Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13390 del 26/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/05/2017, (ud. 01/03/2017, dep.26/05/2017),  n. 13390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17789-2015 proposto da:

A.S. C.F. (OMISSIS), G.P. C.F. (OMISSIS),

M.F. C.E. (OMISSIS), S.E. C.F. (OMISSIS),

tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA R. GRAZIOLI LANTE 5,

presso lo studio dell’avvocato SONIA FRANZESE, rappresentati e

difesi dall’avvocato ANDREA TOMASINO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AUTOSTRADE MERIDIONALI S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo studio degli avvocati NUNZIO RIZZO,

AMALIA RIZZO, PIERLUIGI RIZZO, che la rappresentano e difendono,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9250/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/01/2015 R.G.N. 7879/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/03/2017 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA TOMASINO;

udito l’Avvocato NUNZIO RIZZO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di Appello di Napoli ha respinto gli appelli proposti da G.P., A.S., S.E. e M.F. avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto i ricorsi volti alla declaratoria di illegittimità, nullità, inefficacia dei licenziamenti a ciascuno intimati in data 24.3.2011 dalla società Autostrade Meridionali spa, alla pronuncia dei provvedimenti restitutori economici e reali di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 ed alla condanna della società al risarcimento dei danni non patrimoniali derivati dalla ingiuriosità dei licenziamenti.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che non era stato provato che il licenziamento avesse carattere ritorsivo perchè: la mera proposizione da parte dei lavoratori di ricorsi giudiziali volti all’inquadramento superiore costituiva ordinaria fisiologia in contesti aziendali di grandi dimensioni quale quello di Autostrade Meridionali spa; non era emerso che altri lavoratori, coinvolti nella vicenda, non erano stati sottoposti al procedimento disciplinare; risultava inverosimile che il G. fosse stato convocato dal Direttore del personale per discutere dei giudizi promossi anche dagli altri appellanti e che, di contro, era verosimile che la convocazione riguardò la proposta di incentivazione all’esodo del G., prossimo al pensionamento, la cui posizione contributiva non era conosciuta dalla società.

3. Quanto alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, la Corte territoriale ha ritenuto legittimi i controlli affidati dalla datrice di lavoro all’agenzia AZ Investigazioni perchè finalizzati non a verificare l’adempimento della prestazione lavorativa di ciascuno degli appellati ma a verificare le ragioni delle rilevate incongruenze tra gli orari di lavoro attestati dai sistemi di rilevamento delle presenze e i tempi di utilizzo da parte dei ricorrenti delle tessere viacard e dei telepass.

4. La Corte territoriale ha attribuito pieno valore probatorio alle relazioni investigative redatte all’esito dei pedinamenti effettuati a carico degli appellanti, sul rilievo che erano state confermate dagli investigatori in sede di deposizione testimoniale con dichiarazioni precise coerenti e puntuali. Ha escluso che fosse rilevante accertare la natura dei rapporti di lavoro tra gli investigatori e l’Agenzia Investigativa AZ posto che questa, provvista delle prescritte autorizzazioni, aveva assunto la paternità delle relazioni investigative.

5. Ha ritenuto che gli appellanti, assistenti al pedaggio, ai sensi dell’Ordine di Servizio del 25.9.2006, fossero tenuti ad attestare la presenza in servizio con il sistema di rilevazione automatica (badge o PIN) e che l’esistenza di siffatto obbligo era stato confermato dalla deposizione testimoniale resa dal collega degli appellanti.

6. La Corte territoriale ha escluso la rilevanza del fatto, dedotto dagli appellanti per affermare la mancanza di qualsiasi interesse a simulare l’effettiva presenza in servizio, che era data loro la possibilità di usufruire di permessi secondo il sistema della “banca ore”, sul rilievo che i lavoratori non immaginavano di essere pedinati e pensavano di “farla franca” evitando i problemi burocratici correlati alle richieste di permesso.

7. La Corte territoriale è pervenuta, alla conclusione che ciascuno dei comportamenti contestati costituiva giusta causa di licenziamento in considerazione della fraudolenza della condotta, della rilevanza dell’elemento fiduciario connotante la qualifica rivestita da ciascuno degli appellanti (assistenti al pedaggio, con compiti di controllo e di coordinamento di altri lavoratori sott’ordinati) e della violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione della prestazione lavorativa.

8. Avverso detta sentenza A.S., G.P., M.F., S.E. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro articolati motivi al quale ha resistito con controricorso Autostrade Meridionali spa.

9. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

10. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della della L. n. 300 del 1970, art. 7 e degli artt. 1173, 1175, 1366 e 2106 c.c. e art. 112 c.p.c..

11. I ricorrenti deducono che tutte le contestazioni erano affette da numerose contraddizioni, e dopo averne riprodotto il contenuto, denunciano l’incongruità e la illogicità della motivazione esposta nella sentenza impugnata, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e “le comuni norme di carattere generale in materia di interpretazione del dato testuale” per avere la Corte territoriale affermato che la datrice di lavoro aveva ritenuto che ciascuno dei fatti contestati era idoneo a giustificare il licenziamento. Asseriscono che per tal via sarebbe stato violato il diritto di difesa di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7.

12. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 108 del 1990, artt. 1 e 3 e della L. n. 300 del 1970, art. 15 e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame del fatto decisivo per la controversia (dichiarazioni rese dalle parti in sede di libero interrogatorio).

