Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13387 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. II, 17/06/2011, (ud. 20/04/2011, dep. 17/06/2011), n.13387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SIMONE MAURO MICHELE SAS P.IVA (OMISSIS), IN PERSONA

DELL’AMMINISTRATORE UNICO SIG. S.M. elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA A. GABAGLIO 15, presso lo studio

dell’avvocato COLAMBUMBO EUGENIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato DE FEUDIS SEBASTIANO;

– ricorrente –

contro

P.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MONSERRATO 64, presso lo studio dell’avvocato ARACHI

TOMMASO, rappresentato e difeso dall’avvocato DONNO FAUSTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 854/2005 del TRIBUNALE di TRANI, depositata il

04/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto ingiuntivo n. 252/1998 il Giudice di Pace di Trani, su richiesta della società Simone Mauro Michele s.a.s., ingiungeva a P.S. di pagare la somma di L. 700.000; l’ingiunto proponeva opposizione al decreto ingiuntivo chiedendone la revoca con la condanna dell’attore al risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. Con sentenza n. 156/2000 il Giudice di Pace rigettava l’opposizione.

il P. proponeva appello davanti al Tribunale di Trani;

resisteva la società appellata eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello in quanto proposto contro sentenza inappellabile perchè pronunciata ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 e, nel merito contestava la fondatezza del gravame. Il Tribunale di Trani, decidendo quale giudice di appello con sentenza 4/10/2005 accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo ritenendo:

che l’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello fosse infondata in quanto il valore della causa era superiore a L. 2.000.000 considerando che si controverteva di un saldo di L. 700.000 su una fattura di vendita di L. 2.136.649 e in quanto era stata introdotta in primo grado domanda riconvenzionale di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. di valore indeterminato;

– che nel merito il credito vantato dall’attrice era stato saldato e comunque era prescritto perchè La vendita che aveva dato origine al credito era avvenuta nel Maggio 1996 e la venditrice non aveva formulato richieste di pagamento nel termine annuale previsto dall’art. 2955 c.c., n. 5.

La società Simone Mauro Michele s.a.s. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi. Resiste con controricorso P. S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 2, rileva che il giudice di appello ha ritenuto infondata l’eccezione preliminare di inappellabilità della sentenza pronunciata secondo equità ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 sulla base di due ragioni che, invece, non comportavano l’esclusione della controversia dall’ambito dei giudizi secondo equità con la conseguente inappellabilità della sentenza. Il motivo è fondato: il giudice di appello ha erroneamente applicato l’art. 113 c.p.c., ritenendo che:

la sentenza non fosse pronunciata secondo equità perchè, contrariamente a quanto affermato in sentenza, 1 valore della causa non era eccedente L. due milioni (Euro 1032,91 con riferimento all’importo stabilito prima della modifica di cui al D.M. n. 18 del 2003), ciò risultando “per tabulas” dall’importo richiesto con decreto ingiuntivo e dall’importo oggetto del decreto ingiuntivo opposto.

Gli argomenti addotti per negare tale evidenza documentale sono, come giustamente rilevato dalla società ricorrente, totalmente privi di fondamento in quanto:

– la domanda di condanna per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c. attiene, propriamente ed esclusivamente, al profilo del regolamento delle spese processuali e non incide, quindi, sul valore della controversia che resta perciò contenuto nel limite di valore entro il quale il G. d. P. decide (ex art. 113 c.p.c.) secondo equità, con conseguente diretta ricorribilità, appunto, delle correlative decisioni, direttamente in Cassazione (Cass. n. 4849/1999; Cass. 3.U. n. 23726/2007);

– la circostanza che il valore della fattura fosse di importo superiore a L. due milioni è del tutto irrilevante al fine di incidere sul valore della controversia, posto che ai sensi dell’art. 10 c.p.c. il valore della causa si determina dalla domanda; il residuo credito di cui alla fattura era pacificamente saldato e quindi non era mai stato posto in discussione nel processo e, quand’anche l’esistenza dell’intero rapporto obbligatorio dovesse avere costituito la premessa logico-giuridica della decisione, non per questo avrebbe potuto disapplicarsi il criterio di cui all’art. 12 c.p.c. per il quale il valore della causa si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione (cfr. Cass. n. 8958/1998), posto che tale criterio subisce deroga nella sola ipotesi in cui il giudice sia chiamato ad esaminare, con efficacia di giudicato, le questioni relative all’esistenza ed alla validità dell’intero rapporto (Cass. n. 70Sb/2005). Ne consegue che l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 339 u.c. c.p.c. nel testo (applicabile ratione temporis) precedente la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006. Resta assorbito Il secondo motivo di ricorso relativo alla ritenuta prescrizione del diritto di credito.

2. Il ricorso merita, quindi, accoglimento e la sentenza di appello deve essere cassata senza rinvio e, decidendosi nel merito, si deve dichiarare inammissibile l’appello e condannare l’appellante e odierno intimato P.S., in quanto soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di appello e alle di questo giudizio dr cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE in accoglimento del ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello e condanna l’appellante P.S. a pagare alla società Simone Mauro Michele s.a.s. le spese del giudizio di appello che liquida in Euro 1.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Condanna l’intimato P.S. a pagare alla ricorrente le spese di questo giudizio di Cassazione che liquida in Euro 500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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