Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13392 del 26/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/05/2017, (ud. 02/03/2017, dep.26/05/2017),  n. 13392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23761-2015 proposto da:

I.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 22, presso lo studio dell’avvocato MARIO

ASSENNATO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GIOVANNI GIOVANNELLI, ALESSANDRO PASQUINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BNL – GRUPPO BNP PARIBAS (già BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A.)

P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio

degli avvocati ROBERTO PESSI, FRANCESCO GIAMMARIA che la

rappresentano e difendono, giusta procura speciale notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3072/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/03/2015 R.G.N. 5244/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI GIOVANNELLI;

udito l’Avvocato TIZIANA SERRANI per delega verbale Avvocato ROBERTO

PESSI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 30 marzo 2015, la Corte d’Appello di Roma, confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma e rigettava la domanda proposta da I.C. nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro – Gruppo BNP Paribas, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato al primo in relazione alle due contestazioni elevate a suo carico – l’una relativa all’omessa evidenziazione dei collegamenti societari e aggirato il limite della sua autonomia con esposizione della Banca al rischio di prevedibili insolvenze e la seconda, seguita all’ordinanza cautelare in carcere che lo aveva raggiunto per fatti costituenti reato correlati all’attività del gruppo (OMISSIS), per i medesimi fatti e definita con applicazione della predetta sanzione nonostante la comunicazione in precedenza fatta dalla Banca all’ I. di voler attendere l’esito del processo.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto sufficiente ai fini del decidere la valutazione della legittimità di una delle due contestazioni, di dover condividere il giudizio espresso in prime cure in ordine alla ricorrenza della giusta causa di recesso, pertanto legittimamente intimato, pur nelle more del procedimento penale, il cui esito il datore non può dirsi tenuto ad attendere, in relazione ai fatti da ritenersi pienamente provati alla luce degli elementi emersi dalle intercettazioni telefoniche riportate nella sentenza e comunque dall’ordinanza cautelare ed idonei, sia singolarmente che nel loro insieme, a ledere il vincolo fiduciario.

Per la cassazione di tale decisione ricorre l’ I., affidando l’impugnazione a cinque (e non sei, come per errore è intitolata la rubrica dell’ultimo motivo) motivi, cui resiste, con controricorso, la Banca.

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7lamenta a caricavo della Corte territoriale l’erroneità dell’inquadramento giuridico della fattispecie, per aver ritenuto l’unico provvedimento sanzionatorio irrogato qualificabile come conseguenza di ciascuna delle due contestazioni elevate a carico del ricorrente, assunte come distinte ed autonome e come tali ciascuna idonea a legittimare in astratto l’adozione del predetto provvedimento, di modo che la verifica della regolarità in concreto anche di una sola di esse sarebbe valsa a decidere della legittimità della sanzione e dunque del licenziamento, quando, viceversa, il succedersi delle contestazioni doveva inquadrarsi in un unico procedimento disciplinare, la cui regolarità doveva essere verificata con riguardo ad entrambe le contestazioni, correlando. a tale verifica la legittimità del recesso.

Nel secondo motivo la medesima censura è prospettata sotto il profilo della violazione, in ordine alla prima delle elevate contestazioni, del principio di immediatezza della contestazione, anche con riguardo all’aspetto della rinuncia all’esercizio del potere, attestato altresì dalla progressione di carriera dì cui il ricorrente ha beneficiato nel medesimo periodo in cui le operazioni addebitate si sono verificate, e della garanzia del contraddittorio.

La violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 2, del CCNL di categoria è prospettata nel terzo motivo con riferimento alla ritenuta inconfigurabilità della predetta norma come preclusiva della facoltà della Banca datrice di definire l’avviato procedimento disciplinare con anticipo sull’esito del processo penale.

Con il quarto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., anche in relazione all’art. 654 c.p.c. in una con il vizio di motivazione, imputà alla Corte territoriale la carenza dell’iter argomentativo in base al quale la stessa ha ritenuto la rilevanza probatoria tanto delle intercettazioni telefoniche quanto dell’ordinanza cautelare ai fini del giudizio circa la ricorrenza della giusta causa di recesso.

Con il quinto motivo, sotto la rubrica “Omessa decisione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) – Le richieste istruttorie – Decisività e rilevanza ai fini della decisione”, il ricorrente prospetta a carico della Corte territoriale l’error in procedendo dato dalla mancata ammissione dei mezzi istruttori (CTU, acquisizione degli atti istruttori del processo penale, interrogatorio formale e prove testimoniali) richiesti dal ricorrente.

