Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13388 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 13388 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 18848-2009 proposto da:
RISTORANTE PIZZERIA “LA MACINE” DI GARZI STEFANO in
persona dell’omonimo titolare C.F. GRZSFN63L23G999F,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO
FONTANE 10, presso lo studio dell’avvocato

LUCIO

GHIA, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO
2015

MARIA VATRANO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1514
contro

DABIZZI CLAUDIO C.F. DBZOLD70A21D612G, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO CHINOTTO 1, presso

Data pubblicazione: 30/06/2015

lo studio dell’avvocato FRANCO MINUCCI, rappresentato
e difeso dall’avvocato ANTONIO PINELLINI, giusta
delega in atti;
– controricorrente avverso la sentenza n. 416/2009 della CORTE D’APPELLO

1584/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/04/2015 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato GIACCO MICHELE per delega VATRANO
PIETRO MARIA;
udito l’Avvocato PINELLINI ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in subordine rigetto.

di FIRENZE, depositata il 20/03/2009 R.G.N.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Firenze, accogliendo l’appello proposto da Dabizzi Claudio nei
confronti di Garzi Stefano, in riforma parziale della sentenza di primo grado,
dichiarava che tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro subordinato dai
novembre 1999 e condannava l’appellato al pagamento, a titolo di differenze

contrattuale, della somma di Euro 14.849,29, oltre accessori; in relazione al
licenziamento, già ritenuto illegittimo dal primo giudice, ritenuto applicabile il regime
della tutela reale, ordinava la reintegrazione del Dabizzi nel posto di lavoro e
condannava l’appellato al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate
dal licenziamento del 2.3.2004 alla data della reintegra.
Quanto alle differenze retributive rivendicate per il periodo anteriore alla data
dell’assunzione, osservava la Corte di appello che la prova testimoniale aveva
evidenziato l’esistenza di attività lavorativa prestata dal Dabizzi in qualità di cameriere
sin dal 2000, epoca in cui il Garzi era gestore dell’esercizio commerciale; che il
rapporto di lavoro era proseguito successivamente e, nel maggio 2003, quando fu
costituita la ditta individuale, il Dabizzi venne assunto con inquadramento nel V livello
contrattuale; che i testi avevano descritto io svolgimento di mansioni riconducibili nel
III livello, profilo di “sotto capo cuoco”, e non nel V livello contrattuale.
Quanto al recesso, già ritenuto illegittimo dal Tribunale, doveva trovare applicazione
il regime di tutela reale, non avendo il datore di lavoro, sul quale gravava il relativo
onere probatorio, fornito la dimostrazione della consistenza dell’organico aziendale.
Per la cassazione di tale sentenza Garzi Stefano propone ricorso affidato a quattro
motivi. Resiste con controricorso il Dabizzi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, si dà atto che il Collegio ha autorizzato la redazione della
motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo si denuncia omessa motivazione in merito alla ritenuta tardività
della costituzione in giudizio di parte convenuta, per non avere la sentenza
considerato che tale circostanza non poteva esonerare l’attore dall’onere di provare i
fatti costitutivi della propria pretesa.
Il motivo è inammissibile sia perché la questione è di diritto e non di fatto – e come
tale non sussumibile nell’alveo del vizio denunciato ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
sia perché il riconoscimento dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato sin dalla

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retributive, comprese quelle rivendicate a titolo di superiore inquadramento

fine del 1999 risulta fondato su diversa ratio decidendi, per cui il rilievo di tardività
della costituzione è privo di decisività. La sentenza ha difatti evidenziato come non
fosse stato contestato lo svolgimento di attività lavorativa del Dabizzi nel ristorantepizzeria sin dall’anno 2000, né che a tale data l’esercizio commerciale fosse in piena
attività e che con la costituzione della ditta individuale la gestione dell’azienda fosse

