Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13401 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13401 Anno 2015
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

ionale avvocato
Compenso Prescrizione

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 25422/09) proposto da:
AVV.TO TADDEI MARCELLO, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a mar gine del
ricorso, dall’Avv.to Vittorio Anselmi del foro di Trento ed elettivamente domiciliato presso lo studio
dell’Avv.to Francesco Grisanti in Roma, via Crescenzio n. 62 ;
– ricorrente –

Data pubblicazione: 30/06/2015

contro
BARDOSCIA ANTONIETTA, rappresentata e difesa dall’Avv.to Antonio Casilli del foro di Trento,
in virtù di procura speciale apposta a mar g ine del controricorso, ed elettivamente domiciliata
presso lo studio dell’Avv.to Giuseppina Ivone in Roma, via Belli Giuseppe Gioacchino n. 27 ;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro
q

ss/ts–

1

A

(

AVV.TO ESPOSITO ANTONIO, rappresentato e difeso dall’Avv.to Antonio Casilli del foro di
Trento, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente
domiciliato presso Io studio dell’Avv.to Giuseppina lvone in Roma, viale Mazzini n. 73;

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento n. 166 depositata il 24 giugno 2009 e
notificata il 23 settembre 2009.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 marzo 2015 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito l’Avv.to Antonio Casilli, per parti resistenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio
Capasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbiti i ricorsi incidentali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 24 maggio 2006 l’Avv. Marcello TADDEI evocava, dinanzi al
Tribunale di Trento, Antonietta BARDOSCIA e l’Avv. Antonio ESPOSITO chiedendo la condanna,
in via solidale, dei medesimi al pagamento della somma di €. 14.404,48, oltre accessori, per
attività di procuratore svolta per conto della convenuta in una serie di controversie trattate avanti
allo stesso ufficio, conferitogli l’incarico nel 1990 dall’Avv. Menotti e dopo il luglio 1994, dal figlio
della predetta, il convenuto Esposito.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’ESPOSITO che eccepiva il difetto di
legittimazione passiva, nonché della BARDOSCIA che eccepiva l’avvenuta prescrizione
presuntiva dei crediti vantati ex art. 2959 c.c., il Tribunale adito, accoglieva entrambe le eccezioni
sollevate dai conventi, con conseguente rigetto della domanda attorea.
In virtù di rituale appello interposto dall’Avv. TADDEI sotto molteplici profili, la Corte di appello di
Trento, nella resistenza degli appellati, che proponevano anche rispettivi appelli incidentali sulla

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– controricorrente e ricorrente incidentale –

unitaria liquidazione delle spese processuali pur essendo due le parti convenute, respingeva
l’appello principale ed accoglieva quelli incidentali, rideterminando le spese di lite facendo
applicazione dell’ari. 5 punto 5 della tariffa forense.

avrebbe valutato separatamente la domanda svolta nei confronti della BARDOSCIA rispetto a
quella proposta nei confronti dell’ESPOSITO – evidenziava che, quanto alla prima, era stata la
sola parte assistita dall’Avv. TADDEI nei giudizi intentati dinanzi al Tribunale di Trento e poi alla
Corte di appello di Trento; rilevava, relativamente alla eccezione di prescrizione presuntiva
sollevata dalla stessa appellata (da esaminarsi per avere la debitrice eccepito formalmente il
pagamento del credito), che il mandato era cessato con la fine della causa o al più in data
15.10.2001, con la conseguenza che il triennio di prescrizione era maturato, al massimo, il
15.10.2004, mentre la causa de qua era iniziata nell’anno 2006, né vi era prova di atti interruttivi,
per essere le lettere allegate inviate ma prive di dimostrazione della ricezione da parte della
debitrice. Né il giuramento decisorio deferito, pur ammissibile, assolveva a detto onere non
essendo state articolate circostanze decisive per la definizione della controversia.
Per quanto concerneva l’ESPOSITO, osservava preliminarmente che al tempo del conferimento
dell’incarico al TADDEI Io stesso non aveva ancora superato gli esami di abilitazione forense,
divenuto co-difensore della madre, unitamente all’avv. Menotti e all’avv. Taddei, in data
17.6.1996, a seguito di mandato conferitogli dalla stessa Bardoscia. Tanto chiarito, in atti non vi
era prova di un mandato (con o senza rappresentanza) a lui rilasciato da parte della madre per
incaricare un difensore; né rispetto alla domanda ex art. 26 codice deontologico, specificata con
la memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., appariva dimostrato un ulteriore autonomo
incarico conferito al Taddei dall’Esposito, pacifico che inizialmente era stato investito della tutela
delle posizioni della Bardoscia dall’avv. Menotti.

