Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13393 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 01/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 01/07/2020), n.13393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23605-2016 proposto da:

S.O., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ORTIGA 3, presso

lo studio dell’avvocato FRANCESCO CRISCI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati TURCHI ALESSANDRO, PASQUINELLI

ENRICO, giusta procura notarile Notaio M.C., rep. 13508

del 7/2/2020;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARANELLO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo

studio dell’avvocato MARCELLO FURITANO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CECILIA FURITANO, MARCO ZANASI, giusta

procura a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 608/2015 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 08/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. CAPRIOLI MAURA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo di ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato TURCHI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato FURITANO CECILIA che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza nr 609/2016 la CTR di Bologna rigettava l’appello proposto da S.O. avverso la pronuncia della CTP di Modena con cui erano stati respinti i ricorsi proposti dalla contribuente nei riguardi degli avvisi di accertamento emessi dal Comune di Mararello (anno 2007/2008) relativi al compossesso con la sorella di un’area fabbricabile e di un terreno agricolo di cui era stata assolta l’imposta corrispondente nonchè di altre 7 unità immobiliari non dichiarate ai fini ICI.

Il Giudice di appello rilevava che il gravame difettava di specificità non avendo contrapposto alle argomentazioni del primo giudice altre in grado di confutare il ragionamento seguito dalla CTP.

Osservava, comunque, nel merito che non era configurabile in relazione ai provvedimenti impugnati il difetto di motivazione affermando che la contribuente era a conoscenza che i beni immobili oggetto di accertamento alla stessa pervenuti in comunione pro indiviso erano da considerarsi aree fabbricabili ed in ogni caso erano state esattamente individuate dall’Amministrazione comunale.

Sottolineava che l’iscrizione nel catasto dei fabbricati costituiva presupposto necessario ai fini dell’assoggettamento dell’immobile all’imposta stessa sicchè l’immobile iscritto nel catasto come ” rurale” con attribuzione della relativa categoria non è soggetto all’imposizione restando precluso ogni accertamento in funzione della pretesa assoggettabilità ad ICI del fabbricato.

La CTR osservava che, indipendentemente dall’iscrizione catastale, non sussistevano i requisiti di ruralità prescritti dalla legge per usufruire delle agevolazioni in quanto i terreni erano condotti da una società ed il volume di affari derivante dall’attività agricola non risultava superiore alla metà del suo reddito complessivo.

Avverso tale sentenza S.O. proponeva ricorso per cassazione affidato a 4 motivi cui resiste con controricorso il Comune di Maranello.

Entrambe le parti hanno depositato memoriE illustrative.

Diritto

Con il primo motivo la contribuente denu scia l’erroneità della pronuncia di appello nella parte in cui in un fugace passaggio motivazionale critica il gravame per difetto di specificità.

Osserva al riguardo che il principio di specificità prescinde da qualsiasi rigore di forme dovendosi l’esigenza ritenere assolta allorchè l’appellante, anche mediante un esposizione sommaria indichi, come nella specie, le doglianze in modo che il giudice sia in grado di individuare le ragioni di fatto e di diritto. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

Sostiene infatti che la motivazione posta a base dell’impugnata sentenza sarebbe apparente superando da un lato l’argomento del primo grado di giudizio circa la decisività delle risultanze catastali prescindendone e dall’altro escludendo i requisiti di ruralità in termini estremamente generici.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 557 del 1993, art. 9 del in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Critica in particolare la decisione nella parte in cui ha escluso il diritto alle agevolazioni fiscali per mancanza del requisito soggettivo ed oggettivo. Lamenta infatti che la CTR avrebbe travisato: gli elementi documentali offerti in causa anche in punto alla violazione del principio di non contestazione

Sotto il primo profilo osserva che per consolidata giurisprudenza ed anche per le recenti aperture legislative in materia r on sarebbe di ostacolo l’esercizio dell’attività agricola in forma societaria.

Sotto l’altro aspetto rilevava la sussistenza della prevalenza del reddito agricolo rispetto ad altri redditi.

Lamenta poi che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi su altre questioni rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in particolare sulla tassazione dei terreni oltre che dei fabbricati, sulla mancata notiziazione della variazione e su quella riguardante le obbiettive condizioni di incertezza sulla normativa impositiva che avrebbero giustificato la disapplicazione delle sanzioni inflitte. Sostiene che il giudice di appello si sarebbe limitato a considerare solamente i fabbricati e non anche i terreni il cui calcoli ai fini Ici è differente rispetto alle unità immobiliari.

Osserva poi che la comunicazione della variazione della destinazione sarebbe intervenuta in violazione della L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 20 a distanza di un anno e mezzo dopo l’esecutività della prima Delib. Consigliare 31 luglio 2007, n. 51.

La contribuente si duole infine dell’omessa pronuncia in ordine alle condizioni obbiettive di incertezza sulla norma impositiva che avrebbero dovuto portare alla disapplicazione delle sanzioni.

