Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1337 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. I, 22/01/2021, (ud. 24/07/2020, dep. 22/01/2021), n.1337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9513/2019 proposto da:

N.D., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio

Rodontini, giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 18/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/07/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Decreto n. 1621/2019 depositato il 18-2-2018 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di N.D., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che, pur credibile, fosse irrilevante ai fini del riconoscimento della protezione internazionale la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè perseguitato dai suoi fratellastri. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla natura non statuale dell’agente di persecuzione e alla situazione generale del Senegal descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 comma 1 bis, in relazione alla sussistenza del requisito del “danno grave””.

Con il secondo motivo lamenta la “illegittimità del decreto di rigetto nella parte in cui ritiene non sussistenti i requisiti per l’ottenimento della protezione umanitaria ex art. 5, comma 6 e art. 19 T.U. Immigrazione”. Con il terzo motivo denuncia la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 comma 1 bis, in relazione alla valutazione della situazione di pericolo nel Paese di origine del ricorrente”. Il ricorrente propone infine istanza di sospensione ex art. 700 c.p.c., chiedendo la concessione di un permesso di soggiorno temporaneo in attesa della conclusione del processo in Cassazione, ritenendo sussistere i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Con i motivi primo e terzo, in relazione al diniego della protezione sussidiaria, il ricorrente censura il decreto impugnato sia per illogicità della motivazione, assumendo che le minacce, violenze e aggressioni subite dai fratellastri, ritenute credibili dal Tribunale, siano idonee ad integrare il “danno grave” e il Tribunale non ha accertato se vi fosse adeguata tutela da parte delle autorità statali, sia per l’errata valutazione della situazione generale di pericolo del Senegal. Con il secondo motivo censura la statuizione di diniego della protezione umanitaria e deduce di essere soggetto vulnerabile sia per la situazione generale del suo Paese, sia per la sua giovane età e la mancanza di contatti con la famiglia di origine, e rimarca di essere impegnato in un serio percorso di integrazione, richiamando la pronuncia n. 4455/2018 di questa Corte.

2. I motivi primo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

2.1. Il ricorrente si duole, in primo luogo, della mancata considerazione, da parte del Tribunale, delle persecuzioni, consistite in minacce, violenze e aggressioni, subite dai suoi fratellastri ed idonee ad integrare il “danno grave” rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

La censura è inammissibile nella parte in cui non si confronta con la motivazione del decreto impugnato sul punto, avendo il Tribunale affermato che, pur essendo credibili le dichiarazioni del richiedente, quest’ultimo non aveva allegato di aver chiesto protezione, in ordine alle lamentate persecuzioni provenienti da soggetti non statuali (fratellastri), alle autorità statali o a quelle tribali e di non averla ottenuta. Nel ricorso non è formulata alcuna deduzione critica specifica su tale dirimente affermazione del Tribunale.

La doglianza è infondata nella parte in cui si lamenta la mancata attivazione del dovere istruttorio ufficioso sulla protezione fornita dallo Stato di provenienza. Secondo l’orientamento di questa Corte a cui il Collegio intende dare continuità (Cass. n. 27336/2018), la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio. Nel caso di specie, in mancanza della rituale allegazione di cui si è detto (richiesta di protezione allo Stato, non ottenuta), correttamente, in applicazione del suesposto principio, il Tribunale non ha dato corso all’indagine ufficiosa sulla “adeguata tutela al ricorrente da parte delle autorità senegalesi” (pag. 5 ricorso), che, peraltro, sembra prospettata con riferimento alla grave situazione socio politica esistente nel Paese.

2.2. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie il Giudice territoriale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza (pag. n. 5 decreto impugnato), ha analizzato la situazione politica del Paese ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente. Il ricorrente si limita genericamente a richiamare informazioni, tratte da fonti internazionali, in ordine a violazioni dei diritti umani e alla diffusa povertà, senza confutare specificamente il percorso argomentativo di cui al decreto impugnato, neppure censurato ai sensi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

3.1. Occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

3.2. Le deduzioni svolte in ricorso non si confrontano con l’iter motivazionale del decreto impugnato, con il quale il Tribunale ha escluso, con dettagliata motivazione, la sussistenza di elementi ostativi al rimpatrio, effettuando la valutazione comparativa in base ai criteri indicati da questa Corte con la pronuncia n. 4455/2018, nonchè prendendo in considerazione lo svolgimento di attività lavorativa in Italia da parte del ricorrente e la sua situazione lavorativa e familiare in Senegal. Il ricorrente non confuta specificamente le suddette argomentazioni, nè indica elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019).

Inoltre il fattore dell’integrazione lavorativa diventa recessivo, se difetta la vulnerabilità, come nella specie, e la situazione del Paese di origine, in termini generali ed astratti, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

Infine, è manifestamente inammissibile l’istanza di sospensione formulata dal ricorrente ex art. 700 c.p.c., con la quale è stata chiesta a questa Corte la concessione di un permesso di soggiorno temporaneo in attesa della conclusione del presente giudizio.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, nulla dovendosi disporre circa le spese del giudizio di legittimità, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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