Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13390 del 30/06/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 13390 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 9039-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – Società con socio unico – in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio TRIFIRO’ & PARTNERS
AVVOCATI, rappresentata e difesa dall’avv. SALVATORE
TRIFIR0′, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
MICHELUZ FEDERICO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato ANTONIETTA
CARRETTA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
FABRIZIO QUERIN, giusta mandato a margine del controricorso;
– C011ttOrkOrfellte –

Data pubblicazione: 30/06/2015

avverso la sentenza n. 59/2012 della CORTE D’APPELLO di
TRIEST del 23.2.2012, depositata il 30/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
26/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.

La Corte di appello di Trieste ha parzialmente riformato le sentenze
del tribunale di Pordenone ed ha dichiarato l’illegittimità del termine
apposto al contratto intercorso con Federico Micheluz per il periodo
novembre 2000 gennaio 2001 in relazione all’esistenza di esigenze
eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione degli assetti
occupazionali ed alla introduzione di nuovi assetti produttivi della
società condannando la società a riammettere il servizio il lavoratore ed
a corrispondergli, ex art. 32 della I. n. 183 del 2010, un indennizzo pari
a sei mensilità di retribuzione.
Per la cassazione della sentenza ricorre la società Poste che articola sei
motivi di ricorso.
Resiste con controricorso Federico Micheluz.
La società Poste Italiane ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378
c.p.c. con la quale, nell’insistere per l’accoglimento del ricorso
evidenzia che il rapporto di lavoro tra le parti si è risolto con
licenziamento disciplinare che non è stato impugnato e, pertanto,
chiede che venga dichiarata cessata la materia del contendere.
Tanto premesso si osserva che pur essendo stato risolto con
licenziamento non impugnato il rapporto, permane l’interesse del
lavoratore all’accertamento della nullità del termine quantomeno al fine
di ottenere il risarcimento del danno (in termini anche Cass. n. 17543
del 2014). Venendo quindi all’esame delle censure si osserva quanto
segue.

Ric. 2013 n. 09039 sez. ML ud. 26-03-2015
-2-

Fatto e diritto

I

I primi cinque motivi di ricorso investono sotto vari profili il capo
della decisione con il quale è stato accertato che il termine apposto al
contratto intercorso tra le parti dal novembre 2000 al gennaio 2001 era
illegittimo.

consolidata giurisprudenza di questa Corte che in numerose occasioni
ha affermato che:
1.- la legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 configura una vera e propria
delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono
vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque
omologhe a quelle previste per legge (v_ Cass. Sez. Un. 2 marzo 2006,
n. 4588).
2.- che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale
nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo
integrativo del 25/9/97 (con riferimento al distinto accordo attuativo,
sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attutivo del 16/1/98
con i quali le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino
al 31/1/98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al
30/4/98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali
menzionate dal detto accordo integrativo.
3.- che solo nei suddetti limiti temporali la società poteva procedere ad
assunzione di personale straordinario con contratto tempo.
4.- che pertanto sono illegittimi i contratti a termine stipulati dopo il 30
aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.
5.- che è irrilevante l’accordo 18/1/01 in quanto stipulato dopo oltre
due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del
soggetto si era già perfezionato (cfr. Cass. 12 marzo 2004, n. 5141).(per
tale complessiva ricostruzione si veda tra le tante, Cass. 23 agosto
2006, n. 18378 e da ultimo Cass. 3.4.2014 n. 7881).
Ric. 2013 n. 09039 sez. ML – ud. 26-03-2015
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Le censure formulate sono destituite di fondamento alla luce della

Da quanto esposto consegue quindi che il contratto, stipulato al di
fuori del limite temporale del 30/4/98, è illegittimo in quanto non
rientra nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla legge 28
febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva

L’ultima censura, che investe la misura dell’indennità liquidata dalla
Corte ai sensi dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010 in sei mensilità di
retribuzione è anch’essa infondata.
Ed infatti questa Corte ha chiarito che “In tema di contratto a termine,
la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura
dell’indennità prevista dall’ art. 32, comma 5, della legge 4 novembre
2010, n. 183 – che richiama i criteri indicati dall’ art. 8 della legge 15
luglio 1966, n. 604 – spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede
di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.”
(cfr Cass. 17.3.2014 n. 6122 ed anche 7458 del 2014 e 25058 del 2014).
Nel caso di specie la Corte ha puntualmente chiarito i criteri in base ai
quali, ex legge n. 604 del 1966 , ha ritenuto di fissare l’indennità in sei
mensilità e dunque anche per tale profilo la sentenza deve essere
confermata con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in
dispositivo.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
che si liquidano in € 4000,00 per compensi professionali, €100,00 per
esborsi oltre al 15% per spese forfetarie. Accessori come per legge.
Spese da distrarsi in favore degli avv.ti Fabrizio Querin e Antonietta
Carretta che se ne dichiarano antistatari.

Ric. 2013 n. 09039 sez. ML – ud. 26-03-2015
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che consente la deroga alla legge n. 230 del 1962.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 da atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art.13 comma 1 bis

Così deciso in Roma il 26 marzo 2015

Ti

r

idente

del citato d.p.r..

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