Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13376 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 13376 Anno 2015
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

zul ric=25 13492-2009 nrepODtD cta:
CASANOVA PIETRO C.F. CSNPTR49P02F965D, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2015
1037

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA,

VIA CESARE

BECCARIA n.

29 presso

Data pubblicazione: 30/06/2015

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e
difeso dagli avvocati ALESSANDRO RICCIO, NICOLA
VALENTE, PREDEN SERGIO, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 478/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/03/2015 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso, in subordine
rigetto.

di TORINO, depositata il 16/06/2008 R.G.N. 1274/2007;

SVOLGIMENTO DEL FATTO
1. La Corte di Appello di Torino, con la sentenza n. 478/08, decidendo
sull’impugnazione proposta dall’INPS, nei confronti di Casanova Pietro, avverso la
sentenza n. 293/2007 resa dal Tribunale di Tortona tra le parti, accoglieva l’appello
e respingeva le domande proposte con il ricorso introduttivo.
2. Il giudice di primo grado, accogliendo il ricorso proposto dal Casanova,
dichiarava che il ricorrente, nell’espletamento delle proprie mansioni presso la spa

Moquette Italia, era stato esposto al rischio di inalazione di polveri di amianto per
oltre dieci anni e, quindi, aveva diritto ai benefici di cui all’art. 13, della legge n.
257 del 1992, come successivamente modificata, e condannava l’ INPS al pagamento
delle spese di lite.
3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Casanova
Pietro prospettando un motivo di ricorso.
4. Resiste l’INPS con controricorso, assistito da memoria depositata in
prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione
degli artt. 441, 433 e 455 cpc, in relazione all’art. 13, comma 8, della legge n. 257
del 1992, come mod. dalla legge n. 271 del 11993, dal d.lvo n. 277 del 1991.
Motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria (art. 360, nn. 3, 4 e 5, cpc).
Espone il ricorrente che le motivazioni poste a fondamento della propria
decisione dalla Corte d’Appello, senza che fosse esperita una nuova consulenza
tecnica d’ufficio, sono cucenti ed insufficienti.
A sostegno di tale deduzione richiama il contenuto della consulenza tecnica
svolta in primo grado, e ricorda che il CTU aveva esaminato ed accertato che le
mansioni svolte dal Casanova, tra cui quelle di analista, comportavano l’
utilizzazione di reticelle di amianto per il riscaldamento delle soluzioni di analisi.
Precisa, altresì, che dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni dei testi non
risultava che nello stabilimento fossero adottate misure, quali la fornitura ed uso di
dispositivi di protezione individuale o collettiva, atte ad evitare o limitare
l’esposizione a fibre di amianto, anche durante le operazioni di manutenzione su
manufatti in amianto.

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Osserva, inoltre, che le deposizioni dei testi erano da considerare rilevanti in
quanto confermavano le mansioni svolte e la presenza di amianto nei locali
frequentati dal ricorrente a causa della mansioni lavorative.
2. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.
2.1. Nella sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Torino ha ripercorso i
passaggi argomentativi della CTU, dando adeguata motivazione delle ragioni di
dissenso. Né i passi della CTU richiamati in ricorso contrastano con quanto

