Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13395 del 29/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13395 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 8260-2011 proposto da:
MERCANTINI PRIMO MRCPRM27E18A390D, TANZILLI FRANCESCO
nato a il 01/07/1928, OLIVIERI PASQUALE nato a il
21/10/1931, tutti elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato
DE VITA CARLO, che li rappresenta e difende, giusta
2013

delega in atti;
– ricorrenti –

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contro

ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A., I.N.A. ASSITALIA S.P.A.
(avente causa di ma Vita S.p.A. e di Assitalia

Data pubblicazione: 29/05/2013

S.p.A., a seguito di fusione per incorporazione di
tali società nella ma Assitalia S.p.A.), in persona
dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente
domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326,
presso lo studio dell’avvocato SCOGNAMIGLIO RENATO,

– controricorrenti

avverso la sentenza n. 5477/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 25/09/2010 R.G.N. 7590/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/02/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato DE VITA CARLO;
udito l’Avvocato SANGERMANO FRANCESCO per delega
SCOGNAMIGLIO RENATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Primo Mercantini, Francesco Tanzilli, Olivieri Pasquale e Giampiero
Malatesta adivano il Pretore del lavoro di Roma esponendo: di essere ex
dipendenti dell’INA Casa, poi transitati alla Gescal e quindi all’INA spa; che,
prima del trasferimento, avvenuto in data 1.6.1975, essi fruivano
dell’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti, del
trattamento aggiuntivo di previdenza derivante dall’accantonamento di una
quota pari al 18% della retribuzione annua su di una polizza INA, di una

indennità di anzianità calcolata su un dodicesimo della retribuzione globale
annua per ogni anno di servizio prestato; che il 2.10.1973, con apposito
regolamento Gescal, il trattamento aggiuntivo di previdenza era stato
soppresso con effetto dal 31.12.1973 ed a tutti i dipendenti veniva liquidata
la riserva matematica derivante dall’anticipata disdetta della polizza INA;
che, avvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro alla spa INA, a seguito
di impugnativa, prima il TAR e, poi, il Consiglio di Stato annullavano il
Regolamento GESCAL col quale era stato soppresso il fondo integrativo di
previdenza riconoscendo che ai ricorrenti doveva essere conservato il
trattamento di fine servizio derivante dal Regolamento INA-CASA del 1960,
sia presso la GESCAL che presso le amministrazioni cui gli stessi erano
stati trasferiti. Deducevano, inoltre: che il loro rapporto di lavoro era cessato
dal 2.8.82 per il Mercatini, dall’1.7.88 per il Tanzilli, dal 24.7.95 per l’Olivieri
e dal 1 0 .3.78 quanto al Malatesta; che nulla avevano percepito dall’INA
quale trattamento aggiuntivo; che il Mercatini, il Tanzilli e l’Olivieri avevano
percepito l’indennità di liquidazione in base alla legge n. 297/82 ed il
Malatesta sulla scorta della precedente normativa e non secondo il criterio
previsto dall’art. 40 del Regolamento INA-CASA del 1960. Chiedevano,
pertanto, al giudice di dichiarare il loro diritto al versamento della
liquidazione calcolata sulla base di un dodicesimo della retribuzione annua
ed alla corresponsione del trattamento integrativo di previdenza, in base a
quanto previsto dagli artt. 40 e 41 del Regolamento INA-CASA del 1960
con conseguente condanna dell’INA al pagamento delle somme indicate
nel ricorso introduttivo per ciascun lavoratore , oltre accessori di legge;
chiedevano, inoltre, la condanna dell’INA al pagamento degli accessori
legali sulle somme trasferite all’INA dall’IGED in data 16.3.1994 e
31.10.1994 e tardivamente versate ad essi ricorrenti.
Il Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, con sentenza del
3.6.2005, rigettava le domande.
1

