Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13394 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. II, 17/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 17/06/2011), n.13394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Essegì s.r.l., con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante sig. P.M., rappresentata e difesa per

procura in calce al ricorso dall’Avvocato CHIARINI Mario,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Lapedona, b.go

Castellano n. 36;

– ricorrente –

contro

Coats Cucirini s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona

dei

consigliere delegato sig. P.W.M., rappresentata e difesa

per procura in calce al controricorso dagli Avvocati BOTTARINI Luisa

e Ferdinando Ferri, elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Pietro Mascagni n. 7;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2619 della Corte di appello di Milano,

depositata l’8 ottobre 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12

maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha chiesto l’accoglimento

del secondo e terzo motivo del ricorso incidentale e l’assorbimento o

il rigetto di quello principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Essegì, premesso di essere agente fin dal 1985 della Coats Cucirini s.p.a. nonchè concessionaria in esclusiva per la vendita dei suoi prodotti e che la mandante, con comunicazione dell’11 dicembre 1997, era receduta ad nutum dal rapporto di agenzia, convenne in giudizio la controparte chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per il recesso dal rapporto di concessione ed al pagamento delle indennità e delle altre somme dovute in relazione allo scioglimento del rapporto di agenzia. La società convenuta si oppose alla domanda e chiese, in via riconvenzionale, il pagamento della somma di L. 622.287.418 a titolo di corrispettivo per la fornitura di merci.

Il Tribunale di Milano, accertato, previa consulenza tecnica, il credito della società attrice in L. 273.533.038 e quello della convenuta in L. 622.287.418 ed operata la compensazione, condannò la società Essegi al pagamento della differenza di L. 348.754.380.

Interposero appello entrambe le parti, l’attrice lamentando l’omessa pronuncia sulla sua domanda di risarcimento dei danni per il recesso ad nutum dalla concessione in vendita e l’altra parte l’erronea quantificazione delle spettanze liquidate in relazione al rapporto di agenzia. Con sentenza n. 2619 dell’8 ottobre 2004, la Corte di appello di Milano, in accoglimento parziale dei gravami, riformò la decisione impugnata, riducendo la somma dovuta dalla Essegì nell’importo di L. 270.037.826, previa compensazione delle suoi crediti con quello, non oggetto di contestazione, dell’altra parte. A sostegno di tale conclusione, il giudice territoriale affermò che le spettanze dovute alla Essegì in relazione allo scioglimento del rapporto di agenzia andavano rideterminate nella minor somma complessiva di L. 98.897.885, atteso che la corresponsione dell’indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 cod. civ. escludeva quella prevista dall’Accordo economico collettivo del 1992;

che tra le parti, accanto al rapporto di agenzia, era intercorso anche un rapporto parallelo di concessione di vendita in esclusiva a tempo indeterminato, non già di mera fornitura, come invece sostenuto dalla convenuta; che, pertanto, essendo stato tale rapporto interrotto senza preavviso, che era obbligatorio in applicazione analogica della disposizione di cui all’art. 1569 cod. civ., alla società attrice andava riconosciuto il danno per l’immediata risoluzione del rapporto, che liquidava nella somma di L. 130.199.500, considerando il margine lordo risultante dalle vendite e, ai fini del preavviso, congruo il termine di sei mesi previsto dalle parti in relazione al rapporto di agenzia.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 27 ottobre 2005, ricorre la società Essegì, affidandosi a tre motivi.

La società Coats Cucirini resiste con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale, sulla base di cinque motivi.

La società Essegi ha depositato memoria e quindi anche note d’udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. Sempre in via preliminare va dichiarata inammissibile, perchè tardiva, la memoria depositata dalla società Essegì, risultando tale atto depositato presso la Cancelleria di questa Corte in data 9 maggio 2011, oltre il termine di cinque giorni prima dell’udienza di discussione stabilito dall’art. 378 cod. proc. civ. Identica conclusione va estesa alle note depositate dalla stessa Essegi all’udienza di discussione, atteso che nel giudizio di legittimità non è consentito il deposito di memorie o note in udienza, se non in replica alle conclusioni del Pubblico Ministero, contenuto che, nel caso di specie, l’atto in questione non possiede.

3.1. Va esaminato per primo il terzo motivo del ricorso incidentale, che pone, con riguardo al rapporto di concessione di vendita dedotto in giudizio, un tema logicamente preliminare.

Con questo mezzo la società Coats Cucirini denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1559, 2697 e 2729 cod. civ. e omessa ed insufficiente motivazione, censurando la decisione impugnata per avere affermato l’esistenza tra le parti, accanto al rapporto di agenzia, di un parallelo rapporto di concessione di vendita in esclusiva, giungendo a tale determinazione sulla base di mere presunzioni, senza prove dirette e senza far riferimento ad alcun documento negoziale. In realtà, si aggiunge, la Essegì svolgeva solo attività di vendita ed era un mero cliente della Coats che godeva di particolari agevolazioni.