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A sostegno della decisione adottata la corte territoriale — premesso che l’esame del gravame

Di converso dovevano trovare accoglimento gli appelli incidentali, giacchè l’unica liquidazione
delle spese effettuata nella sentenza impugnata, pari ad E. 3.800,00, divisa per le due parti difese,
aventi posizioni non identiche, comportava che i diritti liquidati violavano i minimi previsti in tariffa,

delle questioni portate all’esame del giudice.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Trento ha proposto ricorso per cassazione il
TADDEI, sulla base di sei motivi, cui hanno replicato con separati

controricorsi gli intimati,

contenenti anche ricorso incidentale condizionato, affidato ciascuno — rispettivamente – a quattro
e a due motivi; anche parte ricorrente ha resistito ai ricorsi incidentali con controricorso.
I resistenti in prossimità della pubblica udienza hanno depositato memoria illustrativa unica.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente principale con il primo motivo lamenta un vizio di motivazione laddove la corte di
merito ha rigettato la sua doglianza volta a sottolineare come le difese della Bardoscia avessero
ad oggetto anche il quantum del credito preteso, circostanza che di per sè sarebbe incompatibile
con la eccezione di prescrizione presuntiva. In altri termini, ad avviso del ricorrente,
nell’affermazione della Bardoscia che il credito da lui vantato era comprensivo di emolumenti
spettanti al co-difensore andrebbe rawisata una contestazione sul quantum, non convincente la
ratio secondo cui detta difesa sarebbe riferibile esclusivamente all’Esposito.
Il motivo è privo di pregio.
Come statuito da un risalente orientamento, condiviso da questo Collegio, l’eccezione di
prescrizione non equivale al riconoscimento del debito, in quanto il disposto dell’art. 2957 c.c.
s’intende nel senso che l’ammissione del fatto comporta il rigetto dell’eccezione, ma non, al
contrario, che l’aver sollevato l’eccezione di prescrizione determini l’ammissione del fatto
costitutivo del debito (così Cass. 21 gennaio 2000 n. 634).

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per cui provvedeva ad una riliquidazione ai sensi dell’art. 5 della T. P. per essere identiche alcune

D’altra parte, la valutazione delle prove compiuta dalla sentenza impugnata si sottrae alle
censure, siccome motivata in modo logicamente corretto e sufficiente, posto che il ricorrente si

del procuratore rese all’udienza del 2.5.2007, contestando le conclusioni cui è giunto il giudice
distrettuale, senza neanche indicare il canone di interpretazione degli atti e degli scritti
processuali asseritamente violato.
Con il secondo motivo il ricorrente principale nel lamentare sempre un vizio di
motivazione, censura l’accertamento effettuato dalla corte di merito al fine della decorrenza del
termine di prescrizione del diritto di credito de quo individuato nella data dell’ultima decisione resa
nelle cause seguite per la Bardoscia Taddei, ossia luglio 2000, ai sensi dell’art. 2957 c.c..
Anche detta censura non può trovare ingresso.
Ai fini della decorrenza della prescrizione del diritto dell’avvocato al compenso ai sensi dell’art.
2957 secondo comma c.c., l'”ultima prestazione” dalla quale va calcolato il termine triennale
stabilito dall’art. 2956 c.c., va individuata con riferimento all’espletamento dell’incarico conferito

dal cliente. Poiché il detto incarico si fonda sul contratto di patrocinio, che è regolato dalle norme
del mandato di diritto sostanziale, e non sul rilascio della procura ad litem, il cui fine è soltanto
quello di consentire la rappresentanza processuale della parte (ex plurimis: Cass. n. 8388 del
1997), il termine di prescrizione inizia a decorrere dall’esaurimento dell’affare per il cui
svolgimento fu conferito l’incarico, che, nel caso di prestazioni rese in due gradi di giudizio,
coincide con la pubblicazione della sentenza d’appello (v. ex plurimis: Cass. n. 12326 del 2001).
Bene ha fatto, quindi, la Corte territoriale a individuare nella pubblicazione della sentenza
definitiva non impugnabile che aveva posto fine alla lite, in data 15.10.2001 – nel caso di specie,
passata in giudicato la sentenza della Corte d’appello di Trento – il dies a quo per l’inizio del
termine di prescrizione.

