Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13384 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. II, 17/06/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 17/06/2011), n.13384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ANTONIO GENOVESI 29 INT 1, presso lo studio dell’avvocato

CONSIGLIO ANTONIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PARISI ORESTE;

– ricorrente –

contro

G.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA VESCOVIO 7, presso lo studio dell’avvocato BRUCCULERI

MARIA ISABELLA, rappresentata e difesa dall’avvocato LA TORRE

GIUSEPPE;

M.A., M.G., M.V.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 43 INT. 7,

presso lo studio dell’avvocato CANONACO LUCIANA, rappresentati e

difesi dall’avvocato MARCHESE DOMENICO ANTONIO;

MA.GI. DECEDUTO E PER ESSO: M.E., MA.

D.B., MA.RO., MA.TE., M.

A., F.A. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA A ZOAGLI MAMELI 9, presso lo studio

dell’avvocato BEVILACQUA GIANCARLO, rappresentati e difesi

dall’avvocato MARASCO LELIO;

– controricorrenti –

e contro

L.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 595/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 05/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Giuseppe La Torre per delega dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

L’Avv. La Torre è presente per G.R. e per delega dei

difensori Marchese Domenico Antonio e Lelio Marasco;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 28-10/3-6-7 e 19-11-1987 M.F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme L.A., L.M. nonchè M. A., M.G. e M.V. assumendo:

Il (OMISSIS) era deceduta la propria genitrice L.F. lasciando a sè superstiti i figli M.F., A. M., M.G. ed il nipote M.V. per rappresentazione del figlio premorto M.A.; la propria madre fin dal 1967 si era gravemente ammalata con conseguenti ricoveri in diverse case di cura;

da pochi giorni l’istante era venuta a conoscenza dell’intervenuta redazione di un verbale di conciliazione in data 1-7-1987 dinanzi al Presidente del Tribunale di Lamezia Terme nel giudizio iscritto al n. 190 del R.G. dell’anno 1976 promosso da L.A. contro L.F. e L.M. avente ad oggetto la divisione ereditaria dei beni caduti in successione a seguito della morte di Ma.Pa., L.F. e F.N.;

nel predetto giudizio si era costituito S.O. quale procuratore speciale di L.F. per procura per notaio Anania di Lamezia Terme del 24-8-1976; il suddetto verbale di conciliazione era nullo, dovendosi ritenere nullo il mandato ricevuto dal S. per incapacità di intendere e di volere della mandante o estinto ex art. 1722 c.c., n. 4, stante l’evidente stato di interdizione o di inabilitazione della propria madre perfettamente conosciuto dal nominato procuratore, che pochi mesi prima della morte della mandante aveva raggiunto l’accordo di cui al menzionato verbale gravemente lesivo dei suoi diritti, poichè erano stati oggetto di divisione beni non appartenenti alla massa ma ad essa attrice per averli acquistati per usucapione; a sostegno di tale assunto la M. deduceva che aveva ricevuto in donazione i beni indicati nell’atto di citazione da N.F., madre di A. L., L.M. e L.F., in occasione del suo matrimonio, con l’obbligo da parte sua di apprestarle assistenza fino alla sua morte e della corresponsione della somma di L. 20.000, oneri dall’istante assolti diligentemente, ed aggiungeva che tale donazione era stata riconosciuta dagli eredi legittimi alla morte della N., avendo l’esponente continuato a possedere i predetti beni con la conseguenza comunque dell’intervenuto acquisto degli stessi per usucapione.

L’attrice chiedeva quindi dichiararsi aperta la successione di L. F. con formazione delle relative quote spettanti agli eredi legittimi e con la divisione giudiziale, dichiararsi incapace di intendere e di volere L.F. a decorrere dal 1967, dichiararsi la nullità conseguentemente della procura conferita al S. e del verbale di conciliazione sopra menzionato, dichiararsi l’apertura della successione di Ma.Pa., L.F. e N.F., dividersi i beni dagli stessi relitti tra tutti gli aventi diritto ed accertarsi l’intervenuto acquisto in proprio favore del fabbricato e dei terreni indicati nell’atto di citazione per averli la M. usucapiti.

Si costituivano in giudizio con separate comparse di risposta i convenuti chiedendo il rigetto delle domande attrici.

Con altro atto di citazione notificato il 25-5-1988 la M. conveniva in giudizio dinanzi allo stesso Tribunale Gi.

M. ed L.A. rivendicando un terreno sito in località (OMISSIS) acquistato dal L. da parte del Ma. con atto notarile del 22-7-1987; in proposito l’attrice sosteneva di avere sempre coltivato e detenuto detto terreno e di avere pertanto titolo preferenziale rispetto all’acquirente al prezzo convenuto di L. 5.000.000.