Il motivo non merita accoglimento.

Va premesso al riguardo che, com’è noto, l’interpretazione dell’atto negoziale è accertamento di fatto demandato, come tale, in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione soltanto sotto il profilo della violazione delle regole ermeneutiche e dell’obbligo di motivazione. In particolare, la denunzia della violazione delle regole in materia di ermeneutica contrattuale richiede la specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso cui si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione esige la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito, con la precisazione che, per sottrarsi a censura, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (Cass., 22.5.2006, n. 10131;

Cass., 17.7.2003, n. 11193). Nel caso di specie, la Corte di appello, premesso ed incontestato che tra le parti era intercorso un rapporto continuativo in forza del quale la società Essegì riceveva dei beni dalla società produttrice Coats e li poneva in vendita, ha qualificato tale rapporto come concessione di vendita, osservando, a sostegno di tale conclusione, che le parti si erano accordate per la “vendita sottomargine” dei prodotti, che la Essegì era anche depositaria degli stessi e che il volume del fatturato delle vendite, nel periodo considerato, superava quello di agenzia. In particolare, il giudice territoriale, ai fini della qualificazione del rapporto, ha ritenuto di dovere soprattutto valorizzare il sistema delle “vendite sottomargine”, cui corrispondeva un meccanismo di bonifico merce, evidenziando che esso costituisce un patto che è funzionale al rapporto di concessione, mentre non sarebbe mai stato accettato da un rivenditore in proprio, in quanto troppo penalizzante.

Tanto precisato, le censure sollevate con il motivo sono inammissibili e comunque infondate.

L’inammissibilità consegue al rilievo che la ricorrente si limita a contrapporre alla ricostruzione del rapporto negoziale operata dal giudice a quo una diversa valutazione, senza censurare in modo specifico le argomentazioni della sentenza nè contrapporre ad esse osservazioni precise a sostegno della tesi proposta. Nè la società Coats deduce risultanze processuali o elementi di prova trascurati dal giudice di merito, tali da convincere della erroneità della sua soluzione.

La critica che denunzia vizio di insufficienza di motivazione è infondata, dovendosi per contro riconoscere che l’accertamento sul punto appare giustificato dalla sentenza sulla base della indicazione di elementi oggettivi e che la conclusione raggiunta è adeguata con i dati di fatto presi in considerazione. Gli elementi indicati dalla Corte territoriale, in particolare la clausola che concordava le vendite sottomargine, risultano infatti coerenti con la configurazione del rapporto come concessione di vendita, tenuto conto che essa costituisce, com’è noto, un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, ma qualificabile come contratto-quadro, in forza del quale il concessionario assume l’obbligo di promuovere la rivendita di prodotti che gli vengono forniti, mediante la stipulazione, a condizioni predeterminate, di singoli contratti di acquisto ovvero l’obbligo di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell’accordo iniziale (Cass. n. 3990 del 2010; Cass. n. 20186 del 2009).

Il mezzo va pertanto respinto.

3.2. Con il primo motivo la Essegì, ricorrente in via principale, denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1375, 1373 1223 e 2043 cod. civ. nonchè vizio di insufficiente motivazione, lamentando che la decisione impugnata le abbia riconosciuto, in relazione al rapporto di concessione di vendita, soltanto l’indennità di mancato preavviso, ma non anche i danni conseguenti alla illegittima ed arbitraria risoluzione unilaterale del rapporto, quali il rimborso delle spese da essa sostenute per adeguare la propria struttura al contratto di concessione e gli oneri affrontati per la liquidazione del personale.

Si assume, inoltre, che la determinazione di sei mesi del termine di preavviso non appare motivata e che, avuto riguardo alla natura del contratto ed a tutte le condizioni del rapporto, tale termine avrebbe dovuto essere fissato in misura maggiore.

Il motivo è infondato.

E’ sufficiente al riguardo sottolineare che la ricorrente lamenta il mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni, ma omette di indicare sia di avere proposto, fin dall’atto introduttivo, una richiesta specifica in tal senso, con espresso riferimento al tipo di pregiudizi patrimoniali in contestazione, sia elementi di fatto o risultanze processuale atte a dimostrare la loro effettiva esistenza. Nè ha buon gioco, in tale contesto, la critica svolta dal ricorso nei confronti dell’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui nel nostro ordinamento manca la previsione normativa di una indennità complementare nel caso di risoluzione senza preavviso del rapporto di concessione a tempo indeterminato. Questa considerazione, infatti, va letta non già nel senso che il giudice a quo ha escluso a priori la risarcibilità dei danni ulteriori (rispetto a quelli coperti dall’indennità di mancato preavviso), ma nel significato che il riconoscimento di tali pregiudizi non è previsto dalla legge ma segue le regole ordinarie, sia in ordine alla deduzione del danno, che non può non essere specifica, che con riguardo alla sua prova in concreto.

