Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13380 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 13380 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 19114-2012 proposto da:
A.Z. S.P.A. C.F. 00432620797, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA,
dell’avvocato

VIA CHIANA

48,

ANTONIO PILEGGI,

presso

lo

studio

che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;
– ricorrenti –

2015
contro

1137

RUSSOMANNO

ANTONIO

c.f.

RSSNTN68B16C352G,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA
106,

presso

lo

studio

dell’avvocato SALVATORE

Data pubblicazione: 30/06/2015

MANGONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati

ERNESTO MAZZEI, RAFFAELE SILIPO, giusta delega in
atti;
– controricorrente avverso la sentenza n. 39/2012 della CORTE D’APPELLO

1730/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/03/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
NAPOLETANO;
udito l’Avvocato PILEGGI ANTONIO;
udito l’Avvocato SILIPO RAFFAELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di CATANZARO, depositata il 31/01/2012 R.G.N.

RG 19114-12- N.2 UD 11-315

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Catanzaro, confermando, sia pure con diversa
motivazione, la sentenza del Tribunale di Catanzaro, accoglieva la

avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento a lui intimato dalla
predetta società in ragione di vari inadempimenti contrattuali tra i
quali il mancato rispetto della prestazione di lavoro per quaranta ore
settimanali.
A fondamento del decisum,

e per quello che interessa in questa sede, la

Corte del merito poneva il fondante rilievo secondo il quale dalle prove
documentali e testimoniali acquisite non emergeva la dimostrazione delle
violazioni addebitate.
Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione sulla base di
due censure, illustrate da memoria.
Resiste con controricorso la parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la prima censura la società, deducendo violazione e falsa
applicazione degli artt. 2607 cc e 5 della legge n. 604 del 1966 nonché
illogicità e contraddittorietà della motivazione, sostiene che la Corte
del merito erroneamente pone a carico di essa società la prova che il
Russomanno non aveva prestato la propria attività lavorativa in orari
diversi da quelli consueti.
Con il secondo motivo la società ricorrente, denunciando vizio di
motivazione, critica la sentenza impugnata per non aver preso in esame

domanda di Russomanno Antonio, proposta nei confronti della A.Z. S.p.A.,

tutti i fatti addebitati ed in particolare la mancata effettuazione
delle visite ai punti vendita ed ai fornitori.
Le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico
e giuridico vanno esaminate unitariamente, sono infondate.

5 della legge n. 604 del 1966 l’onere della prova della giusta causa o
del giustificato motivo del licenziamento spetta al datore di lavoro.
Sicché, avuto riguardo al caso di specie, se vengono contestate al
lavoratore determinate violazioni contrattuali, quali la mancata
prestazione di quaranta ore settimanali di lavoro e l’omessa
effettuazione delle visite ai punti vendita ed ai fornitori, incombe al
datore di lavoro dimostrare il mancato rispetto di tali obblighi
contrattuali.
Né può

ritenersi, contrariamente a quanto prospettato dalla società

ricorrente, che una volta forniti indizi in ordine agli addebiti
contestati spetta, poi, al lavoratore fornire la prova contraria.
Pretende, infatti, la società ricorrente, che pur essendo il Russomanno
autorizzato a prestare la propria attiva fuori dall’azienda e

negli

orari da lui ritenuti più funzionali all’incarico affidatogli
consistente nell’incombenza di prendere contatti commerciali con i vari
fornitori nei mercati e nei punti vendita – se dimostrato che
giorni ed orari

di appostamento il

in alcuni

Russomanno non è stato visto

lavorare, spetta al lavoratore fornire la prova contraria.

Non è così però. E’ difatti il datore di lavoro che, a fronte di una
pattuita prestazione lavorativa da espletarsi liberamente in qualsiasi

2

Innanzitutto mette conto ribadire che proprio a mente del denunciato art.

orario del giorno, deve dimostrare, una volta addebitata la mancata
prestazione di lavoro,la mancata effettuazione della prestazione nel
monte orario settimanale convenuto.
Diversamente si perverrebbe ad una inversione dell’onere della prova non
consentito dalla richiamata norma di cui all’art. 5 della legge n. 604

Per il resto si tratta di un accertamento di fatto che in quanto
congruamente e coerentemente motivato è sottratto al sindacato di questa
Corte.
Né d’altro canto sono trascritte, in adempimento dell’onere di
autosufficienza, le dichiarazioni testimoniali e i testi dei documenti
cui si fa riferimento nel ricorso, con,ulteriore, conseguente
impossibilità per questa Corte di valutare la decisività della censura
concernente il mancato esame degli altri addebiti.
Nel giudizio di legittimità, infatti,

l’eventuale vizio in cui sia

incorso il giudice di merito non rileva di per sé, ma deve essere
decisivo ossia tale da determinare la cassazione della sentenza
impugnata.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

3

del 1966.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità liquidate in E. 100,00 per esborsi ed E.3.500,00
– per compensi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11 marzo 2015

Il Presidente

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