Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13392 del 29/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13392 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso 14515-2008 proposto da:
GAROFALO PIERLUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato
VACIRCA SERGIO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2013

contro

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POSTE ITALIANE S.P.A.;
– intimata 4.

sul ricorso 17147-2008 proposto da:

Data pubblicazione: 29/05/2013

ITALIANE S.P.A. in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO
25-B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO,
che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale –

GAROFALO PIERLUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato
VACIRCA SERGIO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta delega
in atti;
– controricorrene al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 983/2007 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 23/08/2007 r.g.n. 1603/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/02/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
Udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO per delega VACIRCA
SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale, assorbito
l’incidentale.

contro

14515.08 + 17147.08

Udienza 7 febbraio 2013

Pres. A. Lamorgese
Rel. V. Di Cerbo

SENTENZA

Rilevato che
1. La Corte d’appello degli Abruzzi – L’Aquila ha confermato la sentenza di prime cure nella
parte in cui aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro
stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Pierluigi Garofalo con conseguente sussistenza tra
le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. In riforma della
sentenza impugnata ha peraltro rigettato la domanda del lavoratore al risarcimento del
danno.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso principale il Garofalo; Poste
Italiane s.p.a. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale. Il
lavoratore ha resistito con controricorso al suddetto ricorso incidentale. Entrambe le
parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
3. Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.
4. Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso
la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
5. Il ricorso principale è articolato su quattro motivi, tutti concernenti la statuizione della
sentenza impugnata con la quale è stata rigettata la domanda di risarcimento del
danno derivante dalla declaratoria di illegittimità del termine.
6. Col primo motivo il ricorrente principale deduce che la sentenza impugnata deve essere
considerata nulla per violazione degli artt. 210, 116 e 112 cod. proc. civ. Sostiene
l’erroneità della decisione sul risarcimento del danno sottolineando che tale decisione
era basata unicamente sulla mancata ottemperanza del lavoratore a un ordine di
esibizione emesso d’ufficio (la relativa richiesta non era stata infatti riproposta da Poste
Italiane s.p.a. nel giudizio di appello) dal giudice ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ.
Sottolinea in proposito che l’ordine di esibizione può essere emesso unicamente su
istanza di parte.
7. Col secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza sotto un ulteriore
profilo basato sull’assunto della violazione degli artt. 116, secondo comma, 210 e 437,
secondo comma, cod. proc. civ. e 2727 e 2729 cod. civ. Sostiene che del tutto
arbitrariamente, data l’assenza di ulteriori elementi di valutazione, la Corte territoriale

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La Corte

aveva desunto dall’inutile decorso del termine contenuto nell’ordine di esibizione
l’inesistenza di un qualsiasi pregiudizio economico a carico del lavoratore.

9. Col quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697, secondo comma cod.
civ. deducendo che la Corte di merito avrebbe errato nell’attribuire al prestatore di
lavoro l’onere di provare l’aliunde perceptum.
10. Col primo motivo del ricorso incidentale Poste Italiane s.p.a. denuncia violazione
dell’art. 1372, primo e secondo comma, cod. civ. nonché vizio di motivazione in
relazione al mancato accoglimento dell’eccezione di avvenuta risoluzione consensuale
del rapporto per mutuo consenso.
11. Col secondo motivo del ricorso incidentale Poste Italiane s.p.a. denuncia violazione
dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione
in relazione all’attribuzione alla società dell’onere della prova del rispetto dei limiti
percentuali posti dalla disciplina contrattuale per le assunzioni a termine. Sostiene la
ricorrente incidentale che l’onere di provare il rispetto della c.d. clausola di
contingentamento incombe sul lavoratore che deve dimostrare l’illegittimità della
clausola appositiva del termine.
12. Ragioni di ordine logico impongono che venga esaminato preliminarmente il ricorso
incidentale.
13. Il primo motivo, concernente l’eccezione di risoluzione consensuale del rapporto per
mutuo consenso, è infondato.
14. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass.
17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto
dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per
la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che
sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di tale conclusione, del
comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e
certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali
elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in
sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la
Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del
contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e in mancanza di ulteriori
significativi elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della
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8. Col terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione concernente la statuizione
già censurata nei primi due motivi; in particolare la Corte territoriale non avrebbe
valutato la sussistenza, o meno, di circostanze ulteriori in tema di esistenza in concreto
dell’aliunde perceptum né avrebbe tenuto conto del fatto che, nella fattispecie in
esame, l’onere probatorio non era a carico del lavoratore.