Tale decisione veniva riformata dalla Corte di appello di Roma, con
sentenza del 25 settembre 2010, che, in parziale accoglimento del
gravame proposto dai detti ricorrenti, condannava INA VITA s.p.a. e
Assicurazioni Generali s.p.a., in solido, al pagamento delle seguenti
somme: euro 29.963,36 per indennità di anzianità e trattamento aggiuntivo
di previdenza, oltre accessori di legge successivi al 31.12.2007 ed euro
4.498,20 per interessi sulle somme trasferite dall’IGED all’INA, a favore del
Malatesta; euro 149.222,18 a favore del Mercatini, euro 240.917,24 a

favore del Tanzilli ed euro 235.825,87 a favore dell’Olivieri a titolo di
indennità di anzianità, trattamento aggiuntivo di previdenza e TFR, oltre
accessori di legge successivi al 31.12.2007.
La Corte territoriale, precisato che la decisione del Consiglio di Stato posta
dagli appellanti a fondamento delle proprie pretese si era limitata ad
annullare i regolamenti successivi a quello INA-CASA del 1960 senza
affermare affatto il diritto dei ricorrenti all’applicazione della disciplina del
trattamento di fine servizio contenuta in quest’ultimo regolamento, aveva
ritenuto che il trattamento di fine servizio spettante agli appellanti doveva
essere individuato sulla base delle diverse normative succedutesi nel
tempo. Precisava, quindi, per quello che qui ancora interessa: che la
sopravvenuta disciplina legislativa del trattamento di fine rapporto,
introdotta dalla legge n. 297/1982, era applicabile, già al momento della
entrata in vigore della legge, anche ai dipendenti dell’INA essendo questo
un ente pubblico economico e dovendosi considerare i relativi rapporti di
lavoro di diritto privato; che, quindi, per la determinazione del TFR degli
appellanti il cui rapporto di lavoro era cessato dopo l’entrata in vigore della
legge n. 297/82, si applicava il regolamento del 1960 fino al maggio 1982 e,
per il periodo successivo, l’art. 2120 c.c. nel testo modificato dalla legge n.
297/82 cit..; che anche il trattamento aggiuntivo di previdenza ( ex art. 41
Regolamento INA-CASA) , facendo parte del trattamento di fine servizio ( in
quanto capitale liquidato in occasione della cessazione del rapporto di
lavoro e non una somma mensile che integrava il rateo pensionistico), era
ricompreso nella nuova disciplina del TFR abrogativa di tutti i diversi
trattamenti, corrisposti per la cessazione del rapporto di lavoro,comunque
denominati. Determinava, infine, sulla scorta di una CTU, le somme
indicate in dispositivo.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso il Mercatini, il
Tanzillo e l’Olivieri affidato a due motivi.
2

Resistono con controricorso Assicurazioni Generali s.p.a. e INA Assitalia
s. p.a..
Le Assicurazioni Generali hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce insufficiente motivazione su un
fatto controverso e decisivo della controversia, violazione degli artt. 41
Regolamento Ina-Casa del 7.12.1960, 19 del DPR 30.12.1972 n. 1036, 4
della L. 297/1982 e 2115 c.c. ( art. 360, co.1° nn. 3 e 5 c.p.c.).

Erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto che l’art. 4 della L. n.
297/1982 avesse soppresso anche il trattamento integrativo di previdenza
di cui all’art.41 del Regolamento ma — Casa con una motivazione carente
perché costituita solo dal rilievo che detto trattamento, in quanto costituito
da un capitale liquidato in occasione della cessazione del rapporto di lavoro
e non da una somma mensile integrante il rateo pensionistico, era
ricompreso nella nuova disciplina del TFR abrogativa di tutti i diversi
trattamenti corrisposti per la cessazione del rapporto di lavoro, comunque
denominati.
Siffatta motivazione non aveva tenuto in alcun conto: del “nomen iuris”
attribuito dal Regolamento al detto trattamento integrativo, definito di
previdenza, termine questo di significato univoco e ben diverso
dall’indennità ex art. 2120 c.c. e con questa non confondibile; della natura
previdenziale del trattamento emergente in modo evidente dal fatto che
quanto spettante al dipendente era anche frutto di un accantonamento a
carico dello stesso del 5% della retribuzione mensile. Inoltre la erogazione
di detto capitale “una tantum” non era decisiva, contrariamente a quanto
ritenuto nell’impugnata sentenza, ai fini della sua equiparazione ad ogni
somma corrisposta dal datore di lavoro a fine servizio. In proposito, si
sottolinea nel motivo, che le somme versate dai lavoratori confluivano in
una polizza di assicurazione presso l’INA che consentiva, alla cessazione
del rapporto, anche la erogazione di una rendita in luogo del capitale e,
comunque, l’argomento utilizzato dalla Corte di merito risultava del tutto
inconsistente alla luce della normativa introdotta con il D.Lgs 21 aprile 1993
n. 124 che prevedeva forme pensionistiche attuate anche mediante
contratti di assicurazione sulla vita.
Viene, quindi, formulato quesito di diritto.
Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto controverso
e decisivo della controversia nonché violazione dell’art. 41 Reg. INA CASA
3