affermato dalla Corte d’Appello, che riformava la sentenza di primo grado, in
ragione della contraddittorietà della consulenza.
La Corte d” Appello rilevava che il teste Boetti si era limitato a dichiarare
che presso l’azienda, l’amianto era presente nelle tubazioni, nelle guarnizioni ed
anche nelle reticelle che chiudevano i fornelli del laboratorio, ma la mera presenza di
manufatti in amianto è cosa diversa dalla reale esposizione del lavoratore ad
inalazioni (o a rischio di inalazione) di fibre di amianto aeriforme, dovendosi provare
la dispersione delle suddette fibre nell’aria dell’ambiente lavorativo ed in misura
superiore al limite previsto di 10 fibre per litro.
A sua volta, il CTU dott. Lodola, dopo aver premesso essere, ora, impossibile
una misurazione diretta della concentrazione di amianto nell’aria con riferimento al
luogo di lavoro, a causa del tempo trascorso e del fatto che i processi industriali in
essere all’epoca non venivano più eseguiti, ovvero lo venivano con diverse modalità,
aveva esaminato la documentazione fornita dalle parti e precisato che le mansioni di
analista svolte dal ricorrente comprendevano l’utilizzo di reticelle di amianto per il
riscaldamento delle soluzioni di analisi. Il CTU aveva rilevato che l’uso delle
reticelle di amianto, con funzione di rompifiamma in laboratorio, non comportava di
per sé stesso il superamento dei limiti di legge, in quanto mancava l’utilizzo di
attrezzi meccanici o la presenza di vibrazioni, che avrebbero portato ad una massiva
aereodispersione della fibra, pur in presenza di stress termico con conseguente
deterioramento del pannello di amianto.
Tale superamento esisteva in altri reparti produttivi e, data l’attitudine a
disperdersi dell’amianto, “era da considerarsi del tutto possibile la presenza di
amianto aereo disperso, a livelli critici, in tutta l’area dell’insediamento produttivo
come dimostrato anche dai dati epidemiologici”.
Aveva, quindi osservato che in via del tutto cautelativa poteva riconoscersi al
ricorrente il ruolo di by stender, in quanto comunque presente in un ambiente

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contaminato (la presenza di un livello di fibre superiore al limite, nel contesto
ambientale dell’azienda, era attestato dal riconoscimento, da parte dell’INPS, dei
benefici ex lege n. 257 del 1992 agli addetti ai reparti produttivi glucoseria,
destroseria, amideria umida, olieria e sottoprodotti) ma che “non era possibile
accertare con sicurezza un costante superamento dei limiti di legge durante l’intero
periodo lavorativo, anche se possibile e quindi non escludibile a priori”. A fronte di
tali conclusioni, solo possibilistiche quanto alla sussistenza di una esposizione

personale del lavoratore superiore ai valori di rischio cui è subordinato il
riconoscimento dei benefici pensionistici previsti dalla legge n. 257 del 1992,
nessuna censura può muoversi alla motivazione della sentenza impugnata per aver
ritenuto che l’accertamento peritale risultava insufficiente ai fini dell’accoglimento
della domanda.
2.2. Quanto alla censura di mancata rinnovazione della CTU, il ricorrente
non prova di averla sollecitata, sia pure in via cautelativa essendo vittorioso in primo
grado, limitandosi a far riferimento, senza alcuna indicazione temporale o
processuale, ad una richiesta dell’INPS, che, peraltro, osserva il giudice di secondo
grado, in appello si doleva solo della lettura che il primo giudice aveva dato della
CTU, che non avrebbe affermato quanto ritenuto dal Tribunale.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare il rinnovo dell’indagine
tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure
necessaria una espressa pronunzia sul punto, salvo e nei limiti della devoluzione
come motivo di appello (Cass., n. 17693 del 2013, n. 14338 del 2012).
La Corte nel merito ha comunque motivato sia pure implicitamente anche in
ordine al mancato rinnovo della CTU, avendo già il primo ausiliare accertato
l’impossibilità di procedere ad una precisa misurazione della concentrazione di
amianto dispersa nell’ambiente di lavoro, considerato il notevole lasso di tempo
trascorso, apparendo così inutile disporre il rinnovo delle indagini peritali.
2.3. Con riguardo alle risultanze della prova per testi che avvalorerebbero la
propria domanda, il ricorrente non le specifica anche ai fini della decisività, né le
riporta in ricorso.
3. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo,
non risultando alcuna dichiarazione di responsabilità i:a:1~e ex art. 152 disp. att.

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cpc nel testo novellato dall’art. 42 del di. n. 269 del 2003, convertito nella legge n.
326 del 2003.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro duemila per compensi professionali, oltre euro cento per
esborsi e accessori come per legge.

Il Presidente

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 marzo 2015

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