Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13395 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 01/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 01/07/2020), n.13395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24129/13 R.G., proposto da:

Cafè de la Place di O.L.R. & C. s.n.c.,

O.L.R., M.G.C., rappresentati e difesi, giusta mandato

in calce al ricorso, dall’Avv. Ghisiglieri Francesco e dall’Avv.

Mozzi Vincenzo, elettivamente domiciliati presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, Via Paolo di Dono n. 3/a;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/13 della Commissione Tributaria Regionale

della Liguria (di seguito, per brevità, CTR), depositata in data

03.04.2013, non notificata;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa d’Angiolella

Rosita nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020.

Fatto

RITENUTO

Che:

Con avviso di accertamento, per l’anno 2005, l’Agenzia delle entrate accertava, in capo alla società Cafè de la Piace di O.L.R. & C. s.n.c., maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati che portavano alla contestazione della debenza di maggiori fini Ires, Iva e Irap, oltre interessi e sanzioni. A seguito dell’instaurazione del contraddittorio, l’Ufficio rettificava, in minus, alcune voci di imposta.

La contribuente società ed i soci proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale deducendo l’illegittimità e l’erroneità dell’avviso, in quanto carente di istruttoria, di contraddittorio e di p.v.c., nonchè in quanto basato su di una serie di presunzioni e prove logiche infondate. In tale giudizio, l’Amministrazione controdeduceva che l’accertamento era del tutto legittimo oltre che infondato stante la totale inattendibilità della contabilità della società.

La Commissione tributaria provinciale di Salerno, con sentenza n. 312/13/09 rigettava i ricorsi dei contribuenti.

La società ed i soci impugnavano la predetta sentenza innanzi alla Commissione Tributaria regionale della Liguria, che, con la sentenza in epigrafe, respingeva integralmente l’appello.

La società ed i soci hanno proposto ricorso per Cassazione avverso tale sentenza deducendo sei motivi.

Resiste con controricorso l’Amministrazione finanziaria.

La società Cafè de la Place di O.L.R. & C. s.n.c. presenta memoria, ex art. 380 bis-1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce l’omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla dedotta nullità degli avvisi di accertamento per violazione della L. n. 4 del 1929, art. 24, per non essere stati preceduti da p.v.c..

1.1. Tale motivo è inammissibile perchè deduce, come omessa, una questione di diritto e non di fatto. Il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche (cfr. Sez. U, Sentenza n. 28054 del 25/11/2008,Rv. 605546-01), ovvero in un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014, Rv. 632989-01).

Peraltro i secondi giudici hanno adeguatamente motivato (e risolto) sulla relativa eccezione (v. pagina 4 della sentenza).

2. Col secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza di appello, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto avrebbe violato e male interpretato la L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24, che sancisce un obbligo generale di redazione del processo verbale di constatazione. Col terzo motivo, deducono la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d); con il quarto la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, riproducendo, in buona sostanza le censure di cui al secondo motivo e, cioè, l’errore dei secondi giudici nel ritenere non necessaria la redazione del processo verbale di constatazione in violazione delle garanzie del contribuente di cui alla citatat L., art. 12, che prevede la notifica dell’avviso entro il termine di 60 giorni dalla notificazione del processo verbale di constatazione.

2.1. Tali motivi (dal secondo al quarto) vengono trattati unitariamente per loro stretta connessione logica e giuridica; essi sono infondati per le ragioni qui di seguito esposte.

3. In ambito di indagini cd. “a tavolino” – (è pacifico che in ipotesi di specie non vi è stato accesso mirato nella sede della società) non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpef ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, (cfr. Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605-01). Ed invero, l’Amministrazione finanziaria è, sì, gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, ma sempre che il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015).

3.1. Se l’accertamento attenga anche all’Iva (come nel caso in esame), l’Amministrazione finanziaria è tenuta sì a rispettare, anche nell’ambito delle indagini cd. “a tavolino”, il contraddittorio endoprocedimentale, ma la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto solo se il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Sez. 6-5, Ordinanza n. 20036 del 27/07/2018, Rv. 650362-01). 3.2. Inoltre, l’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione del processo verbale di constatazione essendo sufficiente un verbale attestante le operazioni compiute e, dal rilascio della copia del processo di chiusura delle operazioni, decorre il termine di 60 giorni per quale il contribuente può comunicare osservazioni e richieste che sono valutati dagli uffici impositori, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, così come avvenuto nella specie (cfr. Sez. 5, ord. n. 16546 del 2018).