Con sentenza non definitiva del 30-5-2001 il Tribunale adito rigettava tutte le domande proposte dalla M. nei due giudizi riuniti e con separata ordinanza rimetteva la causa in istruttoria per l’ulteriore trattazione in relazione alla domanda di divisione dei beni caduti in successione di L.F..

Proposto gravame da parte della M. cui resistevano tutti gli appellati tra cui G.R., in proprio e nella qualità di procuratrice generale dei figli L.F. e P. L., che proponeva anche appello incidentale, la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 5-7-2005 ha rigettato l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, ha estromesso dal giudizio G.R. in proprio, non rivestendo la stessa la qualità di erede di L.A. per avere rinunciato a tale eredità.

Avverso tale sentenza M.F. ha proposto un ricorso articolato in cinque motivi cui hanno resistito con separati controricorsi M.A., M.G. e V. M., G.R. quale procuratrice generale dei figli L.F. e L.P., ed F.A., Ma.Du.Be., Ma.Eg., Ma.Te., Ma.Ro. ed Ma.An. quali eredi di Gi.

M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, deducendo nullità della sentenza impugnata, assume che, dopo che la causa era stata trattenuta in decisione all’udienza dell’8-4-2003, la sentenza era stata depositata il 5-7-2005, e che nel frattempo il giudice relatore era stato trasferito dalla Corte di Appello di Catanzaro al Tribunale di Catanzaro; pertanto, poichè il suddetto giudice al tempo di pubblicazione della sentenza non era più componente della suddetta Corte territoriale, la causa avrebbe dovuto essere rimessa sul ruolo onde provvedere alla sostituzione del giudice relatore con la nomina di altro giudice di tale Corte di Appello, mentre ciò non era avvenuto; il fatto poi che la sentenza in oggetto riportava come data di decisione quella dell’11-2-2004 era irrilevante, posto che l’unica data cui avrebbe dovuto farsi riferimento è quella della pubblicazione, avvenuta il 5-7-2005.

La censura è infondata.

Deve invero rilavarsi, sulla scorta dell’orientamento consolidato di questa Corte, che, dovendosi identificare il momento della pronuncia della sentenza con quello della deliberazione della decisione, ai fini dell’esistenza, validità ed efficacia della pronuncia stessa è irrilevante che, dopo la decisione, uno dei componenti dell’organo collegiale, per circostanze sopravvenute, come il trasferimento o il collocamento fuori ruolo o a riposo, sia cessato dalle funzioni presso l’ufficio investito della controversia (Cass. 6-5-1993 n. 5227; Cass. 8-10-2001 n. 12324; Cass. 27-10-2006 n. 23191).

Con il secondo motivo la M., denunciando contraddittoria motivazione ed errata valutazione e percezione delle risultanze processuali, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto sussistenti “elementi fattuali di un possesso esercitato dagli aventi diritto prima e dopo l’intervenuta divisione così come avvalorato dai testi Gr., N. e Mo.”; tale convincimento è frutto di una erronea lettura delle deposizioni dei suddetti testi, atteso che il Gr. ed il N. avevano dichiarato di aver visto lavorare sui terreni per cui è causa la M. ed anche suo marito, e che il Mo. era un teste assolutamente inattendibile in quanto figlio di L.M.; inoltre anche il teste F. aveva indirettamente riferito che detti terreni erano posseduti dall’esponente, pur non avendo potuto precisare a quando risalisse tale circostanza; infine vi era stata convergenza di risultanze istruttorie in ordine al fatto che la casa di abitazione era posseduta dalla M. e dal di lei marito, i quali l’avevano anche ristrutturata.

Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo erronea valutazione dei fatti, violazione di norma di legge e vizio di motivazione, sostiene che erroneamente il giudice di appello ha escluso il requisito dell'”animus possidendi” per la M. sulla base della documentazione attestante la sussistenza di trattative avviate da quest’ultima finalizzate all’acquisto dei beni posseduti dietro pagamento di un corrispettivo; nulla invero era stato risposto all’eccezione sollevata dall’appellante secondo cui tale documentazione consisteva in alcune lettere inviate dal precedente legale della M. e da questa non sottoscritte, che quindi non potevano rivestire valore confessorio; inoltre la ricorrente fa presente che nessun rilievo poteva essere attribuito in senso ad essa sfavorevole ad una offerta di corrispondere una esigua somma di denaro in ordine alla proprietà di beni, in parte già usucapiti ed in parte non ancora usucapiti, in un’ottica chiaramente transattiva.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La Corte territoriale ha rilevato che alla luce delle risultanze della prova testimoniale espletata la M. non aveva fornito la prova rigorosa in ordine alla sussistenza degli elementi richiesti per l’accoglimento della domanda di accertamento dell’acquisto della proprietà degli immobili per cui è causa per usucapione per quanto attiene sia al “corpus” che all'”animus”; al riguardo ha osservato che dalla prova testimoniale erano emersi fatti non univoci sul possesso esercitato dalla M. “uti dominus” sui terreni, posto che soltanto un teste aveva riferito circostanze relative alla collaborazione prestata dall’attuale ricorrente nella coltivazione dei fondi unitamente ai nonni con i quali conviveva, e che, per quanto atteneva al fabbricato, solo alcuni testi avevano concordato sulla presenza della M. nel corso dei lavori di ristrutturazione sostenendone i relativi costi; in proposito il giudice di appello ha ritenuto insufficienti tali elementi ai fini della prova del possesso utile all’acquisto per usucapione con riferimento sia al “corpus” che all’animus”, considerata la sussistenza della prova di un possesso esercitato dagli aventi diritto prima e dopo la divisione sulla base delle dichiarazioni dei testi Gr., N. e Mo.;

