determinato stipulato
tra il Camassa e la ALI spa si considera direttamente intervenuto tra il
lavoratore e l’impresa utilizzatrice, Poste italiane spa, con decorrenza dal
giorno dell’assunzione e si considera a tempo indeterminato. Di conseguenza,
la società utilizzatrice è stata condannata a riammettere il lavoratore in servizio
e a corrispondergli per il periodo pregresso le retribuzioni maturate dal giorno
della messa in mora, detratto l’ aliunde perceptum.
5. Poste italiane spa articola sei motivi di ricorso. Il lavoratore si è difeso con
controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria.
6. Con il primo motivo la società denunzia “omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio
(art. 360, n. 5, c.p.c.)”, assumendo che la sentenza incorre in una
contraddizione perché da un lato riconosce la correttezza formale del contratto
di fornitura per il quale non era necessaria l’indicazione della causale e
dall’altro ha posto in capo a Poste italiane spai un’omissione contenuta invece
nell’autonomo contratto tra impresa fornitrice e lavoratore. Un ulteriore vizio
riguarderebbe la carenza di motivazione circa la pretesa automatica
instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra utilizzatore e
lavoratore.
7. La censura, prima ancora che infondata nel merito (e, peraltro, basata sulla
attribuzione alla sentenza di una affermazione che questa non compie), è
inammissibile, perché il motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, primo comma,
n. 5, c.p.c., deve riguardare la motivazione in ordine alla sussistenza di un
Ricorso n. 6303.11
Udienza 26 febbraio 2013

Ragioni della decisione

Ricorso n. 6303.11
Udienza 26 febbraio 2013

fatto, che deve essere, a sua volta, controverso e decisivo. La società ricorrente
non ha indicato il fatto, né, tanto meno, ha spiegato perché sarebbe controverso
e decisivo. Per giurisprudenza consolidata, “Il motivo di ricorso con cui – ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. così come modificato dall’art. 2 del
d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si denuncia omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto”
controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente,
dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della
sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697
cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od
anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto
principale), purché controverso e decisivo. (In applicazione del principio, la
S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci si era limitati a
denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle
argomentazioni esposte dal ricorrente nel giudizio di appello, senza, però,
individuare i fatti specifici, controversi o decisivi in relazione ai quali si
assumeva fosse carente la motivazione medesima)” (Cass., ord., 5 febbraio
2011, n. 2805; cfr., anche, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655).
8. Con il secondo motivo la società denunzia “violazione e falsa applicazione
degli artt. 1, 3, e 10 della legge n. 196 del 1997 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”. Il vizio
è così sintetizzato nel quesito di diritto: “Se, laddove l’impresa utilizzatrice non
abbia violato alcuna delle disposizioni dell’art. 1 della legge 196 del 1997 e sia
stato stipulato un regolare contratto di fornitura, sia possibile applicare la
disciplina di cui all’art. 10 della stessa legge o, comunque, dichiarare la
costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e a tempo indeterminato tra
l’impresa utilizzatrice e il lavoratore interinale a seguito della omessa
indicazione nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo dei motivi di
ricorso al lavoro interinale (art. 3, terzo comma, lett. a)”.
9. Connesso è il terzo motivo, con il quale parimenti si denunzia “violazione e
falsa applicazione degli artt. 1, 3, e 10 della legge n. 196 del 1997 (art. 360, n.
3, c.p.c.)”. Con il quesito di diritto, a conclusione del motivo, si chiede di
stabilire se l’indicazione nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo dei
motivi di ricorso al lavoro interinale sia essenziale; se le sanzioni previste
dall’art. 10 siano tassative e non estensibili per analogia; se l’omissione di tale
indicazione possa dar luogo alla costituzione del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato tra il lavoratore ed impresa beneficiaria, ancorché tale sanzione
non sia prevista dall’art. 10, che nel più grave caso di omissione di forma
scritta del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo prevede la
trasformazione del contratto a tempo indeterminato con l’impresa fornitrice”.