La seconda censura, che investe la determinazione da parte del giudice di merito del termine di preavviso, è invece generica ed anche infondata. Generica in quanto la stessa parte ricorrente non deduce quale sarebbe stato il termine di preavviso più appropriato;

infondata, avendo la Corte comunque motivato la sua decisione in forza del collegamento esistente tra il rapporto di concessione e quello di agenzia, estendendo al primo il termine di preavviso previsto per quest’ultimo.

3.3. Il secondo motivo del ricorso incidentale denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e omessa ed insufficiente motivazione, lamentando che il giudice di appello abbia accolto la censura sollevata dalla controparte di omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni per la risoluzione senza preavviso del rapporto di concessione di vendita, senza considerare che i quesiti posti in primo grado al consulente tecnico concernevano la determinazione delle sole spettanze relative alla cessazione del rapporto di agenzia.

Con il quarto motivo, la società Coats Cucirini denunzia violazione e/o applicazione di legge e omessa e/o insufficiente motivazione, lamentando che il giudice di appello abbia determinato, senza alcuna motivazione, in sei mesi il termine congruo di preavviso del recesso dal rapporto di concessione.

I due motivi, che, per connessione al tema finora trattato e per comodità espositiva, vanno esaminati prima degli altri, sono entrambi infondati.

Il secondo motivo va respinto in quanto la circostanza che lo sostiene, l’avere cioè il giudice di primo grado conferito al consulente tecnico quesiti limitati alla quantificazione delle spettanze vantate dalla controparte in relazione al rapporto di agenzia, non appare decisiva al fine di stabilire se quest’ultima avesse effettivamente avanzato altre pretese in relazione al distinto rapporto di concessione di vendita. L’affermazione positiva sul punto da parte del giudice di appello, che, per tale ragione, ha ravvisato nella sentenza del Tribunale, che nulla aveva statuito al riguardo, un vizio di omessa pronuncia, appare infatti congruamente motivata mediante richiamo all’atto di citazione di primo grado ed alle istanze istruttorie avanzate dalla parte, che appunto rivelavano che la Essegì aveva dedotto che, oltre al contratto di agenzia “sussisteva, di fatto, anche un parallelo rapporto di concessione di vendita in esclusiva”.

Con riferimento al quarto motivo, è sufficiente richiamare le considerazioni svolte in occasione dell’esame della censura sollevata dalla ricorrente principale nel primo motivo, del tutto speculare a quella avanzata dalla ricorrente incidentale, circa la sussistenza di una sufficiente ed adeguata motivazione della sentenza in punto di determinazione del periodo di preavviso per il rapporto di concessione di vendita.

La doglianza di violazione di legge sollevata dal mezzo è generica, in quanto non sostenuta dalla necessaria indicazione delle norme di diritto violate, nè da appropriate argomentazioni.

3.4. Il secondo motivo del ricorso principale, che denunzia “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente dell’A.E.C., del 30.10.1992 per gli agenti rappresentanti di commercio in relazione all’art. 1751 cod. civ.”, lamenta che la Corte di appello abbia escluso la spettanza dell’indennità di fine rapporto calcolata ai sensi dell’Accordo sopra menzionato, la quale, ad avviso della ricorrente, non è alternativa ma si aggiunge all’indennità prevista dall’art. 1751 cod. civ. nei casi in cui il contratto di agenzia si sciolga ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente.

Anche questo mezzo è infondato.

L’indennità prevista, in presenza di determinate condizioni, dall’art. 1751 cod. civ. in favore dell’agente in caso di cessazione del rapporto è chiaramente alternativa a quella contemplata dall’Accordo economico collettivo. L’una e l’altra previsione disciplinano, infatti, una provvidenza che trae titolo da una situazione di fatto la fine del rapporto di agenzia – che è la medesima, come del resto riconosce la stessa ricorrente che, nel richiamare l’Accordo del 30.10.1992, parla di indennità di scioglimento del rapporto.

L’alternatività è del resto resa evidente dalla stessa disposizione di legge, laddove l’art. 1751, penultimo comma, stabilisce che la disciplina ivi prevista può essere derogata ad opera della contrattazione, individuale o collettiva, soltanto in senso più favorevole per l’agente. Questo aspetto risulta ribadito dalla giurisprudenza costante di questa Corte, secondo la quale tale previsione va interpretata nel senso che, in presenza di una regolamentazione contrattuale, va sempre applicata la disposizione che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il trattamento in concreto più favorevole (Cass. n. 15203 del 2010; Cass. n. 23966 del 2008; Cass. n. 16347 del 2007 ). La clausola di derogabilità della disciplina normativa impone quindi di ritenere applicabile la disciplina contrattuale soltanto in via sostitutiva di quella legale.