Con il secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione circa il riconoscimento
dell« subordinazione nel periodo anteriore all’assunzione formale, Il motivo si risolve
in un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie.
Vale ricordare che il vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) può rilevare
solo nei limiti in cui l’apprezzamento delle prove – liberamente valutabili dal giudice di
merito, costituendo giudizio di fatto – si sia tradotto in un

iter formativo di

convincimento affetto da vizi logici o giuridici, restando altrimenti insindacabile.
Nessun vizio logico è stato denunciato circa l’ordine argomentativo della sentenza
impugnata, in quanto la presunta insufficiente motivazione si risolve nel tentativo di
opporre una diversa ricostruzione dei fatti mediante la valorizzazione di elementi
diversi da quelli indicati dal giudice di appello o di opporre una diversa interpretazione
di quelli valorizzati da tale giudice.
L’art. 360 n. 5 cod. proc, civ. non conferisce alla Corte di legittimità il potere di
riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il
profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal
giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio
convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la
concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione (v., ex plurimis, Cass. n. 6288 del 18/03/2011).
Con il terzo motivo ci si duole di insufficiente motivazione circa l’inquadramento del
lavoratore nel III livello contrattuale anziché nel V livello. La prova testimoniale aveva
evidenziato che il cuoco era il Garzi medesimo e che le mansioni dei Dabizzi quali
descritte dai testi – erano di mero supporto; pertanto, non poteva essere riconosciuto
il III livello contrattuale, che fa riferimento a lavoratori specializzati provetti che in
condizioni di autonomia operativa svolgono mansioni che comportano una specifica ed
adeguata capacità professionale acquisita mediante approfondita preparazione teorica
e/o tecnico-pratica.

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solo proseguita, con diversa configurazione giuridico-economica, in capo al Garzi.

Anche tale motivo è inammissibile in quanto investe l’interpretazione delle
declaratorie contrattuali relative all’inquadramento professionale impropriamente
denunciando come vizio di motivazione una questione interpretativa di diritto. Si verte
infatti in un’ipotesi di denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o
accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, come

processuale a quella delle norme di diritto, ciò comporta, in sede di legittimità,
l’interpretazione delle relative clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica
negoziale (art. 1362 cod. civ. e segg.) come criterio interpretativo diretto e non come
canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione.
Il motivo è anche carente del requisito di autosufficienza, perché non vengono
trascritte entrambe le declaratorie di livello oggetto del confronto, né è riportata quella
del profilo di “sotto capo cuoco”, riconosciuta dal giudice di appello.
Il quarto motivo denuncia anch’esso vizio di insufficiente motivazione per avere la
sentenza omesso di accreditare, quali elementi probatori acquisiti al processo,
comprovanti che il limite dei quindici dipendenti nel caso di specie non era stato
superato, le circostanze evidenziate dal primo giudice.
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che, secondo Cass. n. 26289/2013, in materia di licenziamento,
l’eccezione di inapplicabilità della tutela reale del lavoratore subordinato ai sensi
dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 integra una eccezione in senso lato,
con la conseguenza che è nella facoltà del giudicante, nell’esercizio dei suoi poteri
d’ufficio ex art. 421 cod. proc. civ. con riferimento ai fatti allegati dalle parti ed emersi
nel processo a seguito del contraddittorio, ammettere la prova indispensabile per
decidere la causa sul punto.
La maggiore pregnanza del dovere del giudice dei lavoro di pronunciare nel merito
della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito non interferisce
direttamente sulle regole che presiedono all’esercizio del potere istruttorio d’ufficio
(artt. 421 e 437 cod. proc. civ.). Nel processo del lavoro, l’esercizio dei poteri
istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze:
l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente
preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunità di integrare un
quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l’indispensabilità
dell’iniziativa ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta

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modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, che è parificata sul piano

istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della
domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (Cass. n. 5878
del 2011; n. 154 del 2006).
La Corte di appello non era tenuta a disattendere specificamente gli argomenti di
ordine presuntivo utilizzati dal Tribunale, avendo dato rilievo alla tardiva costituzione

dell’organico aziendale. Trattasi di un giudizio congruo e logicamente motivato,
dovendosi osservare che la valutazione relativa alla indispensabilità di cui all’art. 437
c.p.c. involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente
discrezionale del giudice di merito, che può essere sottoposto al sindacato di
legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.
5, c.p.c., qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per
disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che,
se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (cfr.
Cass. n. 12717 del 2011).
Il ricorso va dunque respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese,
liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P. Q. M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che
liquida in Euro 4.000,00 per compensi e in Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di
legge e 15% per rimborso forfettario.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2015
Il Consigliere est.

in giudizio di parte convenuta e all’assenza di ogni deduzione riguardo alla consistenza

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