13. Sostengono che la Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere la sussistenza del carattere ritorsivo dei licenziamenti, deducendo che l’indagine effettuata a mezzo dell’ agenzia investigativa era stata avviata in assenza di elementi di “sospetto” sulla commissione di fatti illeciti da parte di essi ricorrenti. Si dolgono del fatto che la Corte territoriale non avrebbe confrontato le dichiarazioni rese dal ricorrente G., con quelle rese dal responsabile delle risorse umane.

14. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3 e dell’art. 246 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto legittimi i controlli investigativi. Ripetendo quanto già prospettato nel secondo motivo, asseriscono che questi ultimi erano finalizzati a controllare la loro attività lavorativa e deducono l’incapacità a testimoniare dei soggetti autori delle indagini.

15. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 134, 135 e 138 del TULPS R.D. 18 giugno 1931, n. 773, degli artt. 257, 259, e 260 del Regolamento per l’esecuzione del TULPS, degli artt. 1325, 1343 e 1346 c.c. e art. 246 c.p.c. e della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 5. Asseriscono che la Corte territoriale avrebbe fornito una motivazione erronea con riguardo alle violaziongt di legge perpetrate dalla datrice di lavoro e per essa dall’agenzia incaricata dei controlli investigativi e con riguardo alla inattendibilità dei testi che avevano effettuato le investigazioni.

Esame dei motivi.

16. Tutti i motivi di ricorso sono inammissibili.

17. Il primo motivo è inammissibile perchè i ricorrenti ripropongono la questione della aspecificità delle contestazioni disciplinari, per vero più che dettagliate e chiare, per quanto emerge dal contenuto che ne è riprodotto nel ricorso (pgg. 9-12) attraverso la formale denunzia di violazione della L. 300 del 1970, art. 7, per virare in maniera esplicita (ricorso pg.14, penultimo capoverso) nella denunzia di illogicità della motivazione. Denuncia non più consentita dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo applicabile “ratione temporis” (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 10.1.2015), nella lettura datane dalle SSUU di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 2014. L’attuale testo (come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, infatti, prevede un vizio specifico, quale l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, da indicarsi specificamente dal ricorrente, riducendo, per il resto, il sindacato sulla motivazione al minimo costituzionale. Di talchè, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante ed attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. SSUU n. 8053/2014), vizi da cui la sentenza impugnata non è affetta (cfr. punti da 1 a 7 di questa sentenza).

18. Anche le doglianze formulate con riguardo al canone interpretativo di cui all’art. 1366 c.c. sono inammissibili perchè si risolvono nella critica al risultato interpretativo cui è pervenuto il giudice di appello in ordine al contenuto delle contestazioni disciplinari, al quale i ricorrenti oppongono una diversa lettura, ritenuta preferibile, e senza neppure indicare le ragioni per le quali la sentenza si sarebbe discostata dal canone ermeneutico codicistico assunto come violato (Cass. 8071/2016, 2465/2015, 1893/2009, 29322/2008, 18661/2006, 12786/2006, 3015/2006, 696/2006, 8293/2005).

19. Rimane, poi, oscura ed incomprensibile, oltrechè estranea al perimetro del vizio azionato, la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c..

20. Il secondo motivo è inammissibile perchè tutte le doglianze ivi esplicitate, anche quelle riferite alla violazione della L. n. 108 del 1990, artt. 1 e 3, della L. n. 604 del 1966, art. 4 e della L. n. 300 del 1970, art. 15 al pari della denuncia di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sollecitano una nuova, inammissibile, lettura del materiale istruttorio (Cass. SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007, 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005), che pone le denunce fuori dal perimetro dei vizi denunciabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

21. Il terzo motivo è inammissibile perchè, ancora una volta, sotto l’apparente denuncia della violazione di legge (L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, art. 246 c.p.c.) i ricorrenti richiedono in realtà il non consentito (cfr. osservazioni svolte nel punto 20 di questa sentenza) riesame del materiale probatorio e la valutazione fattane dalla Corte territoriale con riguardo alle ragioni che diedero origine alle indagini ispettive (cfr. punto 5 di questa sentenza). Quanto alla dedotta violazione dall’art. 246 c.p.c., i ricorrenti non hanno allegato di avere eccepito la incapacità a testimoniare degli investigatori (la questione non risulta trattata nella sentenza impugnata) sicchè essa non può essere denunciata, per la prima volta, in sede di legittimità (23896/2016, 2075/ 2013, 17272/2011, 23054/2009, 655/2005). In ogni caso, va osservato che la valutazione della sussistenza o meno dell’interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., e che è solo quello – giuridico, personale e concreto che comporterebbe, in ipotesi, la legittimazione del teste alla proposizione dell’azione ovvero all’intervento o alla chiamata in causa, è rimessa, così come quella inerente all’attendibilità dei testi e alla rilevanza delle deposizioni, al giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 1188/2007).

22. Il quarto motivo è, del pari, inammissibile in quanto la formale denunzia di violazione delle disposizioni di legge (TUPS n. 773 del 1931 e Regolamento di esecuzione, artt. 1325, 1343 e 1346 c.c., art. 246 c.p.c., L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 5) si incanala nella esplicitata denunzia di vizi motivazionali (ricorso pg 32), inammissibile per quanto osservato nel punto 1 di questa sentenza, per approdare, inammissibilmente, come nei motivi innanzi esaminati, nella sostanziale richiesta di riesame del materiale istruttorio con replica della eccezione di incapacità a testimoniare degli investigatori. In ordine a dette ultime prospettazioni difensive vanno richiamate le osservazioni svolte nei punti 21 e 22 di questa sentenza.

23. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti alla refusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente.

24. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna i ricorrenti alla refusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2017

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