Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13400 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13400 Anno 2015
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 25111/09) proposto da:
CIFELLI NUNZIO e D’AMICO MIRELLA, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a
margine del ricorso, dall’Avv.to Giovanni Di Sibio del foro di La Spezia e dall’Avv.to Ornella
Manf redini del foro di Roma ed elettivamente domiciliati presso Io studio di quest’ultima in Roma,
via Giuseppe Avezzana n. 36;
– ricorrenti contro
AVV. BISSI ALBERTO
– intimato avverso la sentenza del Tribunale di Piacenza n. 794 depositata il 26 novembre 2008.

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Data pubblicazione: 30/06/2015

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 marzo 2015 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Avv. ~arto 12881 mamma dinanzi al Giudico di f3aG@ di PiÚCSitiIa Nijr1U CIFELLI
D’AMICO per sentirli condannare, in solido, al pagamento della somma di e 2.195,95, oI»
accessori, a titolo di prestazioni professionali per avere difeso i medesimi in giudizio instaurato
avanti al Tribunale di Piacenza. I convenuti nel costituirsi non contestavano di avere conferito il
mandato, ma precisavano che Io stesso era stato indicato quale domiciliatario dall’avv. Giulio
Bertagna in data 1.4.1996, succeduto nella loro difesa agli avv. Generali e Lorenzo Cea, per cui
aveva proceduto al solo deposito della memoria di costituzione di nuovo difensore e poi della
comparsa conclusionale e delle note di replica, per cui chiedevano che il professionista
precisasse le voci pretese, predisponendo un progetto di parcella.
Il giudice adito in accoglimento della domanda attorea condannava i convenuto al pagamento di
E. 1.933,72, oltre accessori, decisione che veniva appellata dinanzi al Tribunale di Piacenza dai
CIFELLI — D’AMICO lamentando la erroneità della quantificazione del credito non suffragata da
alcuna prova, che nella resistenza dell’appellato, respingeva il gravame.
A sostegno della decisione adottata il giudice dell’impugnazione evidenziava che il credito fatto
valere dall’avv. BISSI si fondava sulla liquidazione già operata dal Tribunale nel giudizio che
avevano introdotto gli stessi appellanti, per cui nessun opinamento si rendeva necessario.
Aggiungeva che con la lettera del 6.2.2002 prodotta dal professionista, con la quale il dominus
della causa, avv. Bertagna, riconosceva specificamente gli importi dovuti al procuratore e

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Capasso, che — in assenza del ricorrente – ha concluso per il rigetto del ricorso.

domiciliatario avv. Bissi, gli appellanti erano stati resi edotti di quanto spettasse all’attore. Né gli
stessi avevano dedotto argomentazioni di natura sostanziale sugli importi richiesti.
Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Piacenza ricorrono i CIFELLI — D’AMICO sulla

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione elo falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.,
nonché vizio di motivazione, per avere i giudici di merito liquidato il compenso al professionista
senza che questi avesse assolto l’onere probatorio di produrre almeno un progetto di notula.
Il motivo è inammissibile prima che infondato.
Occorre premettere che il ricorso ratione temporis, in ragione della data di deposito della
sentenza impugnata (26.11.2008), soggiace al regime dei quesiti (abrogato) di cui al d.lvo n. 40
del 2006.
Questa Corte ha avuto già modo di statuire in via generale che deve essere dichiarato
inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo nel quale l’illustrazione delle singole
censure non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, riferito alla
fattispecie esaminata nella sentenza impugnata e alle statuizioni di essa, tale da circoscrivere la
pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito, dovendosi escludere
che il quesito possa desumersi implicitamente dalla formulazione dei motivi di ricorso, la quale

base di tre motivi, non svolte difese dall’intimato.

non è sufficiente a integrare il rispetto del requisito formale specificamente richiesto dall’art. 366
bis c.p.c..
La proposizione di una pluralità di motivi, dunque, non accompagnata in modo alcuno dalla
formulazione di idonei quesiti, comporta l’inammissibilità dei singoli motivi.
Nella specie i ricorrenti hanno denunciato, con il primo mezzo, la violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697 c.c., anche quale vizio di motivazione, senza però concluderlo con la formulazione

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di un quesito ovvero di una sintesi che rispecchi almeno parte delle censure proposte, in
adempimento della prescrizione dell’art. 366 bis c.p.c..
Né può in ogni caso ritenersi che il quesito di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso

