Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1337 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2011, (ud. 25/11/2010, dep. 20/01/2011), n.1337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26134 – 2009 proposto da:

IMMOBILIARE ESTER SAS DI BERNARDI LUCA & C. A (OMISSIS) in

persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MARIA CRISTINA 8, presso lo studio dell’avvocato GOBBI Goffredo,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAZZOLA LUCIANO,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L’AMBIENTE SRL (OMISSIS) in persona dell’amministratore unico e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ALBERICO II n. 11, presso lo studio dell’avvocato SCARPA ANGELO,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MANSI FRANCESCO

PAOLO, CARUSO GENIALE, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 217/2009 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE del

16.6.09, depositata il 14/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito per la controricorrente l’Avvocato Angelo Scarpa che si riporta

agli scritti ed inoltre lo stesso avvocato deposita nota spese.

E presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che nulla osserva rispetto alla relazione

scritta.

Fatto

RITENUTO

quanto segue:

p. 1. La Immobiliare Ester s.a.s. di Bernardi Luca & C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 14 luglio 2009, con la quale la Corte d’Appello di Trieste ha rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza con cui il Tribunale di Trieste aveva rigettato la sua opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla s.r.l. L’Ambiente per il pagamento di un’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 34, e per la restituzione del deposito cauzionale, dovuti in relazione ad un intercorso rapporto di locazione, nonchè la sua domanda riconvenzionale intesa ad ottenere la condanna dell’opposta al pagamento di un’indennità per occupazione dell’immobile ai sensi dell’art. 1591 c.c..

Al ricorso ha resistito l’intimata.

p. 2. Essendo il ricorso, che propone tredici motivi, soggetto, quanto alla regolamentazione del giudizio di legittimità, alle disposizioni introdotte dalla L. n. 69 del 2009, e prestandosi ad essere deciso con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

quanto segue:

p. 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., sono state svolte le seguenti considerazioni, che si riproducono testualmente con la sola aggiunta in neretto della citazione di due precedenti, non indicati per mera omissione materiale:

“(…) 3. Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1591 c.c., in combinato disposto con l’art. 1216 c.c., e art. 1200 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e vi si lamenta che erroneamente la Corte territoriale, sulla falsariga del primo giudice, abbia ritenuto che la conduttrice si era liberata della sua obbligazione di pagare il corrispettivo del canone di locazione tramite un’offerta non formale ai sensi dell’art. 1220 c.c.. Nella specie il rapporto si era estinto il 3 febbraio 2002, ma il rilascio era avvenuto il 28 gennaio 2004.

Il motivo è inammissibile, perchè non individua la parte di motivazione della sentenza impugnata che sarebbe incorsa nella dedotta violazione di norme di diritto (si veda, in termini, Cass. n. 5076 del 2007).

Inoltre, il motivo sarebbe anche manifestamente infondato, al lume di quanto risulta pacifico nella giurisprudenza di questa corte in ordine alla idoneità di un’offerta non formale di rilascio di immobile ad escludere la debenza dell’indennità ai sensi dell’art. 1591 c.c., (si veda Cass. 18496 del 2007; n. 1684 del 2010).

4. – Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, e vi si lamenta che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto l’offerta non formale seria, concreta e tempestiva, facendo riferimento alle prove, ivi comprese quelle documentali presenti nel fascicolo di parte dell’appellata, senza, però, dire quali sarebbero state e senza individuare il comportamento tenuto dalla conduttrice che avrebbe integrato detta offerta con quei caratteri. Inoltre, nessun riferimento si sarebbe fatto a non meglio indicate prove orali della stessa ricorrente, dalle quali sarebbe risultata invece una ricostruzione dei fatti diametralmente opposta.

Il motivo è inammissibile per inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che costituisce il precipitato del principio di autosufficienza, atteso che non specifica che cosa risultava nel fascicolo dell’appellata cui fa riferimento la motivazione della sentenza impugnata, e non riproduce il tenore delle testimonianze indotte dalla ricorrente.

5. – Anche il terzo motivo – deducente violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in materia di onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – è ancora una volta inammissibile perchè non individua la parte della motivazione della sentenza impugnata con cui la violazione di norma di diritto sarebbe stata commessa e perchè comunque inosservante dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che fa riferimento a documenti e prove testimoniali, senza individuare (salvo con un anodino riferimento a non meglio localizzabile doc. 1, quanto ad una lettera), quanto ai primi, la sede di produzione nel giudizio di merito e se e dove siano stati prodotti in sede di legittimità (si veda Cass. sez. un. n. 28547 del 2008; e, di recente, Cass. sez. un. n. 7161 del 2010), e senza riprodurre le dichiarazioni testimoniali e indicare l’udienza in cui vennero assunte, nonchè produrre copia dei relativi verbali (tenuto conto che trattasi di prove assunte in primo grado e avuto riguardo all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4).