3.3. Considerati tali principi e tenuto conto della circostanza pacifica che, in ipotesi di specie, non vi è stato accesso mirato nella sede della società da parte dell’amministrazione ma che si è trattato di semplice controllo con invito al contraddittorio dei contribuenti, poi sfociato nell’accertamento analitico induttivo, risulta corretta la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso la illegittimità dell’avviso perchè era stato esperito il contraddittorio endoprocedimentale e perchè, trattandosi di accertamento analitico induttivo, non è contemplata dalla legge la redazione obbligatoria del p.v.c.; vieppiù, il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non deve essere rispettato anche nell’ipotesi in cui l’ufficio proceda autonomamente ad ulteriori verifiche sulla base di una istruttoria interna che nella specie è conseguita ai chiarimenti forniti dai contribuenti all’esito del contraddittorio (cfr. Sez. 6- 5, Ordinanza n. 27732 del 30/10/2018, Rv. 651114-01).

4. Col quinto motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54-55 e art. 2729 c.c., per aver la Commissione erroneamente valutato la ricorrenza dei presupposti per l’adozione dell’accertamento analitico-induttivo. 4.1. Anche tale doglianza è infondata.

4.2. Questa Corte che ha da tempo chiarito che “l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata” (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 20060 del 24/09/2014, Rv. 632351-01). In materia di IVA, è stato soggiunto che “l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (cfr., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638202-01; eadem, Sez. 5. Ordinanza n. 25217 del 11/10//2018).

4.3. E’ stato altresì affermato che nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perchè basata su contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 14941 del 14/06/2013, Rv. 627156-01; Sez. 5, Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017, Rv. 645975- 01).

4.4. La Commissione Tributaria regionale non ha violato alcune delle disposizioni normative invocate nella censura e non si è affatto discostata dai principi di diritto su riportati in quanto, con apprezzamento insindacabile in questa sede, ha fondato il suo ragionamento sulla prova logica afferente al tipo di accertamento analitico-induttivo, ritenendo, in base agli elementi acquisti, l’inverosimiglianza delle operazioni dichiarate e desumendo minori costi e maggiori ricavi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente circa la regolarità delle operazioni effettuate. Nè, d’altro canto, il contribuente, nonostante la lunga esposizione del ricorso, ha in qualche modo dedotto (e tanto meno allegato) di aver fornito la prova contraria ai rilievi dell’Ufficio o di aver indicato qualche elemento di prova idoneo a porre in dubbio il convincimento cui sono pervenuti i giudici di merito.

4.5. Per giunta, in tale sede non è ammissibile introdurre una nuova valutazione dei fatti oggetto del giudizio di merito, come sembra voler proporre, surrettiziamente, la ricorrente società nella parte in cui assume che una corretta valutazione degli elementi circostanziali emergenti nella fattispecie avrebbe dovuto portare la Commissione a concludere per l’infondatezza dell’avviso di accertamento e per la regolarità della gestione economica d’impresa. Ed invero, il giudizio di merito non può essere ulteriormente revisionato in sede di legittimità, tenuto conto del principio di diritto secondo cui: “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.” (così, Sez. 6-5, Ordinanza n. 097 del 07/04/2017, Rv. 643792-01; cfr. altresì, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690-01).

5. Con il sesto motivo, i ricorrenti si dolgono dell’omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla dedotta violazione della L. 212 del 2000, art. 12.

5.1. Tale censura, che ripete quella di cui al primo motivo di ricorso, è inammissibile in quanto riguarda una questione di diritto la cui valutazione non rientra nel parametro evocato, (v. paragrafo n. 1).

6. Il ricorso va, dunque, integralmente rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza dei ricorrenti e si liquidano come da dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.100,00 oltre spese prenotate a debito.

I ricorrenti sono tenuti al versamento, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, di cui all’art. 13, comma 1-bis, se dovuto

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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