poiché la prescrizione formale introdotta dalla norma in esame non può essere interpretata nel
senso che il quesito di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso possa desumersi
implicitamente dalla formulazione dei motivi di ricorso, poiché una siffatta interpretazione si
risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione che ha introdotto, a pena di
inammissibilità, il rispetto di un requisito formale, che deve esprimersi, per i motivi da 1 a 4
dall’art. 360 c.p.c., nella formulazione di un esplicito quesito di diritto tale da circoscrivere la
pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte quesito che deve trovare la sua collocazione a conclusione dell’illustrazione di ciascun motivo di
ricorso che, da sola, non è perciò sufficiente ai fini del rispetto della norma in esame. E per il n. 5
dell’art. 360 c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la
chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione. Pertanto, pur non richiedendosi specifici requisiti di forma,
deve pur sempre essere formulato, nei casi da 1 a 4, a conclusione dell’istruzione di ogni singolo
motivo ed in aggiunta ad essa, il quesito che deve segnare i confini della pronuncia del giudice, e
nel caso del n. 5, la chiara indicazione del fatto controverso, o delle ragioni dell’insufficienza della
motivazione.
La formulazione del quesito richiesto dalla legge e la chiara indicazione del fatto controverso e
delle ragioni dell’insufficienza della motivazione, nei termini innanzi specificati, non si rinvengono
perciò nel primo mezzo, che pertanto va dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 366 bis
c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e applicabile nella specie ai sensi

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sarebbero in ogni caso presenti nell’illustrazione dei motivi, sottoposti all’esame di questa corte,

dell’art. 27 decreto citato, comma 2, trattandosi di ricorso contro provvedimento pubblicato dopo
la data della sua entrata in vigore (Cass. S.U. 26 marzo 2007 n. 7258).
Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere errato nel

2001, trattandosi di giudizi diversi che soggiacciono a regole processuali autonome, soprattutto in
materia probatoria. A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica
La Suprema Corte se il Tribunale avrebbe potuto avvalersi di una fonte di prova mai dedotta in
causa dall’attore sovvertendo il principio cardine dell’onere della prova e, soprattutto, se è
concesso acquisire una fonte di prova per relationem senza che su tale questione venga svolto
alcun contraddittorio”.

Il motivo non merita accoglimento.
“Il cliente è obbligato, al sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 61, (conv. nella L. 22
gennaio 1934, n. 36) e del D.M. 24 novembre 1990, n. 392, art. 2, a corrispondere all’avvocato ed
al procuratore da lui nominati gli onorari ed i diritti nella misura stabilita nei suoi specifici confronti
dal giudice innanzi al quale il professionista abbia proposto domanda di rimborso delle spese e di
pagamento degli onorari professionali, il cui ammontare va determinato da detto giudice,
indipendentemente dalle statuizioni contenute nel provvedimento che ha definito la causa cui le
spese richieste si riferiscono, avendo riguardo all’importanza dell’opera prestata, alla quantità di
lavoro svolto dal professionista ed al valore economico e sociale dell’attività in relazione al
risultato prefisso” (Gess. 22 dicembre 1994 n. 11065).
Pur vero detto principio, ciò non toglie che il giudice nell’alveo della fattispecie normativa, sulla
applicazione specifica dell’ordinamento possa ritenere adeguata la liquidazione del compenso
determinata dal giudice nel giudizio presupposto, dal momento che essa avviene sulla base del
valore della controversia che ben può coincidere con il deductum ovvero con il decisum.

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porre a base della decisione la notula presentata nel giudizio definito con la sentenza n. 509 del

Del resto la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere
discrezionale del giudice che, se contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa – non essendo
contestato nella specie lo scaglione utilizzato per la quantificazione del dovuto – non richiede

l’interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere state violate (V. Cass. 23
giugno 1997 n. 5607; Cass. 19 ottobre 1993 n. 10350).
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115
c.p.c. e pongono il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se sussistono dei limiti in
tema di onere probatorio nel caso in cui l’attore si limiti solo ed esclusivamente ad utilizzare prove
indirette senza che le stesse abbiano mai trovato ingresso nel giudizio davanti al Tribunale”.

Anche detto motivo non può trovare ingresso.
In forza del principio dell’acquisizione delle prove, il giudice è libero di formare il suo
convincimento sulla base di tutte le risultanze istruttorie, quale che sia la parte ad iniziativa della
quale sia avvenuto il loro ingresso nel giudizio, con l’unico limite, riguardo alla configurabilità di
domande implicitamente subordinate, che vi sia la necessità di svolgere, in relazione ad esse,
indagini sopra diversi temi di fatto non introdotti ritualmente in giudizio (Cass. 1° settembre 2004
n. 17561; Cass. 10 agosto 2004 n. 15408).
Nella fattispecie il giudice di appello non ha attinto documenti al di fuori del processo, risultando
gli atti posti a fondamento del suo convincimento – relativi al c.d. giudizio presupposto comunque allegati dalle parti, come la nota spese del difensore dei ricorrenti, avv.to Bertagna,
con indicazione delle attività poste in essere, chiariti dal medesimo difensore, con la lettera del
6.2.2002, gli importi dovuti al suo procuratore e domiciliatario, avv.to Bissi. La sentenza
impugnata ha adeguatamente esplicato le ragioni per cui ha ritenuto di condividere le conclusioni
del giudice di prime cure, pur apportando alcune correzioni alla motivazione.
Il ricorso va, pertanto rigettato.

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specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità se non quando

Nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di cassazione in assenza di difese da parte
dell’intimato.

La Corte, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2″ Sezione Civile, il 12 marzo 2015.

P.Q.M.

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