3.5. Il terzo motivo del ricorso principale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 329 cod. proc. civ. nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere affermato, senza congrua motivazione ed in contrasto con le deduzioni e le richieste svolte dalla parte nel proprio atto di appello, che la parte istante non aveva impugnato la statuizione del giudice di primo grado che, in relazione alla cessazione del rapporto di agenzia, non le aveva liquidato alcun importo a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.

Il mezzo è infondato.

Dall’esame dell’atto di appello proposto dalla società Essegì – consentito a questa Corte in ragione della natura processuale del vizio denunziato risulta che la parte istante non aveva svolto alcuna censura avverso la sentenza di primo grado che non aveva riconosciuto in suo favore alcuna somma a titolo di indennità sostitutiva del preavviso. La statuizione della Corte territoriale, che, in sede di compensazione delle rispettive pretese delle parti, ha ritenuto di non dover tener conto di tale voce di credito, in quanto il relativo tema non era stato investito dall’appello, appare pertanto corretta.

Nè può essere accolta l’argomentazione contraria svolta dalla ricorrente, che ha sostenuto di avere avanzato, anche in secondo grado, la domanda di liquidazione di tale credito laddove, in sede di conclusioni, ha chiesto la condanna della controparte al pagamento della somma indicata in primo grado, comprensiva anche dell’indennità sostitutiva del preavviso. La critica non ha pregio, in quanto il mero e semplice richiamo alle conclusioni formulate in primo grado, mediante richiesta di liquidazione di una somma comprensiva di più voci di credito, oggetto di determinazioni autonome da parte del giudice di primo grado, non consente di ritenere rispettato il requisito dell’atto di appello che consiste nell’individuare le statuizioni della decisione concretamente impugnate e che si intende sottoporre all’esame del giudice di secondo grado. Requisito che, deve aggiungersi, se è necessario, nel senso che da esso non può prescindersi, non è peraltro sufficiente ai fini del riscontro dell’ammissibilità dell’impugnazione, richiedendo espressamente l’art. 342 cod. proc. civ., comma 1, a tal fine, che le censure proposte abbiano il carattere della specificità (Cass. n. 8771 del 2010; Cass. n 9244 del 2007). La proposizione dell’atto di appello, quale atto di impugnazione, richiede infatti necessariamente che siano indicate le determinazioni del giudice di primo grado di cui si chiede la riforma. In mancanza di tale indicazione, nel caso in cui l’atto di appello investa altre e diverse statuizioni della sentenza, la questione va pertanto risolta non tanto in termini di inammissibilità dell’impugnazione, per inosservanza del requisito della specificità dei motivi, quanto, più propriamente e come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, rilevando che, con riferimento alle determinazioni non oggetto di censura, nessun atto di impugnazione risulta proposto.

3.6. Il primo motivo del ricorso incidentale denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1751 cod. civ., dell’A.E.C. del 30.10.1992 nonchè vizio di omessa ed insufficiente motivazione, lamentando che il giudice di appello abbia liquidato in favore della controparte, senza congrua motivazione, l’indennità di fine rapporto a mente dell’art. 1751 cod. civ., in luogo che sulla base dell’Accordo economico colìettivo, cui le parti avevano fatto espresso riferimento e che doveva prevalere nel caso di specie.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

In sede di esame del ricorso principale, si è avuto modo di richiamare l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, secondo cui la disciplina dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia dettata dall’art. 1751 cod. civ. può essere derogata dalla regolamentazione collettiva solo laddove quest’ultima risulti in concreto più favorevole all’agente. Data questa premessa, è evidente che la società Coats, quale preponente, non può avere alcun interesse a censurare la decisione impugnata che, ai fini della determinazione dell’indennità in discorso, ha applicato la disciplina codicistica in luogo di quella negoziale, risultando quest’ultima applicabile soltanto a condizione di portare ad un risultato più vantaggioso per l’agente.

3.7. Il quinto motivo del ricorso incidentale, che denunzia violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. e omessa e/o insufficiente motivazione, lamenta che il giudice di appello abbia disposto la compensazione delle spese di giudizio.

Anche quest’ultimo motivo è infondato.

La statuizione di compensazione delle spese di lite costituisce il risultato di una vaiutazione che la legge assegna alla esclusiva competenza e discrezionalità del giudice della causa, sindacabile, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo della incongruità della motivazione (Cass. n. 7523 del 2009; Cass. n. 14964 del 2007).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato la sua scelta in ragione della “peculiarità della controversia ed in una visione unitaria della stessa nei due gradi di giudizio”, motivazione che è sufficiente a rendere conto della soluzione accolta.

3.8. In conclusione, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.

4. In ragione della reciproca soccombenza delle parti, le spese di giudizio si dichiarano interamente compensate.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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