Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13378 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21739-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

V.M., V.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, LARGO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato

DANIELE CERICOLA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIORGIO FABRIZIO ENRICO VECCHIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL PIEMONTE, depositata il 17/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE

CAPOZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Piemonte, di accoglimento dell’appello proposto dai contribuenti V.M. e V.R. avverso una sentenza CTP Torino, di parziale accoglimento del ricorso da essi proposto avverso un avviso di accertamento catastale, emesso dall’Agenzia del territorio, a seguito di procedura DOCFA attivata dai due contribuenti per un’abitazione di loro proprietà sita in (OMISSIS); il classamento proposto dai contribuenti con la DOCFA era stato: categoria A/2, classe 4, consistenza 8,5 vani, rendita catastale Euro 1.821,80; il classamento attribuito dall’ufficio, con l’avviso di accertamento impugnato, era stato: categoria A/1, classe 2, consistenza vani 10,5, rendita catastale Euro 3.606,1; il classamento attribuito all’immobile dalla CTP di Torino era stato: categoria A/1, classe 1, e consistenza vani 9,5; la CTR ha accolto l’appello dei contribuenti, ritenendo che l’avviso di accertamento impugnato si fosse limitato a comunicare il classamento attribuito dall’ufficio, senza indicare le ragioni dello scostamento, rispetto a quello proposto dai contribuenti in sede di DOCFA.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorso è affidato a due motivi;

che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione L. n. 212 del 2000, art. 7, e L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, in materia di catasto dei fabbricati, il D.M. n. 701 del 1994, previsto dalla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 3, ha introdotto la procedura DOCFA per l’identificazione catastale delle unità immobiliari; tale procedura consente al dichiarante di proporre la rendita degli immobili medesimi, fin quando l’ufficio non provveda a determinare il classamento definitivo con un avviso di accertamento la cui motivazione, tenuto conto dell’aspetto fortemente partecipativo della procedura, era da ritenere adeguata pur se limitata all’indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’ufficio tecnico erariale e della classe attribuita all’immobile, essendo tali dati idonei a consentire al contribuente di percepire il contenuto del provvedimento emesso dall’ufficio; quindi l’obbligo motivazionale era da ritenere assolto con la sola indicazione della consistenza, della categoria e della classe dell’immobile da censire; era pertanto errata la sentenza impugnata, laddove aveva ritenuto che nell’avviso impugnato mancavano le ragioni dello scostamento rispetto al classamento proposto dai contribuenti; invero l’avviso di accertamento impugnato era fondato sui medesimi fatti indicati dal contribuente nella proposta di attribuzione di rendita e l’unica differenza fra la rendita proposta dal contribuente e quella attribuita dall’ufficio derivava da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni; l’avviso di accertamento impugnato era quindi da ritenere adeguatamente motivato, contenendo esso l’indicazione del canone censuario, del foglio, della particella, del subalterno, della zona censuaria, della categoria, della classe, della consistenza e della rendita dell’immobile da censire;

che, con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione D.L. n. 70 del 1988, art. 11, convertito nella L. n. 154 del 1988, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, in quanto la sentenza impugnata non aveva tenuto conto di un elemento decisivo per il giudizio, essersi cioè formato un giudicato in ordine ad una fattispecie del tutto analoga a quella in esame; invero per un immobile sito all’interno di uno stesso stabile e con caratteristiche del tutto comparabili a quelle dell’immobile di cui è causa, la medesima CTP di Torino, con sentenza passata in giudicato, aveva confermato il classamento nella categoria A/1; pertanto la comparazione a livello locale con immobili simili avrebbe dovuto condurre ad attribuire la categoria A/1 anche all’immobile di cui alla presente controversia;

che i contribuenti si sono costituiti con controricorso ed hanno altresì presentato memoria difensiva;

che il primo motivo di ricorso è infondato;

che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di riqualificazione catastale degli immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale sia avvenuta, come nella specie, a seguito di procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso emesso dall’ufficio è da ritenere soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’ufficio e l’eventuale differenza fra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica circa il valore economico del bene (cfr. Cass. n. 31809 del 2018; Cass. n. 12005 del 2020);

che, tuttavia la fattispecie in esame non è affatto riconducibile al paradigma appena illustrato, in quanto, come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata, non è affatto ravvisabile una convergenza fra gli elementi di fatto indicati dai contribuenti nella procedura DOCFA attivata e quelli fatti propri dall’ufficio in termini di connotati intrinseci dell’appartamento sottoposto a revisione catastale, quali la sua superficie ed il numero dei suoi vani; e, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 12777 del 2018; Cass. n. 12497 del 2016; Cass. n. 8344 del 2015), quando l’attribuzione di una classe catastale ad un immobile avviene a seguito della c.d. procedura “DOCFA”, disciplinata dal D.L. n. 16 1993, art. 2, convertito con modificazioni con la L. n. 75 del 1993, e dal D.M. n. 701 del 1994, l’atto con il quale l’amministrazione disattende le indicazioni di fatto fornite dal contribuente, concernenti le caratteristiche intrinseche e salienti dell’immobile censito, deve contenere un’adeguata motivazione, che delimiti l’oggetto di una successiva ed eventuale controversia giudiziaria; pertanto non è condivisibile quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate col motivo di ricorso in esame, essere cioè sufficiente che l’ufficio comunichi il classamento che ha ritenuto congruo (nella specie l’attribuzione della più elevata categoria A/1, in luogo della categoria A/2 attribuita dai contribuenti), essendo essa altresì tenuta a fornire elementi idonei a spiegare perchè la proposta avanzata dal contribuente con la DOCFA sia stata disattesa;

che il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

che, invero, il metodo della comparazione dell’immobile da censire con altri analoghi, certamente valido in sè, presuppone una convergenza fra l’ufficio ed il contribuente circa l’individuazione della struttura e dei caratteri specifici dell’immobile da censire, convergenza nella specie non ravvisabile;

che, inoltre, dall’esame della sentenza impugnata, non emerge che l’Agenzia ricorrente abbia esplicitamente posto la dedotta questione della comparazione dell’immobile da censire con altri analoghi; invero l’Agenzia ricorrente, in applicazione del principio di autosufficienza, più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 5043 del 2009; Cass. n. 13082 del 2011), avrebbe dovuto indicare, a pena d’inammissibilità, a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, gli atti processuali ed i documenti sui quali la censura si fondava; in particolare l’Agenzia ricorrente avrebbe dovuto trascrivere integralmente od almeno nei suoi passaggi essenziali il suo atto di appello, dal quale poter evincere che la questione della comparazione anzidetta fosse stata sollevata; il che l’Agenzia ricorrente non ha fatto;

che appare, comunque, difficilmente ipotizzabile che si sia formato, nella specie, l’invocato giudicato esterno solo perchè la CTP di Torino, con altra sentenza passata in giudicato, ha confermato la categoria A/1 per un altro immobile sito nel medesimo stabile in cui era ubicato quello di proprietà dei contribuenti, trattandosi evidentemente di immobili che, seppur similari, conservano pur sempre caratteristiche differenti;

che, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va respinto, con sua condanna alle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo;

che la ricorrente, siccome amministrazione dello Stato, non è tenuta a corrispondere il doppio del contributo unificato (cfr. Cass. n. 1778 del 2016);

PQM

la Corte respinge il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della società contribuente le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 3.000,00, oltre ad esborsi, al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

 

 

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