Ricorso n. 6303.11
Udienza 26 febbraio 2013

10.1 due motivi, in cui si denunzia la violazione delle medesime norme, come si è
detto, sono connessi e devono quindi essere esaminati congiuntamente.
11.La norma di riferimento è l’art. 1, secondo comma, della legge 196 del 1997,
che consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo nelle seguenti
ipotesi: “a) nei casi previsti dai ceni della categoria di appartenenza della
impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più
rappresentativi; b) nei casi di temporanea utilizzazione di qualifiche non
previste dai normali assetti produttivi aziendali; c) nei casi di sostituzione dei
lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4” (che prevede le
situazioni in cui è vietata la fornitura di lavoro temporaneo).
12.La causale indicata nel contratto di fornitura in esame è la seguente: “Casi
previsti dai ccnl della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice”.
13.11 contratto, pertanto, invece di specificare la causale all’interno delle categorie
consentite dalla legge, si limita a riprodurre il testo della lett. a) dell’art. 1 della
legge, senza compiere alcuna specificazione: non si specifica a quali contratti
collettivi nazionali applicabili all’impresa utilizzatrice si fa riferimento, né,
tanto meno, come sarebbe necessario, a quale delle ipotesi previste dalla
contrattazione collettiva si fa riferimento.
14.La genericità della causale rende il contratto illegittimo, per violazione dell’art.
1, primo e secondo comma, della legge 196 del 1997, che consente la
stipulazione solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle
categorie specificate nel secondo comma, esigenze che il contratto di fornitura
non può quindi omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non
esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa.
15.Altro problema, poi, è quello di stabilire, a fronte di un contratto di fornitura
illegittimo, quali sanzioni sono previste dalla legge e nei confronti di quali
soggetti. Le legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per
la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo.
Per scelta legislativa i vizi del contratto commerciale di fornitura tra agenzia
interinale e impresa utilizzatrice si riflettono sul contratto di lavoro.
16.L’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla
legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di
lavoro, e quindi l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della
prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo. Infatti, l’art. 10, primo
comma, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4
e 5 (cioè violazioni di legge concernenti proprio il contratto commerciale di
fornitura), le conseguenze previste dalla legge 1369 del 1960, consistenti nel
fatto che “i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle
dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro
prestazioni”.

Ricorso n. 6303.11
Udienza 26 febbraio 2013

17.In tal senso questa S.C. si è espressa, in modo univoco e costante, con una
pluralità di decisioni, a cominciare da Cass. 23 novembre 2010 n. 23684; Cass.
24 giugno 2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714 alle cui motivazioni si
rinvia per ulteriori approfondimenti.
18.Le medesime sentenze hanno precisato che quando il contratto di lavoro che
accompagna il contratto di fornitura è a tempo determinato, alla conversione
soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a
tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei
requisiti richiesti dal decreto legislativo 368 del 2001, o dalle discipline
previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in tale
contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e
lavoratore (sul punto, v. anche: Cass. 1148 del 2013 e Cass. 6933 del 2012).
19.L’effetto finale in questi casi è la conversione del contratto per prestazioni di
lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato
tra l’utilizzatore della prestazione, datore di lavoro effettivo, e il lavoratore.
20.Pertanto, la conclusione cui sono giunti il Tribunale e la Corte d’appello di
Milano è pienamente conforme alla legge ed il secondo ed il terzo motivo di
ricorso devono essere rigettati.
21.Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 23
della legge 56 del 1987, ponendo il seguente quesito: “se il contratto di lavoro
che, ancorché stipulato in base alla legge 196 del 1997, abbia i requisiti previsti
per il contratto a termine, possa e debba nel nostro caso essere valutato, ai fini
della legittimità, in base alla disciplina prevista per il contratto a termine”. Il
motivo è infondato, perché, come si è già messo in evidenza, dei requisiti
richiesti dalla disciplina del contratto a termine prevista dal decreto legislativo
368 del 2001 o dalla legislazione previgente, manca necessariamente, quanto
meno, quello della forma scritta.
22.Con il quinto motivo si denunzia violazione della norme sulla messa in mora
assumendo che né la richiesta di tentativo di conciliazione, né il ricorso
introduttivo contenevano un atto di tale natura.
23.Questo motivo rimane assorbito a causa dell’accoglimento del sesto ed ultimo
motivo, concernente l’applicabilità alla controversia in esame dell’art. 32 della
legge n. 183 del 2010. Motivo deve che essere parzialmente accolto per le
seguenti ragioni.
24.11 quinto comma dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010 recita: “nei casi di
conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di
lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva
nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati
nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