infine ha attribuito rilevanza, quanto alla mancanza dell'”animus possidendi”, ai documenti comprovanti trattative avviate dalla stessa M. finalizzate all’acquisto dei beni posseduti.

Deve quindi rilevarsi al riguardo che, avendo il giudice di appello puntualmente indicato le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, dove invero la ricorrente con le censure in esame tende inammissibilmente a prospettare una valutazione delle risultanze istruttorie a sè più favorevole, trascurando di considerare che tale valutazione, così come il giudizio sulla attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito; quanto poi alla dedotta irrilevanza della documentazione richiamata dalla sentenza impugnata per escludere l'”animus possidendi” da parte della M., è sufficiente evidenziare che il passaggio argomentativo censurato integra un ulteriore elemento posto a base del proprio convincimento dalla Corte territoriale “ad obundantiam”, senza quindi alcuna rilevanza essenziale in proposito, trattandosi di considerazione invero richiamata dopo aver diffusamente evidenziato le ragioni che inducevano a ritenere infondata la domanda della M. per la mancanza della prova di un possesso utile all’usucapione per il tempo voluto dalla legge, in presenza di un possesso sui beni per cui è causa da parte degli altri aventi diritto prima e dopo l’intervenuta divisione.

Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando falsa applicazione di norma di legge e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver affermato che L.F. con il sopra menzionato atto di procura aveva rilasciato al S. il potere gestorio, oltre che per addivenire alla divisione dell’eredità relitta di F. L. e N.F., anche rispetto a tutti i giudizi che avessero dovuto riguardarla sia come convenuta che come attrice, come tale abilitando il nominato procuratore al compimento di affari processuali e/o giurisdizionali, comprendente quindi anche il potere di transigere liti, come espressamente riconosciuto nella lettera e) della procura stessa.

La M., premesso che la questione da risolvere riguardava in realtà la natura generale o speciale della procura, e che nella specie la procura era stata espressamente definita nell’atto stesso come speciale, rileva che la Corte territoriale, affermando che il disposto dell’art. 1708 c.c. deve essere inteso nel senso della necessaria indicazione della natura degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione che il mandatario è abilitato a compiere, ma non della specificazione dei concreti atti da compiere, ha dato per scontato che nella specie la procura fosse generale senza fornire alcuna motivazione al riguardo; la ricorrente sostiene poi che le sentenze di primo e di secondo grado hanno confuso tra l’oggetto della procura ed i poteri conferiti, posto che il carattere speciale della procura è stato ricavato dall’essere la stessa limitata al compimento di attività processuali, laddove l’individuazione dell’oggetto della procura costituisce una indagine preliminare rispetto all’accertamento dei poteri conferiti.

La ricorrente sostiene il carattere speciale della procura suddetta non solo perchè nell’atto si legge espressamente che la L. nominava e costituiva il genero S.O. suo procuratore “speciale”, ma anche perchè nell’atto mancava qualsiasi riferimento all’eredità di Ma.Pa..

La censura è infondata.

Premesso che in tale sede è non è ovviamente sindacabile la sentenza di primo grado di cui pure la ricorrente censura alcune statuizioni, si rileva che la Corte territoriale ha affermato che correttamente il giudice di primo grado aveva evidenziato che, sebbene nella procura in questione si leggeva che la rappresentanza era stata conferita allo scopo di addivenire alla divisione dell’eredità relitta di L.F. e di N.F. (lett. a e b), nella medesima procura L.F. aveva attribuito al S. la spendita del nome ed il potere gestorio anche rispetto a tutti i giudizi che avessero dovuto riguardarla sia come convenuta che come attrice (lett. e), così abilitando il nominato procuratore al compimento di affari processuali e/o giurisdizionali comprendente quindi anche il potere di transigere le liti, come espressamente riconosciuto nella lettera c); ha poi aggiunto che il disposto dell’art. 1708 c.c. deve essere inteso nel senso della necessità di indicare la natura degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione che il mandatario è abilitato a compiere, quale ad esempio la possibilità di concludere transazioni, senza peraltro la specificazione dei concreti atti da compiere.

