Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13374 del 30/06/2016


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Cassazione civile sez. un., 30/06/2016, (ud. 09/02/2016, dep. 30/06/2016), n.13374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente Sezione –

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente Sezione –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHI Bruno – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23115/2015 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAPRANICA 95, presso lo studio dell’avvocato MARCELLA ZAPPIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO MARIO TRAVIA, per

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI UDINE, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARINO FERRO, per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 128/2015 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 23/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/02/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott.

Pierfelice PRATIS, il quale chiede che la Corte di Cassazione, in

camera di consiglio, rigetti la domanda di sospensione degli effetti

della sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 135 del 2015.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto quanto segue:

p.1. L’Avvocato S.G. ha proposto ricorso per cassazione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione contro il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Udine e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, avverso la sentenza n. 128 del 23 luglio 2015, con cui il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso da lui proposto contro la decisione con cui il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Udine gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della radiazione.

Sia nel ricorso che in un’istanza separatamente depositata il ricorrente ha chiesto la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 7, e la fissazione in via immediata della trattazione dell’istanza.

p.2. Al ricorso ha resistito il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Udine.

p.3. Il ricorrente depositava memoria di replica al controricorso.

p.4. Ai fini della trattazione dell’istanza di sospensione veniva fatta richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte di formulare le sue conclusioni ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c., ed all’esito del loro deposito veniva fissata l’adunanza della Corte, in vista della quale il ricorrente ha depositato memoria.

Considerato quanto segue:

p.1. L’istanza di sospensione che viene all’esame delle Sezioni Unite dev’essere valutata, conforme alla natura della giurisdizione cautelare, con riferimento alla sussistenza sia del fumus boni iuris, sia del periculum in mora.

Ritengono queste sezioni Unite che il primo requisito, valutato ai soli fini della cognizione sommaria sottesa alla presente decisione cautelare, non sussista.

Fermo che esso deve apprezzarsi in relazione ai due motivi sui quali il ricorso si fonda, si rileva, infatti, quanto segue.

p.2. Con riguardo alla questione prospettata con il primo motivo, con la quale ci si duole dell’avere il Consiglio Nazionale Forense escluso l’applicabilità della nuova disciplina della prescrizione emergente dalla L. n. 247 del 2012, art. 56, rifiutandosi di farlo sia sulla base dell’applicazione del principio del c.d. favor rei, sia sulla base della deducibilità dell’effetto anche dalla sopravvenienza della norma di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, si rileva:

a) che – in disparte ogni valutazione sulla questione della natura più favorevole o meno della nuova disciplina della prescrizione introdotta dalla legge del 2012, su cui il C.N.F. si è pure soffermato e discute il ricorrente – Cass. sez. un. n. 14095 del 2015, alla quale si intende dare in questa sede continuità (come hanno già fatto Cass. sez. un. nn. 23364 e 23836 del 2015), ha affermato il principio di diritto secondo cui “In tema di azione disciplinare nei confronti degli avvocati, il nuovo e più mite regime della prescrizione di cui alla L. n. 247 del 2012, non si applica ai procedimenti in corso, giacchè il principio di retroattività della lex mitior non riguarda il termine di prescrizione, ma solo la fattispecie incriminatrice e la pena”;

b) che il ricordato principio è stato enunciato nella espressa contemplazione delle affermazioni fatte dal Giudice delle Leggi nella sentenza n. 236 del 2011 (seguita da altre decisioni) con riferimento all’istituto della prescrizione nel diritto penale ed al suo atteggiarsi anche in riferimento alla disciplina della CEDU, siccome ricostruita dalla giurisprudenza della Corte EDU. p.3. Con riferimento alla presunta erroneità della negazione della rilevanza della norma della L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, si rileva che correttamente il Consiglio Nazionale Forense ha evocato a fondamento di detta negazione il principio di diritto di cui a Cass. sez. un. n. 11025 del 2014, di cui parte ricorrente si disinteressa ed al quale nuovamente (dopo che l’ha già data Cass. sez. un. n. 1822 del 2015) deve darsi continuità, rilevandosi, ulteriormente, che nel ricorso del tutto inconferente risulta il richiamo di Cass. sez. un. n. 3023 del 2015, la quale ha applicato il principio di cui al suddetto comma 5 a fattispecie del tutto estranea al tema della prescrizione (il che rende in via derivata irrilevante la motivazione dell’ordinanza di queste Sezioni Unite n. 21289 del 2015, che ebbe a richiamarla).

4. Anche l’apprezzamento del fumus con riguardo al secondo motivo non appare, allo stato della presente valutazione sommaria, positivo.

Con il motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nuovo testo, “l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti”, assumendo che la sua valutazione avrebbe almeno potuto incidere sull’individuazione della sanzione e della sua entità.

In realtà viene, poi, argomentata l’omessa valutazione di una pluralità di fatti, cioè della valutazione dell’attività professionale svolta e dalla sua idoneità a diminuire il danno, di un non meglio individuato ravvedimento, della mancata comminazione in sede penale di sanzioni accessorie e interdittive e della “specchiata condotta” dell’incolpato “prima e dopo i fatti contestati”.

Si rileva che, in disparte ogni valutazione su se i fatti in questione abbiano la natura di quelli che Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 hanno individuato come riconducibili al paradigma del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per il tramite della nozione di c.d. fatto principale, parte ricorrente non ha indicato, come esigono, per il rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, le dette decisioni, se e dove i suddetti fatti fossero stati introdotti in funzione dell’esame del giudice disciplinare nel relativo giudizio (come, del resto, ha eccepito anche la parte resistente).

5. L’istanza di sospensione dev’essere, dunque, rigettata in quanto non si configura il fumus boni iuris.

Tanto esime dal considerare l’altro presupposto della presente cognizione cautelare.

PQM

La Corte rigetta l’istanza di sospensione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 9 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016

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