7.12.1960 come ripristinato dalla sentenza del Consiglio di Stato ( art. 360,
co.1° nn. 3 e 5 c.p.c.)
La Corte non avrebbe tenuto conto del disposto dell’ari. 41 cit. dal quale
risultava evidente che il capitale erogabile a titolo pensionistico alla
scadenza del rapporto ad integrazione della previdenza obbligatoria
doveva ammontare al 18% della retribuzione mensile. Ed infatti, nella
somma riconosciuta dalla sentenza impugnata, la Corte aveva accettato il
conteggio effettuato dal CTU – che aveva determinato nella misura del

13% della retribuzione mensile quanto dovuto ex art. 41 cit. – nonostante i
rilievi critici mossi all’elaborato peritale dagli appellanti in cui si evidenziava
che l’eventuale omissione delle trattenute ( pari al 5%) successive al
trasferimento dalla GESCAL all’INA non poteva che essere imputata al
datore di lavoro.
Il primo motivo è inammissibile perché privo del requisito
dell’autosufficienza nella parte in cui richiama una polizza INA omettendo,
però, di riportarne il contenuto e non indicando la sede processuale del
giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel
fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in
sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile ( per tutte cfr. SU n. 23019
del 31/10/2007).
Il motivo, per il resto, è anche infondato.
La legge n. 297 del 1982, ha inteso compiutamente disciplinare, anche in
senso limitativo, ‘Indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita
comunque denominate e da qualsiasi fonte disciplinate”. Ha, quindi,
stabilito la nullità di tutte le norme dei contratti collettivi regolanti la materia
e la loro sostituzione di diritto ad opera della nuova disciplina legale.
Come correttamente rilevato nell’impugnata sentenza, la sopravvenuta
disciplina legislativa del trattamento di fine rapporto introdotta dalla citata L.
n. 297/1982 trovava applicazione anche ai dipendenti dell’INA essendo
quest’ultimo ente pubblico economico e dovendosi considerare i rapporti di
lavoro con lo stesso instaurati di diritto privato.
Orbene, il trattamento aggiuntivo di previdenza — ex art. 41 Regolamento
— essendo un elemento che andava integrare il trattamento di fine rapporto
in quanto capitale liquidato in concomitanza con la cessazione del rapporto
di lavoro doveva, dunque, essere ricompreso nella nuova disciplina
abrogativa di tutti i diversi trattamenti corrisposti in occasione della fine del
rapporto di lavoro, a prescindere dal loro denominazione.
4

Peraltro, non può non rilevarsi che non è dato conoscere in quali termini
operasse la richiamata polizza assicurativa e se, effettivamente, integrasse
una forma di previdenza integrativa, all’epoca del tutto residuale in quanto
solo con il D.Igs 21.4.1993 n. 124 si è passati alla più diffusa previdenza
complementare. Di certo non risultava essere stato costituito un fondo
speciale per l’assistenza e la previdenza alimentato dalla contribuzione del
datore di lavoro e del lavoratore.
Né l’espressione – trattamento integrativo della previdenza obbligatoria –