15. Parimenti è infondato il secondo motivo del ricorso incidentale. In tema di prova
dell’osservanza della percentuale dei lavoratori da assumere a termine rispetto ai
dipendenti impiegati dall’azienda con contratto di lavoro a tempo indeterminato,
questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 19 gennaio 2010 n. 839 e, da
ultimo, Cass. 19 gennaio 2013 n. 701) ha ripetutamente precisato il relativo onere è a
carico del datore di lavoro, in base alla regola esplicitata dall’art. 3 della legge n. 230 del
1962, secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva esistenza delle
condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro. La
sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tale principio. Quanto alla
conclusione della Corte territoriale circa la mancanza di prova del rispetto del requisito
del rispetto della clausola di contingentamento, essa è basata su motivazione priva di
vizi logici e quindi insindacabile in questa sede di legittimità.
16. Il ricorso incidentale deve essere in definitiva rigettato.
17. Per quanto riguarda il ricorso principale i quattro motivi in cui lo stesso è articolato
devono essere considerati contestualmente in quanto logicamente connessi.
18. Tali motivi, che, come in precedenza evidenziato, riguardano tutti la statuizione
concernente le conseguenze economiche derivanti dalla declaratoria di illegittimità
della clausola appositiva del termine, sono fondati.
19. Deve premettersi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità
(cfr., da ultimo, Cass. 26 ottobre 2010 n. 21919), in tema di risarcimento del danno
dovuto al lavoratore per effetto del riconoscimento ad opera del giudice della nullità
del termine apposto al contratto di lavoro, ove venga proposta dal datore di lavoro una
eccezione con la quale si deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro
reddito per effetto di una nuova occupazione, è necessario, ai fini della sottrazione,
nella liquidazione del danno risarcibile operata dal giudice, dell’aliunde perceptum dalle
retribuzioni dovute al lavoratore, che risulti la prova, il cui onere grava sul datore di
lavoro, non solo del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una
nuova occupazione, ma anche di quanto percepito, essendo questo il fatto che riduce
l’entità del danno presunto. In sostanza, secondo questo orientamento, al quale si
intende dare ulteriore conferma, l’aliunde perceptum deve avere un preciso riscontro
nell’evidenza processuale perché possa essere valutato dal giudice ai fini della
determinazione del danno risarcibile. La Corte di merito non ha correttamente
applicato tale principio atteso che, a prescindere da ogni altra considerazione, ha
arbitrariamente desunto dall’inutile decorso del termine fissato nell’ordine di esibizione
ex art. 210 cod. proc. civ. la presunzione dell’assenza assoluta di pregiudizio economico
per il lavoratore in termini di perdita della retribuzione. In sostanza non solo ha
attribuito al lavoratore l’onere di provare l’assenza di aliunde perceptum sollevando il
datore di lavoro dal relativo onere probatorio, ma ha arbitrariamente applicato una
presunzione laddove era richiesta una precisa quantificazione.

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risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi
logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.

20. Il ricorso principale deve essere pertanto accolto e per l’effetto la sentenza impugnata
deve essere cassata con rinvio ad altro giudice, indicato in dispositivo, che provvederà
alla liquidazione del risarcimento del danno tenendo conto dello ius superveniens,
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rappresentato dall’art. 32, commi 5 , 60 e 7 della legge 4 novembre 2010 n. 183. Lo
stesso giudice provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione
(art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale; cassa in relazione
al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello degli Abruzzi – L’Aquila in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2013.

P.Q.M.

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