I primi due motivi, che, in quanto strettamente connessi, per essere il rilievo relativo all’unicità dell’addebito fatto oggetto dalla Banca datrice di due successive contestazioni, l’una seguita all’esito dell’indagine svolta dal servizio Auditing centrale che ha dato avvio al procedimento disciplinare con sospensione cautelare dal lavoro a tempo indeterminato e l’altra seguita all’emanazione, nell’ambito dell’avviato procedimento penale a carco del ricorrente, di una ordinanza cautelare con applicazione di una misura restrittiva della libertà personale, funzionale alla censura che imputa alla Corte territoriale l’omesso esame delle eccezioni sollevate con riguardo alla prima contestazione relativamente alla violazione del principio dell’immediatezza della contestazione e della garanzia del contraddittorio, possono essere qui trattati congiuntamente, si rivelano infondati.

In effetti, anche ove si dovesse ritenere l’unicità della reazione disciplinare della Banca per identità degli addebiti mossi con la prima e la seconda contestazione, le censure qui svolte relative all’omesso esame delle eccezioni predette non troverebbero fondamento nè con riguardo alla violazione del principio di immediatezza della contestazione, stante l’ammissione da parte del ricorrente dell’avvio dell’indagine interna a suo carico, da cui sarebbe scaturita la prima contestazione in data 27.11.2007, soltanto nel giugno 2007, con conseguente irrilevanza delle dedotte circostanze relative alla conoscibilità da parte della Banca dei fatti poi contestati, in alcuni casi, già dal 2002 e della progressione di carriera medio tempore consentita al ricorrente, indicativa della rinuncia da parte della Banca datrice all’esercizio del potere sanzionatorio cui poi ha, viceversa, dato corso, nè con riguardo alla violazione del diritto di difesa, atteso che il ricorrente, mentre dà atto di aver reiteratamente, in tutte le fasi del procedimento disciplinare a suo carico, comunicato le proprie giustificazioni, non dà qui conto in alcun modo della formalizzazione della richiesta di audizione a difesa di cui lamenta il mancato espletamento.

Rilevata l’infondatezza, se non l’inammissibilità, del terzo motivo, stante la correttezza dell’interpretazione che sul piano logico e giuridico la Corte territoriale ha dato dell’art. 5, comma 2, del CCNL di categoria nel senso di escludere che l’obbligo di comunicazione al dipendente della volontà del soggetto datore di differire la decisione in ordine al provvedimento disciplinare da assumere all’esito del procedimento penale in corso precluda l’assunzione anticipata rispetto a quel termine della decisione medesima, e ciò neppure sotto il profilo della violazione dei principi di correttezza e buona fede, per risultare tale profilo del tutto ultroneo rispetto al contenuto obbligatorio della previsione in questione, si deve concludere sempre nel senso dell’infondatezza anche con riguardo al quarto motivo.

La non conformità a diritto e l’incongruità logica della pronunzia in ordine alla proporzionalità della sanzione irrogata rispetto agli addebiti contestati e, così, alla sussistenza nella specie dell’invocata giusta causa di recesso non risulta validamente confutata nè sulla base delle censure sollevate con il ricorso de quo, nè in base ai rilievi svolti con la memoria ex art. 378 c.p.c., con specifico riferimento alla sentenza di assoluzione del ricorrente dal reato di truffa aggravata emessa dalla Corte d’Appello di Firenze, poi annullata da questa Corte con rinvio ad altra sezione della stessa Corte d’Appello per nuovo giudizio.

Anzi, al di là dell’inammissibilità ex art 372 c.p.c. della documentazione prodotta, ivi compresa la sentenza citata, è appunto quanto qui esposto in ordine alla posizione dell’ I., circa i rapporti da questi intrattenuti con il (OMISSIS), le facilitazioni e i suggerimenti a questi offerti dal ricorrente, la consapevolezza da parte del medesimo delle operazioni da quegli poste in essere, a suffragare, sul distinto piano del vincolo fiduciario tra le parti del rapporto di lavoro, concretantesi nell’affidamento del datore sull’esatto adempimento delle prestazioni future da parte del lavoratore, la conclusione cui perviene la Corte territoriale in ordine alla legittimità del recesso.

Di qui l’infondatezza se non l’inammissibilità del quinto motivo nel quale la contestazione in ordine alla rilevanza e decisività dei mezzi istruttori richiesti dal ricorrente non appare fondata su alcun motivo di censura che non sia l’ovvia diversa valutazione dell’utilità dei medesimi.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2017

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