Ricorso n. 6303.11
Udienza 26 febbraio 2013

25.11 problema interpretativo è di stabilire se la formula “casi di conversione del
contratto a tempo determinato”, riguardi anche i contratti di lavoro
temporaneo.
26.A1 problema la giurisprudenza di merito ha dato soluzioni diverse, nessuna
delle quali può dirsi prevalente. Anche la Corte costituzionale, con la sentenza
n. 303 del 2012, ha dato un’indicazione, ma non vincolante e limitata ad un
inciso, peraltro riguardante il contratto di somministrazione, in una sentenza
focalizzata su altro problema.
27.Ribadendo quanto osservato con la sentenza n. 1148 del 2013, deve ritenersi
che il quinto comma dell’art. 32 cit. riguardi anche il contratto per prestazioni
di lavoro temporaneo previsto dall’art. 3, primo comma, lett. a) della legge 24
giugno 1997, n. 196.
28.Deve in primo luogo rilevarsi che il quinto comma dell’art. 32 richiama
l’istituto contratto a tempo determinato, non una o più regolamentazioni
specifiche di tale contratto, come invece fa il quarto comma della medesima
norma.
29.Nel quarto comma, il legislatore è analitico e indica, per ciascuna ipotesi, la
disciplina di riferimento. Il quinto comma, al contrario, contiene una
formulazione unitaria, indistinta e generale. Si parla di “casi” di “conversione
del contratto a tempo determinato” senza indicare normative di riferimento, né
aggiungere ulteriori elementi selettivi.
30.La conseguenza è che per sapere se si rientra nell’ambito di applicazione della
norma dettata dal quinto comma, bisogna verificare la sussistenza di due sole
condizioni: la prima è che il contratto di lavoro deve essere a tempo
determinato, la seconda è che si deve essere in presenza di un fenomeno di
conversione.
31.11 “contratto per prestazioni di lavoro temporaneo” è previsto e regolato dalla
legge 24 giugno 1997, n. 196, che così lo definisce nell’art. 3, primo comma:
“…è il contratto con il quale l’impresa fornitrice assume il lavoratore: a) a
tempo determinato corrispondente alla durata della prestazione lavorativa
presso l’impresa utilizzatrice; b) a tempo indeterminato”.
32.Quindi, la legge prevede due categorie di contratti per prestazioni di lavoro
temporaneo: a tempo determinato e a tempo indeterminato. Il contratto di
lavoro temporaneo della prima categoria è espressamente qualificato dal
legislatore come una forma di contratto di lavoro a tempo determinato. Rientra
quindi nella categoria contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.
33.Anche la giurisprudenza europea conferma questa conclusione. La sentenza
della CGUE 11 aprile 2013, Della Rocca, ha escluso che la direttiva
1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato si applichi al contratto a tempo determinato che si

Ricorso n. 6303.11
Udienza 26 febbraio 2013

accompagni ad un contratto interinale per una ragione esegetica di fondo,
costituita dal fatto che le parti stipulanti l’accordo quadro hanno espressamente
previsto che esso “si applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di
quelli messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di
lavoro interinale”. Da tale previsione si ricava che, anche per l’accordo quadro,
e quindi per la direttiva che lo ha recepito, il contratto a termine che si
accompagna ad un contratto di lavoro interinale rientra nella categoria del
contratto a tempo determinato, tanto che il legislatore europeo, avendo
intenzione di dedicare al lavoro interinale una regolamentazione specifica, ha
ritenuto di dover operare una esclusione espressa, prevedendo quella che
definisce una eccezione, in mancanza della quale l’accordo avrebbe coperto
tale area. Se il legislatore europeo non avesse precisato “ad eccezione di quelli
messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte da parte di un’agenzia
di lavoro interinale”, la disciplina del contratto a tempo determinato sarebbe
stata applicabile al contratto di lavoro a tempo determinato collegato ad un
contratto di fornitura di lavoro interinale. “A contrario” deve ritenersi che,
quando il legislatore non prevede tale esclusione, la stessa non opera. E’
quanto è accaduto con l’art. 32, quinto comma, della legge 183 del 2010, che
ha fatto indistintamente riferimento a contratti a tempo determinato, senza
escludere i contratti a tempo determinato che si accompagnino ad un contratto
di lavoro interinale.
34.Fermo che il contratto previsto dall’art. 3, lett. a) della legge 196 del 1997 è un
contratto di lavoro a tempo determinato, il problema diviene allora quello di
stabilire se, quando ricorrano le ipotesi di illegittimità previste dall’art. 10, i
meccanismi sanzionatori previsti dalla legge integrino o meno un fenomeno
qualificabile come “conversione”.
35.L’espressione “conversione”, in materia di contratti di lavoro a tempo
determinato, viene utilizzata in dottrina e giurisprudenza per descrivere il
meccanismo in base al quale la nullità della clausola di apposizione del termine
non comporta la nullità dell’intero contratto, ma la sua elisione, secondo il
meccanismo delineato dall’art. 1419, secondo comma, c.c. con conseguente
trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo
indeterminato. L’operatività di questo meccanismo in alcuni casi si ricava dal
sistema, in altri è previsto espressamente dalla legge. E’ ciò che accade, nella
legge 196/1997, il cui art. 10, prevede varie ipotesi compresa, come si è visto,
quella ricorrente nel caso in esame, in cui il contratto di prestazioni di lavoro
temporaneo “si considera a tempo indeterminato”.
36.Pertanto, anche con riferimento al contratto di prestazioni di lavoro temporaneo
a tempo determinato, in presenza delle ipotesi indicate dall’art. 10 della legge
196 del 1997, si ha un fenomeno di “conversione”.