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limita a proporre una diversa lettura della memoria difensiva del 21.11.2006 e delle dichiarazioni

Del resto il ricorrente ha richiesto il pagamento delle prestazioni di cui ai giudizi instaurati e sulla
base di detto assunto i giudici hanno determinato il termine di decorrenza della prescrizione
presuntiva. Non viene in rilievo ‘la mancata revoca del mandato’, giacché ai sensi dell’art. 2957,

con la decisione della controversia per la quale era stato conferito.

Nè vi è prova che la Bardoscia avesse conferito un ulteriore mandato per seguire il fallimento
della società Rodoendro, che comunque avrebbe riguardato un rapporto diverso, né che alla
predetta fosse stata inviata la nota del 28.2.2003, giacche anche a volere ritenere l’inoltro a
mezzo posta ordinaria, con conseguente presunzione della ricezione dell’atto ai sensi dell’art.
1335 c.c., sta di fatto che destinatario della nota predetta risulta essere non giù la Bardoscia, ma
l’Avv.to Esposito, esclusa argomentatamente la sussistenza della solidarietà passiva fra i
predetti.

Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia la nullità della sentenza e del
procedimento per violazione dell’art. 236 c.p.c., nonché per vizio di motivazione, per non avere la
corte di merito disposto il giuramento decisorio deferito alla Bardoscia, pur ritenendolo
ammissibile. Prosegue il ricorrente riportando il tenore della formula articolata nel deferire il
giuramento alla controparte. A conclusione del mezzo viene posto il seguente quesito di diritto: “il
giuramento decisorio deferito dal creditore ai sensi dell’art. 2960 c.c. è ammissibile in presenza
della formulazione di un articolo con cui venga richiesto al debitore di giurare e giurando
affermare di avere pagato gli importi di credito azionato, con l’aggiunta di aspetti puramente
formali, eventualmente non dedotti dal debitore, quali le modalità dell’asserito pagamento, a
fronte della facoltà di cui all’art. 236 c.p.c. che attribuisce al giudice il potere di modificare la
formula al fine di rendere più chiaro il contenuto del giuramento. L’attività di circoscrizione del
quesito formulato, con l’eliminazione di elementi aggiuntivi e specificazioni non necessarie ai fini

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comma 2, c.c. e prima ancora dell’art. 83, ult. comma, c.p.c. il rapporto di mandato si conclude

della decisorietà del quesito stesso, costituisce attività di modifica consentita ai sensi dell’ad. 236
c.p.c.”.

Il motivo è infondato in relazione ad entrambi i profili in cui è articolato. Accertato, con statuizione

la specificazione degli importi pagati, il modo di pagamento, l’indicazione delle date, non propri
del soggetto che doveva prestarlo, nè caduti sotto l’esperienza diretta dei suoi sensi o della sua
intelligenza, non avendone fatto menzione nelle difese, correttamente la Corte distrettuale ha
escluso l’ammissibilità del giuramento deferito nella forma “de ventate”.

Sotto tal profilo la decisione dei Giudici di merito deve ritenersi sostanzialmente corretta, anche
se non adeguatamente spiegata, considerato che dall’articolazione del mezzo istruttorio,
testualmente riportata nel motivo di ricorso, oltre che nella stessa decisione, risulta agevole
rilevare come il giuramento, che si sarebbe voluto deferire alla controparte, così come formulato,
difetti del requisito della decisorietà, non potendosi considerare de ventate, in quanto non
riguardante fatti di cui il soggetto chiamato a prestarlo sia stato autore o partecipe, nè de scientia,
non contenendo la specificazione che il fatto altrui sia stato, in qualche modo, inequivocamente
appreso o constatato dal prestatore (al riguardo, v., tra le altre, Cass. n. 5789 del 1998; Case. n.
4365 del 1995; Cass. n. 11491 del 1992), di talchè la solenne affermazione o negazione finirebbe
con l’esprimere una mera valutazione personale.

