Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13371 del 30/06/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 13371 Anno 2015
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 4375-2013 proposto da:
TANZARELLA VINCENZO TNZVCN61M O 8L 8 171, elettivamente
domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO GARLATI giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– con troricorrente –

Data pubblicazione: 30/06/2015

avverso la sentenza n. 127/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata
L’08/08/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

CARACCIOLO.

Ric. 2013 n. 04375 sez. MT – ud. 06-05-2015
-2-

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria
la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

osserva:
La CTR di Milano ha respinto l’appello di Tanzarella Vincenzo -appello proposto
contro la sentenza n.174/03/2011 della CTP di Como che aveva già respinto il
ricorso proposto dal predetto contribuente- ed ha così confermato l’avviso di
accertamento per IRPEF-IVA-IRAP 2005, avviso che la parte contribuente aveva
impugnato perché (ai fini della ricostruzione del reddito che la stessa parte ricorrente
qualifica come rinveniente dall’esercizio di attività di “professionista nel settore
amministrativo-fiscale”, sia pure caratterizzata dalla “integrazione di modelli
matematici di software”) non era stato riconosciuto alcun “costo”, per il fatto stesso
che il contribuente non aveva potuto documentarlo (a giustificazione di ciò il
contribuente aveva allegato che la documentazione era stata sia oggetto di un furto
verificatosi all’inizio del 2005, sia distrutta dal crollo del soffitto dell’abitazione
verificatosi il 3.1.2008).
La Commissione di appello ha motivato la propria decisione nel senso di ritenere che
“in merito allo stato di forza maggiore” (impediente la produzione dei documenti
attestanti i costi sostenuti) le dichiarazioni del contribuente “appaiono contraddittorie
oltre che manchevoli di prova certa”: vi erano infatti nella ricostruzione di parte
contribuente “incongruenze che fanno ritenere inattendibili” le dichiarazioni rese. Il
recupero di imposta derivava —d’altronde- dal mancato riconoscimento di costi,
appunto non comprovati. Apparendo peraltro “incerta la presunta attività di
produzione di software”, non potevano considerarsi deducibili “i costi di una attività
di cui manca la prova”.
La parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
3

letti gli atti depositati,

L’Agenzia si è costituita con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Il ricorso appare inammissibile e se ne propone il rigetto.
Infatti, con l’unico motivo di impugnazione (privo di rubrica) la parte qui ricorrente

alcun riconoscimento di costi- si duole della violazione della pronuncia della Corte
Costituzionale n.225/2005 secondo la quale “in presenza di applicazione del sistema
induttivo di determinazione dei ricavi, l’Ufficio amm.vo deve tenere presente il
principio di capacità contributiva che impone di considerare non solo i maggiori
ricavi accertati ma…anche la incidenza percentuale dei costi relativi”.
Il motivo appare inammissibilmente formulato.
Siffatto modo di articolare la censura nei confronti della decisione impugnata (nel
difetto di qualsivoglia coordinamento con le fattispecie di vizio tassativamente
previste dall’art.360 cpc) non è rispettoso del sistema processuale vigente, in
relazione alla formula prevista per il ricorso per cassazione, così come inveratasi
nella norma dell’art.360 cpc.
A tal proposito, basta qui richiamare il noto principio giurisprudenziale secondo
cui:”Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato
dai motivi di ricorso; il singolo motivo, infatti, anche prima della riforma introdotta
con il d.lgs. n. 40 del 2006, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua
formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate
con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività e la specificità del motivo di
censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato
rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito” (tra le molte,
Cass.Sez. 3, Sentenza n. 18202 del 03/07/2008).
Non è d’altronde inutile accennare al fatto che il vago richiamo fatto dalla parte
ricorrente alla pronuncia della Corte Costituzionale n.225/2005 (che è pronuncia di
infondatezza del dubbio di illegittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e
4

, —dopo avere premesso che l’accertamento impugnato era di genere induttivo, senza

53 Cost., dell’art. 32, primo comma, numero 2), del d. P. R. 29 settembre 1973, n.
600) non potrebbe avere qui alcuna attinenza e rilevanza, avendo il giudicante
significato che —in difetto della prova sulla concreta attività di lavoro esercitata dal
ricorrente (che a tal proposito ha omesso di delucidare ogni aspetto, anche in
relazione al metodo induttivo di ricostruzione del reddito utilizzato dall’Ufficio)- non

percentualmente i costi presunti in proporzione ai ricavi presunti, costi che —
ovviamente- non possono che essere correlati allo specifico settore di attività
considerato.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità.
Roma, 30 luglio 2014

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo giudizio, liquidate in € 2.000,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori
di legge. Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del DPR 11.115 del 2002, la Corte dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma il 6 maggio 2015
DEPOSITATO IN CANCELLERIA

sarebbe possibile fare applicazione alcuna del dovere di rideterminare

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