Peraltro, l’illustrazione del motivo non ha nessuna corrispondenza con la sua intestazione, atteso che non vi si denuncia alcuna violazione dello specifico paradigma normativo di cui all’art. 2697 c.c., bensì la valutazione della non meglio specificate prove.

Ciò che costituirebbe ulteriore ragione di inammissibilità.

6. – In ogni caso, sia il secondo che il terzo motivo sono inammissibili, perchè addebitano errori motivazionali alla Corte d’Appello come se Essa fosse il giudice di primo grado, cioè senza preoccuparsi di individuare nello scrutinare quale motivo di appello l’errore sarebbe stato commesso: poichè il giudizio d’appello ha effetto devolutivo nei limiti in cui il giudice d’appello è stato investito dai motivi di appello, salva la rilevabilità di eventuali eccezioni non riservate alla parte, il ricorrente in cassazione che rivolge critica ad una sentenza di appello non può prescindere dallo svolgimento della critica con riferimento all’atteggiarsi della motivazione della sentenza impugnata rispetto a quella di primo grado ed ai relativi motivi di appello, specie ove la sentenza di secondo grado abbia confermato quella di primo grado.

7. – Il quarto motivo – deducente violazione e/o falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – è inammissibile per la ragione precisata appena sopra al n. 6.

8. – Il quinto motivo – denunciate violazione e/o falsa applicazione delle norme in tema di rappresentanza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, – è inammissibile quanto alla dedotta violazione di norme di diritto, posto che non le individua, ed è totalmente inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per violazione del principio di autosufficienza, atteso che si fonda su una prova testimoniale della quale non indica l’udienza di assunzione, non riproduce il contenuto e non indica dove sarebbe esaminabile e se il relativo verbale è stato prodotto.

9. – Il sesto motivo – denunciate violazione e/o falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, – è inammissibile sia perchè nuovamente critica la sentenza impugnata senza coordinarsi con il relativo motivo di appello e, comunque, per difetto di autosufficienza, atteso che concerne l’esclusione dell’incapacità del teste cui si riferisce il motivo precedente e considerato che si ripete l’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

10. – Anche il settimo motivo – deducente omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e relativo alla conferma dell’attendibilità dei testi da parte della Corte territoriale – è nuovamente inammissibile, perchè non fa alcun riferimento al motivo d’appello con cui sul punto la Corte territoriale era stata investita e perchè viola il principio di autosufficienza, omettendo di riprodurre le prove testimoniali di cui trattasi, di dire in quale udienza furono assunte e di produrre i relativi verbali.

11.- L’ottavo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando che non siano stata ammesse non meglio specificate prove che tendevano a dimostrare i cattivi rapporti fra il teste di cui si è prima lamentata l’inattendibilità e l’incapacità e la ricorrente: il motivo è inammissibile sempre per difetto di autosufficienza, atteso che nemmeno si riproducono i capitoli della prova non ammessa. E ciò in disparte il rilievo che non si comprende come possa ammettersi, dopo l’assunzione di un teste, che si deducano in appello prove per dimostrarne l’inattendibilità, piuttosto che evidenziare all’atto della richiesta di ammissione quelle circostanze e se del caso ribadirle in sede di assunzione con domande a chiarimento.

12. – Il nono motivo lamenta vizio di motivazione perchè il giudice d’appello non avrebbe precisato, nel confermare la decisione del primo giudice di accoglimento della domanda di restituzione del deposito cauzionale, le ragioni per cui essa era corretta.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, perchè avrebbe dovuto precisare sia il motivo d’appello al riguardo, sia le ragioni dell’accoglimento della domanda da parte del primo giudice.

In mancanza, la Corte di cassazione non è in grado di apprezzare la decisività del preteso vizio motivazionale.

13. – Il decimo motivo deduce vizio motivazionale per avere rigettato la sentenza impugnata la domanda subordinata ai sensi dell’art. 2043 c.c., proposta per il caso di rigetto di quella ai sensi dell’art. 1591 c.c., rivolta a suo tempo al Tribunale e sulla quale esso non si era espresso.

Il motivo è inammissibile perchè non indica nè la domanda di cui si sarebbe trattato nè il motivo di appello proposto nè la motivazione della sentenza impugnata che sarebbe viziata. Onde è affetto da difetto di autosufficienza, generico e nuovamente sollecita la Corte a controllare la sentenza d’appello senza dimostrare che cosa ad essa era stato devoluto sul punto.