Orbene da tali elementi riguardanti l’interpretazione del contenuto della procura in esame emerge anzitutto che essa fu conferita con riferimento alla divisione dell’eredità di L.F. e di N.F., e quindi anche di Ma.Pa., essendo incontestato che il giudizio promosso da L.A. dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme nei confronti di L.F. e di L.M. aveva ad oggetto la divisione ereditaria dei beni caduti in successione a seguito della morte delle suddette persone (vedi pagine 6 e 7 della sentenza impugnata); inoltre è decisivo rilevare che l’avvenuto conferimento della procura riguardo a tutti i giudizi che avessero dovuto riguardare L.F. con l’espresso riconoscimento del potere di transigere le liti rende ininfluenti i diversi profili di censura sollevati dalla ricorrente;

invero tale specifica indicazione (in effetti necessaria in quanto la transazione è atto che eccede l’ordinaria amministrazione, come tale richiedente per il mandatario un mandato speciale che preveda espressamente il conferimento della facoltà di transigere, Cass. 25- 8-1989 n. 3755) comporta che la procura in questione contemplava espressamente il potere del S. di transigere in nome di L.F. la controversia sopra richiamata introdotta dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme da L.A..

Con il quinto motivo la M., deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto, assume che erroneamente la sentenza impugnata ha escluso che L.F. fosse incapace di intendere e di volere al momento del rilascio della procura al S., e che comunque avesse subito un pregiudizio effettivo da tale atto.

La ricorrente, premesso che la prova dello stato di incapacità poteva ricavarsi dai ricoveri subiti da L.F. prima e dopo il rilascio della procura, sostiene che ingiustificatamente il giudice di appello ha ritenuto superflua la richiesta di ordine di esibizione della relativa cartella clinica; infatti da tale documentazione sarebbe emerso che la patologia di cui soffriva L.F. aveva caratteri di gravità e di continuità, cosicchè, posto che il S. e le altre parti in causa erano parenti stretti della prima, l’invalidità della procura, del mandato e della successiva transazione derivava dal fatto che il S. ed i terzi contraenti erano a conoscenza dello stato di incapacità della L..

La M., premesso poi che la sussistenza di un pregiudizio era elemento irrilevante, sostiene comunque che esso era incontestabile riguardo all’eredità di L.F., considerato che al momento della conciliazione L.F. era stata convinta che la bottega con annessa licenza che il testatore le aveva lasciato era stata in realtà lasciata ad L.A..

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo si osserva che la sentenza impugnata ha sostenuto l’inammissibilità della richiesta di esibizione di documenti da parte della Case di Cura nelle quali L.F. era stata ricoverata al fine di dimostrare l’asserita incapacità di intendere e di volere di quest’ultima al momento del rilascio della procura al S. in quanto – come già affermato dal giudice di primo grado – tardivamente proposta nel 2000 nell’ambito di un giudizio pendente dal 1987, e che tale statuizione non è stata censurata in questa sede; inoltre correttamente il giudice di appello ha ritenuto l’irrilevanza di eventuali ricoveri e di diagnosticate patologie attribuibili a L.F., insufficienti a dimostrare uno stato di incapacità di intendere e di volere al momento specifico di rilascio della procura.

La Corte territoriale inoltre ha aggiunto che anche l’eventuale prova in ordine alla incapacità naturale di L.F. non sarebbe stato elemento sufficiente al fine di chiedere l’annullamento della procura, non avendo l’appellante provato e neppure indicato l’effettivo pregiudizio che sarebbe derivato alla L. dall’atto stesso; in proposito deve rilevarsi che tale statuizione non è stata almeno specificatamente censurata, e che quindi per la prima volta in questa sede la M. accenna ad un pregiudizio per la L. conseguente al riconoscimento in sede di verbale di conciliazione di una bottega con annessa licenza ad L.A., senza oltretutto fornire elementi chiarificatori sul contenuto di tale conciliazione e dunque sulla effettiva composizione dei reciproci intereressi delle parti di quel giudizio di divisione; il rilievo è decisivo, posto che alla procura quale negozio unilaterale deve applicarsi, ai fini della disciplina del relativo annullamento per incapacità di intendere e di volere di colui che l’ha rilasciata, l’art. 428 c.c., comma 1 con conseguente necessità, per l’annullamento stesso, della prova di un grave pregiudizio per il suddetto soggetto (Cass. 30-1-2003 n. 1475), nella specie non provato e neppure tempestivamente dedotto in sede di merito.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate per ciascuno dei tre gruppi di controricorrenti come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato per ciascuno dei tre gruppi di controricorrenti.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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