In ordine al primo motivo va osservato che la decisione impugnata pur rilevando l’assenza di specificità dei motivi c i gravame è scesa ad esaminare il merito concludendo per il rigetto dell’appello in tal modo escludendo implicitamente i presupposti per la declaratoria di inammissibilità.

In questo quadro una volta chiarita l’effettiva portata della decisione impugnata tutte le questioni sollevate dalla controricorrente sul presupposto della natura di rito della pronuncia resa dalla CTR vengono meno.

Con riguardo al secondo profilo di censura g ova ricordare che al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/1/12) trovi applicazione il nuovo testa dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2(112), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione ‘ per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un Iato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8953 del 07/04/2014, Rv. 629830). Ciò posto nel caso di specie non si può ritenere che la motivazione posta a fondamento della decisione sia apparente nel senso sopra precisato.

La Ctr per quanto riguarda i fabbricati ha rilevato che il presupposto per fruire dell’agevolazione è l’iscrizione catastale in conformità all’orientamento seguito dalla Suprema Corte e, comunque a prescindere da ciò, la sussistenza del requisito reddituale per il quale è richiesto che il volume di affari sia superiore alla metà del reddito complessivo, nella specie carente.

Con riguardo alle aree fabbricabile ha escluso la ruralità per la mancata conduzione delle zone in questione da parte di una persona fisica ma da una società.

Va comunque osservato che la formulazione del successivo motivo di ricorso, diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, dimostra come la stessa abbia invero esattamente colto l’iter logico argomentativo posto a fondamento della sentenza impugnata e, dunque le ragioni sulle quali essa si fonda.

Con riguardo al terzo motivo la soluzione; eguità dalla CTR relativamente ai fabbricati deve ritenersi corretta ed in linea con gli indirizzi di questa Corte

Si è infatti affermato che per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali); sicchè l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dai D.L. 30 dicembre 1953, n. 557, art. 9 (conv. in L. 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1-bis (conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 14) e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 50, art. 2, comma 1, lett. a); – per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, ci- e invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato; – allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’Ici.

A tale orientamento hanno fatto seguito numerose pronunce di legittimità (Cass. nn. 16737/.15 e Cass. 24892/16; 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14; più recentemente confermate da Cass. 20/04/2016 n. 7930; Cass. n. 1028’3/2019 e Cass. n. 8539/2019) secondo cui: “qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento, fermo restando, invece, che se il fabbricato no i risulti iscritto in catasto e il contribuente agisca per ottenere il rimborsa dell’imposta, l’accertamento della ruralità può essere immediatamente compiuto dal giudice, ma incombe al contribuente dimostrare la sussistenza dei requisiti D.L. n. 557 del 1993, ex art. 9”.

Va altresì osservato come le SSUU nella sentenza cit. si siano fatte carico anche dei profili di jus superveniens riconducibili all’emanazione sia del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3-bis, conv. in L. n. 133 del 1994, come introdotto dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42-bis, conv. in L. n. 222 del 2007; sia del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1-bis, conv. in L. n. 14 del 2009. Con la conseguenza che nemmeno in base a questa normativa – salva l’ipotesi di mancato accatastamento – è dato al giudice tributario di accertare in concreto, incidentalmente, il carattere rurale del fabbricato di cui si sostenga l’esenzione da Ici.

La stessa conclusione va, infine, riaffermata (così Cass. 7930/16 cit. ed innumerevoli altre) pur alla luce dell’ulteriore jus superveniens (D.L. n. 70 del 2011, conv. in L. n. 106 del 2011; D.L. n. 201 del 2011 conv. in L. n. 214 del 2011; D.L. n. 102 del 2013 conv. in L. n. 124 del 2013) che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda autocertificata di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente. Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (Cass. n. 12780/2018).

Nel prendere in esame, in particolare, quest’ultima disposizione (successiva e presupponente quella introdotta dall’art. 42 bis cit.), le SSUU hanno tratto argomento per affermare come la disciplina sopravvenuta, lungi da smentire la necessaria rilevanza, ai fini Ici, della classificazione catastale, l’abbia ulteriormente confortata e resa imprescindibile; al punto che l’obiettivo di sottrarre il fabbricato strumentale all’imposi::ione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 2) è stato perseguito dal legislatore (D.L. n. 207 del 2008 cit., ex art. 23) mediante, non già l’esenzione dalla classificazione in categoria catastale di ruralità, bensì attraverso l’espunzione di tali unità immobiliari, così accatastate, dalla nozione legislativa medesima di ‘fabbricato (cfr. ex pluribus: Cass. n. 5769/2’018; Cass. 2019 nr 21094; Cass. n. 7799/2019, in motiv.).

Il requisito della “ruralità”, quale presupposto del trattamento agevolato previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 9, richiede infatti che il contribuente il quale invochi la natura rurale dell’immobile al fine di usufruire del regime agevolato d’imposta, dimostri (circostanza, nella fattispecie in esame, incontestata): a) il possesso dei ter-eni da parte di coltivatori diretti o di imprenditori agricoli a titolo principale; b) la diretta conduzione dei medesimi da parte dei predetti soggetti; o) la persistenza dell’utilizzazione agro-silvo-pastorale, mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione.

