Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13385 del 26/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/05/2017, (ud. 22/02/2017, dep.26/05/2017),  n. 13385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22192-2015 proposto da:

G.S.R. S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIANMATTEO DI FRONZO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA LEONE IV, 54, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’ANGELO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PISCIOTTI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/03/201 r.g.n. 713/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCO FALZETTI per delega Avvocato GIANMATTEO DI

FRONZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 20 marzo 2015, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato da GSR Spa a F.F. con lettera del 10 febbraio 2011, condannando la società a corrispondere al lavoratore il risarcimento del danno secondo la L. n. 300 del 1970, art. 18 pro tempore vigente, nonchè l’indennità sostitutiva della reintegrazione a fronte dell’esercizio dell’opzione da parte del F.; ha altresì liquidato a carico della società le spese del doppio grado di giudizio.

La Corte territoriale, richiamando giurisprudenza di legittimità, ha innanzi ritenuto che il F. non fosse decaduto dalla proposizione dell’azione di impugnativa del licenziamento per avere proposto il ricorso giudiziale in data 13 luglio 2012, rispetto all’impugnativa stragiudiziale effettuata con lettera raccomandata del 26 marzo 2011.

In seguito all’esame del materiale istruttorio, poi, la Corte territoriale ha ritenuto che la società datoriale non avesse fornito la prova della effettiva sussistenza delle motivazioni addotte nella lettera di licenziamento ed in particolare “della impossibilità di impiego del F. in diverse mansioni”, essendo invece risultata la disponibilità in azienda di mansioni di autista alle quali il dipendente avrebbe potuto essere adibito.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la GSR Spa con cinque motivi, illustrati da memoria. Ha resistito il F. con controricorso.

3. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6 in ordine alla decadenza negata dalla Corte territoriale.

La censura è infondata in quanto detta Corte ha correttamente applicato il principio secondo cui: “la L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, novellato art. 6 e dunque non solo l’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l’inefficacia di tale impugnativa, prevista dal medesimo art. 6, comma 2 anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l’omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato” (Cass. n. 9203 del 2014; tra le molte altre conformi, v. da ultimo Cass. n. 23865 del 2016).

2. Con il secondo motivo si denuncia “falsa applicazione dei principi di diritto di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 3 (parte 2^) e violazione dell’art. 41 Cost.” per avere ritenuto la Corte territoriale “smentita” l’impossibilità di adibire il dipendente a mansioni equivalenti.

Con il terzo motivo si deduce “nullità della sentenza di secondo grado” per non avere la sentenza impugnata preso “nella benchè minima considerazione gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro (art. 115 c.p.c.)”.

Con il quarto motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e art. 115 c.p.c.”, perchè la Corte di Appello, anche in base all’onere di contestazione dei fatti introdotti in giudizio dalle parti, si sarebbe dovuto attenere non a presunzioni, discostandosi erroneamente dai fatti di causa, bensì agli elementi istruttori forniti dalla società.

I motivi, esaminabili congiuntamente, non possono trovare accoglimento in quanto, nonostante l’involucro formale delle dedotte violazioni di legge, nella sostanza investono pienamente una quaestio facti, censurando il convincimento della Corte del merito in ordine alla violazione dell’obbligo di repechage per la sussistenza in azienda di posto ove ricollocare il dipendente; si tratta di accertamento di fatto incensurabile in questa sede di legittimità in quanto invocato al di fuori dei limiti imposti da SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

3. Con il quinto motivo si denuncia “violazione o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014 ad entrambi i gradi di giudizio” per avere la Corte bolognese liquidato le spese anche del primo grado sulla base di detto decreto ministeriale, nonostante la causa venisse decisa in prime cure “sull’eccezione preliminare di intervenuta decadenza”.

Il gravame non può trovare accoglimento.

Riveste valenza l’insegnamento di questo Giudice del diritto secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (v. Cass. n. 20289 del 2015). L’assunto è stato specificamente ribadito anche nel caso di liquidazione delle spese processuali sulla base delle tariffe approvate con il D.M. n. 140 del 2012, rilevando unicamente che la liquidazione sia contenuta entro i limiti, massimo e minimo, delle tariffe medesime, peraltro nemmeno vincolanti, come si desume dall’art. 1, comma 7, del menzionato decreto (cfr. Cass. n. 18167 del 2015). In ogni caso, poi, la parte che propone ricorso per cassazione, deducendo l’illegittima liquidazione delle spese processuali distinte in diritti e onorari in violazione del D.M. n. 140 del 2012, ha l’onere di indicare il concreto aggravio economico subito rispetto a quanto sarebbe risultato dall’applicazione delle suddette disposizioni, atteso che, in forza dei principi di economia processuale, ragionevole durata del processo e interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio patito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Cass. n. 20128 del 2015). Onere nella specie non assolto dall’istante che si è limitato ad una lapidaria contestazione della liquidazione.

4.Conclusivamente il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2017

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