Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13389 del 30/06/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 13389 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

ORDINANZA
sul ricorso 20993-2013 proposto da:
GUADALUPO

GIUSEPPINA

GDLGPP66F160G596E,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo
studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che la
rappresenta e difende, giusta mandato speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – Società con socio unico in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
FIORILLO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente

Data pubblicazione: 30/06/2015

avverso la sentenza n. 4232/2012 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI del 21.6.2012, depositata il 14/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’11/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA
PAGETTA.

La Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo
grado, ha respinto la domanda di Giuseppina Guadalupo intesa
all’accertamento della illegittimità del termine apposto al contratto,
decorrente dal 2.7.1999 al 30.9.1999, giustificato da “necessità di
espletamento del servizio di recapito in concomitanza di assenze per
ferie”. La Corte territoriale, esclusa la risoluzione del rapporto per
mutuo consenso, ha ritenuto legittima, alla luce della consolidata
giurisprudenza di legittimità, l’apposizione del termine per la causale
sopra indicata. Con specifico riferimento alla deduzione della
lavoratrice, reiterata in seconde cure, in ordine al mancato rispetto
della clausola di contingentamento, ha rilevato che la società Poste,
sulla quale ricadeva il relativo onere aveva dedotto e provato, fin dal
primo grado, di avere sempre rispettato tale clausola indicando
specificamente il numero complessivo dei dipendenti nel corso degli
anni ed il numero di assunzioni a tempo determinato intervenute nello
stesso periodo ( anno 1999), numero quest’ultimo rivelatosi di gran
lunga inferiore alla quota massima rappresentata dal rapporto del 10%
tra personale a tempo indeterminato a personale assunto a termine ;
sul punto, nessuna specifica deduzione era stata svolta dalla parte
appellata né nel corso del primo grado del giudizio né nel corso del
giudizio di appello.
Giuseppina Guadalupo chiede la cassazione della decisione sulla base
di una pluralità di motivi con i quali, deducendo il vizio di
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Fatto e diritto

motivazione e violazione di plurime norme di diritto, censura la
decisione di appello per avere ritenuto assolto dalla società Poste
l’onere di provare il rispetto della clausola di contingentamento.
Sostiene, in particolare, che tale prova non può essere offerta dalla
mera indicazione dei dati numerici esposta negli scritti difensivi di

alcun elemento documentale. Poste Italiane s.p.a. resiste con
tempestivo controricorso. La ricorrente ha depositato memoria
Si premette che secondo l’orientamento assolutamente consolidato di
questa Corte l’onere di deduzione e prova del rispetto della percentuale
contrattualmente stabilita a livello collettivo del personale assumibile a
tempo determinato rispetto al personale stabile grava sul datore di
lavoro mentre il lavoratore che impugna la clausola appositiva del
termine può limitarsi ad affermarne l’inosservanza o comunque
chiedere che la parte opposta assolva all’onere sulla stessa incombente
(v, tra le altre, Cass. nn. 839/10 e 14283/11). Nel caso in esame parte
ricorrente aveva specificamente eccepito in primo grado il mancato
rispetto della clausola di contingentamento e tale eccezione era stata
ribadita nella memoria di costituzione in appello. Nella memoria di
costituzione di primo grado la società Poste aveva dedotto di avere
rispettato la clausola di contingentamento allegando, in particolare, di
avere, nell’anno 1999, a fronte di 182.090 dipendenti a tempo
indeterminato, effettuato 8.368 assunzioni a termine e quindi in misura
inferiore al 10%, previsto come quota massima dalla norma collettiva.
Tanto premesso ritiene il Collegio di non condividere la proposta
formulata dal Relatore che, sulla base di precedente di questa Corte
(Cass. ord. n. 2912 /2012), aveva concluso per l’accoglimento del
ricorso in ragione del fatto che date le dimensioni della società e del
conseguente ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato per le
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controparte, atteso che a supporto di tali dati Poste non aveva offerto

varie esigenze indicate dalla legge e dalla contrattazione collettiva, il
singolo lavoratore non era in grado di contestare specificatamente i
dati numerici esposti dalla società.
A riguardo il Collegio rileva, in primo luogo che, nonostante il formale
richiamo anche alla violazione di norme di legge e di contratto

prospettate si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della
sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio
acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti. Orbene, le critiche sono
infondate in base alla premessa, costantemente affermata da questa
Corte, che il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze
riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il
ricorso) il profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni
svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al
giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto
attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità
e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo
all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di
contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo intero
tessuto ricostruttivo della vicenda (v. tra le molte, S.U. 5802/1998;
Cass. 4770/2006 e Cass. 1754/2007). Nè appare sufficiente, sul piano
considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito, il fatto
che alcuni elementi emergenti nel processo, e invocati dalla ricorrente,
siano in contrasto con le valutazioni del giudice o con la sua
ricostruzione complessiva e finale. Il controllo, in sede di legittimità,
sul giudizio di fatto del giudice di merito non può infatti spingersi fino
alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa
rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, in una
sorta di terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi
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collettivo, contenuto nell’intestazione del motivo, tutte le censure

precedenti, perché ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa
muovere esclusivamente nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (per
tutte: Cass. 6064/2008, Cass. 9477/2009). Orbene, l’impugnata
sentenza, seguendo un iter logico privo di contraddizioni, ha rilevato
che il ricorrente non aveva contestato i dati numerici forniti da Poste

che questa neppure nel motivo viene negata assumendosi, però, che
tale onere di contestazione non sussisteva non avendo la società
fornito la prova documentale dei dati indicati. L’assunto non può
essere condiviso in quanto ( come già chiarito con riguardo a
fattispecie analoga v. Cass. n. 5589 del 2014) a fronte di una specifica
allegazione della resistente era onere del ricorrente contestarla
specificamente sorgendo solo a seguito di siffatta contestazione l’onere
di provare specificamente la circostanza allegata.
Consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio, liquidate come
da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione
delle spese che liquida in 3.000,00 per compensi professionali, €
100,00 per esbor3i, oltre spese forfettarie determinate nella misura del
15%, oltre accessori.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del comma 1 bis , dello stesso articolo 13.

Roma, 11 marzo 2015

Italiane s.p.a. nel costituirsi nel giudizio di primo grado, circostanza

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