Ricorso n. 6303.11
Udienza 26 febbraio 2013

37.L’ampiezza della formula utilizzata dall’art. 32. quinto comma, della legge 183
del 2010 e la mancanza di ulteriori precisazioni da parte del legislatore, rende
irrilevante che la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a
tempo indeterminato sia preceduta da una conversione soggettiva del rapporto.
La norma richiede solo che si sia in presenza di uno dei “casi di conversione
del contratto a tempo determinato”.
38.Né rileva che il vizio che determina il meccanismo sanzionatorio possa
riguardare anche il contratto di fornitura, cioè il contratto commerciale che sta
a monte del contratto di lavoro. Anche questo elemento, come si è visto, non
esclude che l’esito sia la conversione del rapporto di lavoro a tempo
determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato.
39.L’espressione “casi di conversione del contratto di lavoro a tempo
determinato”, senza ulteriori precisazioni, non esclude, in conclusione, che il
fenomeno di conversione possa avvenire nei confronti dell’utilizzatore
effettivo della prestazione, né che possa essere l’effetto sanzionatorio di un
vizio concernente il contratto di fornitura.
40.Deve, infine, ricordarsi che, per giurisprudenza costante di questa Corte, l’art.
32 della legge 183 del 2010 si applica anche ai processi in corso, compresi i
giudizi di legittimità, sempre che sul relativo capo della decisione di secondo, o
già di primo grado, non si sia formato il giudicato (Cass. 3 gennaio 2011 n. 65;
4 gennaio 2011 n. 80; 2 febbraio 2011 n. 2452 e molte altre successive sempre
nel medesimo senso).
41.11 motivo pertanto deve essere accolto, sebbene in parte, perché, contrariamente
a quanto assume l’impresa ricorrente, l’indennità prevista dall’art. 32, quinto
comma, della legge n. 183 del 2010, non è compatibile con la detrazione delle
somme percepite a titolo di `aliunde perceptum’ dal lavoratore (cfr. sul punto,
in particolare, Cass. 7 settembre 2012 n. 14996). Nel condannare la società al
pagamento della indennità, il giudice di rinvio non dovrà pertanto disporre la
sottrazione di tali somme.
42.L’accoglimento del motivo concernente l’indennità ex art. 32 comporta, come
si è anticipato, l’assorbimento del motivo relativo alla messa in mora. Anche
questo profilo, diventa irrilevante una volta ritenuta applicabile l’indennità ex
art. 32, che prescinde dalla messa in mora (cfr. ancora, per tutte, Cass.
14996/2012, cit.).
43.In conclusione: il primo motivo di ricorso è inammissibile; il secondo, il terzo
ed il quarto sono infondati; il quinto rimane assorbito. Il sesto deve essere
accolto, nei limiti di quanto specificato, in base al seguente principio di diritto:
“L’indennità prevista dall’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183 si
applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del
danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per

PQM
La Corte accoglie il sesto motivo, rigetta i motivi dal primo al quarto, assorbito il
quinto. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Milano in
diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 febbraio 2013
consigliere estensore

prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a) del
primo comma, dell’art. 3 della legge 24 giugno 1997, n. 196, convertito in
contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione”.
44.L’accoglimento parziale del sesto motivo comporta la cassazione della
sentenza in ordine al motivo accolto ed il rinvio alla Corte d’appello di Milano
in diversa composizione, anche per la decisione in ordine alle spese del
giudizio di legittimità.

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