Tuttavia, ai fini del riconoscimento della ruralità, deve sussistere, unitamente agli altri requisiti sopra richiesti, anche la condizione di cui al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3, lett. d), convertito nella L. 26 febbraio 1994, n. 133, quale novellato dal D.L. 1 ottobre 2017, n. 159, art. 42-bis, convertito nella L. 29 novembre 2007, n. 222, la quale dispone che il volume d’affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire in esso i trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura.

Il requisito del volume d’affari deve intendersi riferito esclusivamente al soggetto che conduce il fondo.

La Ctr, con una valutazione in fatto, non sindacabile in questa sede ha escluso, sulla base delle risultanze processuali, la sussistenza del requisito catastale nonchè di quello reddituale ritenendo che il volume di affari derivante dall’attività agricola non fosse superiore alla metà del reddito complessivo.

Con riguardo alle aree fabbricabili non è condivisibile il ragionamento seguito dal giudice di appello alla luce degli indirizzi giurisprudenziali che si sono formati su tale tema.

In questa prospettiva giova ricordare che le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 228 del 2001, e del D.Lgs.n. 99 del 2004, hanno profondamente inciso sulla stessa configurazione del requisito soggettivo per la fruizione dell’agevolazione fornendo una lettura più in linea con la normativa Eurounitaria e quindi ritenere applicabile anche ad una società agricola di persone le agevolazioni di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 9, sia pure condizionate all’esistenza di determinati requisiti (società possa essere considerata imprenditore agricolo professionale ove lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c., ed almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo ovvero abbia conoscenze e competenze professionali, ai sensi del Req. (CE) n. 1257 del 1999 del Consiglio, art. 5, e dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c., almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo ricavando da dette attività almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro” (Cass. Cass. 2019 11415; n. 28062 del 2018, Cass. n. 375 del 2017).

Sulla portata novativa del D.L. n. 228 del 2001, anche in epoca più risalente, tuttavia, era stato osservato che: “la Corte di Giustizia, intervenuta con due successivi arresti in materia tributaria sulla nozione di “imprenditore agricolo a titolo principale”, ha affermato che non è possibile ricavare dalle disposizioni del trattato o dalle norme di diritto con unitario derivato una definizione comunitaria generale ed uniforme di “azienda agricola”, valida per tutte le disposizioni di legge e di regolamento concernenti la produzione agricola (C. Giust. 15/10/1992 in C-162/91 par. 19), riguardando il Reg. n. 797 del 1985, un regime di aiuti agli investimenti ne settore agricolo rigorosamente determinati, mentre altre modalità di aiuti (nella specie agevolazioni tributarie in tema di imposta di registro) riguardano esclusivamente il legislatore nazionale; concetto quest’ultimo riferibile evidentemente ad altri tributi (e nella specie all’ICI) e ribadito con la sentenza della stessa Corte 11 gennaio 2001 n. 403 in C-403/98 nella quale si afferma (par 26 e segg.) che le disposizioni dei Regolamenti Comunitari (e nella specie quElle dei Reg. n. 797 del 1985, e n. 232 del 1991, in materia di aiuti agli investimenti nell’agricoltura) non producono tutte effetti immediati nell’ordir amento nazionale, ma richiedono norme attuative in assenza delle quali (par. 29)” il Reg. n. 797 del 1985, art. 2, n. 5, u.c., e del Reg. n. 2328 del 1991, art. 5, n. 5, u.c., (che richiedono la parificazione delle persone giuridiche a quelle fisiche nel settore agricolo) non possono essere invocati davanti ad un giudice nazionale da società di capitali al fine di ottenere il riconoscimento dello status di imprenditore agricolo a titolo principale allorchè il legislatore di uno Stato membro non ha adottato le misure necessarie per la loro esecuzione nel suo ordinamento giuridico interno”, misure che possono in effetti riscontrarsi nel D.Lgs. n. 228 del 2001, di portata non retroattiva …”(Cass. n. 5931 del 2010).

Alla luce di tale indirizzo la sentenza impugnata va cassata in relazione al terzo motivo, con l’assorbimento del quarto, alla CTR di Bologna che, in diversa composizione, dovrà accertare ai fini dell’agevolazione se la contribuente sia proprietaria e coltivatrice diretta della società semplice di cui la stessa fa parte e se anche gli altri soci siano coltivatori diretti del terreno per cui è causa nonchè se anche almeno un socie abbia ricevuto dall’attività agricola almeno il 50% del proprio reddito nonchè dovrà provvedere sulle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo, assorbito il quarto, e rigettati i rimanenti, cassa la sentenza impugnata alla CTR di Bologna, la duale in relazione al motivo accolto provvederà anche alle spese della presente fase.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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