Riguardo al secondo profilo della censura, la statuizione del giudice del gravame di non poter
procedere di ufficio alla modifica del giuramento deferito nella forma “de ventate”, è conforme
all’orientamento elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato che potendo
soltanto la parte disporre di questo mezzo di prova, le modificazioni sostanziali della formula del
giuramento decisorio, quale appunto quella in questione, possono essere apportate soltanto dalla
parte personalmente o da un suo procuratore munito di mandato speciale (Case. 13 febbraio

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non soggetta a censura, che il giuramento decisorio deferito alla Bardoscia verteva su fatti quali

1980 n. 1033; Cass. 14 gennaio 1980 n. 339; Cass. 17 gennaio 1979 n. 344). E non vi sono
ragioni valide per discostarsi da tale orientamento, nè il ricorrente ne prospetta, limitandosi ad
insistere sulla facoltà del giudice di merito di modificare la formula.

salute della Bardoscia — ha deferito giuramento decisorio de scentia o de relato ai sensi dell’art.
2736 e ss c.c., in particolare dell’art. 2739, ultimo comma, c.c., all’ESPOSITO nella duplice veste
di difensore e figlio della Bardoscia, in merito alla conoscenza da parte sua dell’avvenuto
pagamento del credito azionato nei confronti della madre, giuramento sempre ammissibile anche
in appello, richiesta sulla quale la corte di merito aveva omesso ogni pronuncia.

Il motivo è inammissibile, risultando la questione posta superata dalla pronuncia di
inammissibilità della formula adoperata già nei confronti della Bardoscia, di cui si è detto al terzo
mezzo.

Con il quinto motivo il ricorrente principale deduce vizio di motivazione circa l’accertata
mancanza di prova dell’esistenza di un incarico conferito al Taddei dall’Esposito nell’interesse
della Bardoscia pur essendovi in atti numerose procure rilasciate dalla Bardoscia in favore
dell’Esposito e del Taddei.

Anche detta censura va disattesa.

Infatti la corte di merito ha chiarito che la prova testimoniale indicata in citazione era stata ritenuta
generica per il mancato riferimento al periodo di conferimento dell’incarico, stante l’iniziale
affidamento all’Avv.to Taddei, da parte dell’Avv.to Menotti, e comunque in contrasto con il
contenuto della richiesta del 28.2.2003, nella quale non si faceva riferimento alle attività
procuratorie, riconducibili all’art. 30 del Codice deontologico. Di converso la prova testimoniale di

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Con il quarto motivo il ricorrente principale lamenta che — una volta accertato lo stato di

cui alla seconda memoria ex art. 183 c.p.c. rifletteva un rapporto obbligatorio, per mandato o per
accollo, non dedotto in citazione.

La nota distinzione tra rapporto endoprocessuale nascente dalla procura ad litem e rapporto di

individuare come cliente, e cioè obbligato al pagamento del compenso nei confronti dell’avvocato,
un soggetto diverso da colui che ha rilasciato la procura, non esclude infatti la necessità di
provare il conferimento dell’incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto, presumere che il
cliente è colui che ha rilasciato la procura.

A tali principi si è attenuta la sentenza impugnata, correttamente affermando che il Bissi,
indipendentemente dai profili deontologici attinenti al rapporto con il collega Esposito, che non
rilevavano ai fini di causa, poteva far valere la sua pretesa creditoria direttamente verso la
Bardoscia.

La critica mossa dal ricorrente, risolvendosi in una contestazione apodittica della decisione di cui
non coglie la ratio su cui si fonda, è, quindi inammissibile.

Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1219 e 1335 c.c., nonché vizio di motivazione, per non avere la corte di
merito ritenuta provata l’avvenuta interruzione della prescrizione nonostante i numerosi atti
interruttivi inviati (da ultimo le raccomandate del 17,3 e 14.4.2006), quanto meno nei confronti del
coobligato in via solidale, avv. Esposito. A corollario del mezzo viene formulato il seguente
quesito di diritto: “l’atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore, anche al fine
dell’interruzione della prestazione, inviato a! debitore con raccomandata a mezzo del servizio
postale si presume giunto a destinazione sulla base dell’attestazione della spedizione da parte
dell’ufficio postale, pur in mancanza dell’avviso di ricevimento, in considerazione dei doveri che la

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patrocinio, in virtù della quale si è ritenuto possibile nella giurisprudenza di questa Corte

raccomandata impone al servizio postale in ordine al suo inoltro e alla sua consegna, con la
conseguenza che non è sufficiente per il destinatario negare di avere ricevuto detta
raccomandata per superare la suddetta presunzione”.

jus receptum che costituisce atto idoneo ad interrompere la prescrizione, ai sensi dell’art. 2943
c.c., u.c., l’inoltro della richiesta di adempimento per lettera raccomandata, la cui spedizione è
provata dalla relativa ricevuta e i cui particolari doveri di consegna a carico del servizio postale ne
fanno presumere l’arrivo al debitore, pur in assenza della ricevuta di ritorno, sicché solo a seguito
di contestazione del destinatario sorge l’onere per il mittente di provare il ricevimento (ex plurimis
Cass. 6 agosto 1996 n. 7181, Cass. 5 ottobre 1998 n. 9861, Cass. 3 luglio 2003 n. 10536).

Orbene la decisione del Giudice d’appello di esclusione della presunzione, di cui all’art. 1335 c.c.,
di ricezione della lettera da parte della Bardoscia, per quanto sopra già esposto, discende dalla
considerazione del non essere la stessa la destinataria della missiva, mentre per l’Esposito
l’esclusione si incentra sul difetto di legittimazione passiva.

Trattandosi di circostanze oggettive, innegabilmente contrastanti con l’assunto del ricorrente, la
soluzione adottata non può che essere ritenuta corretta.

Venendo all’esame dei ricorsi incidentali — che sono parzialmente sovrapponibili nelle
difese e nelle censure, con i quali entrambi i ricorrenti incidentali lamentano: la violazione degli
artt. 74 e 87 delle disp. att. c.p.c. in relazione agli artt. 169 e 183 c.p.c., nonché dell’art. 24 e 111
Cost., denunciando gravi irregolarità del ricorrente principale nel deposito dei documenti (primo
motivo); violazione degli artt. 112, 183, 345 c.p.c., 2956 e 2959 c.c. assumendo la assoluta novità
introdotta in gradi di appello dal Taddei relativamente alla mancata contestazione del credito da

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Pure infondato è l’ultimo motivo.

parte della Bardoscia nel giudizio di primo grado, per cui il giudice del gravame avrebbe dovuto
ritenere l’inammissibilità del motivo e non già esaminarlo nel merito (secondo motivo); violazione
dell’art. 342 c.p.c. per assoluta genericità dei motivi di appello della presunta contestazione del

e 187 c.p.c. perché nonostante il Taddei avesse rinunciato in primo grado alla richiesta di
deferimento di giuramento decisorio, avrebbe dovuto ritenersi inammissibile la richiesta poi
avanzata in grado di appello, per cui la corte di merito non avrebbe dovuto esaminare nel merito
l’istanza (quarto motivo); nonché violazione degli artt. 112, 163, 164 e 183 c.p.c. per tardiva
introduzione della richiesta da parte del Taddei dei compensi ai sensi dell’art. 30 codice
deontologico forense non rilevata di ufficio (secondo motivo del ricorso incidentale proposto
dall’Esposito) — risultando proposti in via condizionata, rimangono assorbiti dal rigetto del ricorso
principale. In merito alla regolamentazione delle spese del presente giudizio, si ritiene che vada
comunque seguito il criterio della soccombenza e vengono liquidati come in dispositivo, con
valutazione unitaria per entrambi i resistenti, stante la sostanziale coincidenza delle difese,
computata tenendo conto dell’aumento di cui all’art. 5 della legge professionale.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso principale, assorbiti i ricorsi incidentali condizionati;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida — per
entrambi i controricorrenti – in complessivi E. 2.000,00, di cui E. 200,00 per esborsi, oltre a spese
forfettarie ed accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 21t Sezione Civile, il 12 marzo 2015.

credito da parte della debitrice (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli arti 183, 184

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