adottata dall’art. 41 del citato regolamento può valere a dimostrare che la
prestazione prevista alla cessazione del rapporto di lavoro dalla detta
polizza assicurativa avesse natura previdenziale e non piuttosto di
prestazione ontologicamente assimilabile al trattamento di fine rapporto e,
quindi, incompatibile con la L. n. 297/1982.
In proposito questa Corte ha in varie occasioni affermato il principio
secondo cui la previdenza aziendale avente natura e funzioni non diverse
da quelle dell’indennità di anzianità, di fine lavoro o di buonuscita,
comunque denominata e da qualsiasi fonte disciplinata, ricade – nel nuovo
regime introdotto dalla legge n. 297 del 1982 – nella generale invalidazione
sancita dall’art. 4 penultimo comma legge citata e risultano caducate non
solo le clausole contrattuali che regolano il rapporto tra lavoratori e datore
di lavoro o fondo di previdenza (avente ad oggetto l’erogazione del
trattamento), ma anche ogni altra clausola, comprese quelle che
istituiscano o regolino un fondo ad “hoc” del quale, pertanto, deve
escludersi la sopravvivenza. E’ stato anche precisato che lo stabilire se il
trattamento di fonte contrattuale erogato da una cassa di previdenza
aziendale abbia o meno natura e funzione diverse da quelle dell’indennità
di anzianità (o di fine lavoro o di buonuscita), e sia quindi da includere o
meno nella categoria (eccezionale e del tutto residuale) delle indennità fatte
salve dal quinto comma del citato art. 4, si risolve in un accertamento,
riservato al giudice di merito, che involge l’interpretazione della disciplina
contrattuale ed è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente
motivato (Cass. n. 2864 del 26/02/2002; Cass. 10681 del 29/11/1996).
Neppure determinante nel senso della configurabilità di una prestazione
previdenziale integrativa può essere la circostanza che la menzionata
polizza fosse alimentata da versamenti mensili di cui una parte — nella
misura del 5% – era a carico del dipendente.
5

La Giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, avuto modo di chiarire che
anche in presenza di una componente previdenziale in senso lato – resa
evidente, ad esempio, dall’esistenza (non ricorrente affatto nell’indennità di
anzianità, ne’ nel trattamento di fine rapporto) di una contribuzione dei
lavoratori – debba prevalere la componente di retribuzione differita e quindi
la disciplina della prestazione viene attratta in quella delle indennità
integrative dell’indennità di anzianità ricadenti nella generale invalidazione
sancita dall’art. 4, penultimo comma, I. n.29711982 cit. (Cass., sez. lav., 2

aprile 1992, n. 4038 Cass. 6 maggio 1987 n. 4213; nel senso di un
generalizzato principio di inderogabilità della materia del trattamento di fine
rapporto, salve quelle deroghe espressamente previste dall’art. 2120 c.c.
novellato vedi Cass. 3 maggio 2004 n. 8372; Cass. 13 marzo 2004 n.5213;
Cass. 3 novembre 1998, n. 11002).
Peraltro, è circostanza pacifica tra le parti che al 31.12.1973 venne
liquidata ai dipendenti — tra cui gli attuali ricorrenti — la riserva matematica
derivante dalle rispettive polizze e che, dopo tale data, la predetta quota del
5% non è stata più versata dai lavoratori.
Passando al secondo motivo, lo stesso è infondato.
La critica che era stata mossa alle risultanze della CTU espletata in
appello muoveva dal presupposto che l’eventuale omissione delle
trattenute ( del 5%) successive al trasferimento dalla GESCAL all’INA era
da imputarsi al datore di lavoro per essere lo stesso responsabile del
versamento del contributo anche per la parte a carico del prestatore di
lavoro. Orbene, l’assunto intanto potrebbe essere corretto se effettivamente
l’art. 41 del regolamento avesse previsto una forma di previdenza
integrativa — e ciò è da escludere per quanto sopra esposto – e se tale
obbligo di trattenuta fosse stato pattiziamente previsto tra le parti, e non
risulta, invero, che tale obbligo sussistesse a carico dell’INA. E’, invece,
pacifico tra le parti che i dipendenti, a decorrere dal 31.12.1973 non
avessero più versato la quota del 5% a loro carico.
Correttamente, quindi, la Corte di merito ha ritenuto che i calcoli effettuati
dal consulente tecnico fossero esatti e non inficiati dai rilievi mossi dagli
appellanti.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, cedono
a carico dei ricorrenti e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
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La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
del presente giudizio, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro
3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma il 13 febbraio 2013.

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