14. – L’undicesimo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in materia di onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed appare inammissibile, sia per la sua assoluta genericità (constando di nove righe), sia là dove addebita alla Corte territoriale di avere rigettato la domanda parimenti subordinata ai sensi dell’art. 2041 c.c., sempre incorrendo nelle stesse insufficienze rimarcata proposito del motivo precedente.

15. – Il dodicesimo ed il tredicesimo motivo – rispettivamente deducenti vizio motivazionale e vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., e dell’art. 2909 c.c., – appaiono inammissibili perchè si fondano su una sentenza resa interpartes dal Tribunale di Trieste che aveva dichiarato risolto il contratto locativo, della quale si omette di indicare se e dove era stata prodotta nelle fasi di merito e se e dove sia stata prodotta in sede di legittimità, con conseguente violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

16. – Essendo tutti i tredici motivi inammissibili, il ricorso appare inammissibile”.

p. 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali la memoria di parte ricorrente muove rilievi che non sono i alcun modo idonei a superarle.

In particolare:

a) riguardo al rilievo mosso dalla relazione al primo motivo sotto il profilo che non si sarebbe individuata la parte della motivazione impugnata, nella memoria se ne sostiene l’infondatezza richiamando un passo del ricorso nel quale si dice genericamente che si censura la motivazione della sentenza nella parte in cui avrebbe fatto una certa affermazione, ma senza individuarla: è evidente che non essendo stata individuata questa parte il rilievo della relazione trova perfetto riscontro, alla luce della richiamata giurisprudenza, proprio in quanto deduce la ricorrente;

b) riguardo al secondo rilievo mosso al primo motivo circa l’inidoneità dell’offerta non formale del rilascio dell’immobile ad escludere la debenza del pagamento del canone, nella memoria si evoca giurisprudenza (Cass. n. 13345 del 2006; n. 3184 del 2006; n. 2086 del 2002) non solo in contrasto con precedenti anteriori (si vedano, particolarmente ed esaustivamente Cass. n. 2419 del 1999 e n. 6090 del 2002), ma che ormai è superata dai precedenti citati dalla relazione, che del contrasto si fanno carico e lo superano argomentatamente con ragioni che escludono – anche agli effetti dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, – ogni ripensamento (si veda, particolarmente, Cass. n. 18496 del 2007, secondo cui: “In tema di riconsegna dell’immobile locato, mentre l’adozione della complessa procedura di cui all’art. 1216 c.c., e art. 1209 c.c., comma 2, costituita dall’intimazione al creditore di ricevere la cosa nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207 c.c.), l’adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.) – purchè serie, concrete e tempestive (come, nella specie, l’invio di lettere raccomandate nelle quali il conduttore informava il locatore della messa a sua disposizione delle chiavi dell’immobile e di un assegno a saldo) e semprechè non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore – pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell’obbligo di adempiere la prestazione (costituita, nel caso esaminato, dal pagamento dei canoni maturati dopo la risoluzione del contratto di locazione);

c) a proposito del rilievo della relazione riguardo al secondo motivo parte ricorrente si astiene dall’argomentare facendosi carico della giurisprudenza sull’art. 366 c.p.c., n. 6, citata a proposito del terzo motivo sul significato dell’onere di indicazione specifica previsto da detta norma; inoltre non si fa carico del rilievo svolto al punto 6 della relazione;

d) riguardo ai rilievi sulla valutazione della relazione a proposito del terzo motivo vale quanto appena osservato sub c);

e) sul rilievo svolto in riferimento al quarto motivo, la memoria non si fa carico del rilievo svolto al punto 6 della relazione;

f) in ordine al quinto motivo non ci si fa carico degli specifici rilievi svolti dalla relazione al lume della giurisprudenza dell’art. 366 c.p.c., n. 6;

g) riguardo al sesto motivo non si replica al primo rilievo della relazione (tendente ad evidenziare che non ci si è fatto carico di dimostrare come la questione fosse stata devoluta al giudice d’appello) e nuovamente si trascura di replicare dell’art. 366, n. 6, facendosi carico della giurisprudenza della Corte;

h) analogamente per il settimo e l’ottavo motivo non ci si fa carico della giurisprudenza sul citato n. 6 e degli altri specifici rilievi mossi sull’ottavo motivo;

i) per il nono, il decimo e l’undicesimo motivo la memoria non dimostra in alcun modo alcunchè che superi i rilievi della relazione, in particolare astenendosi dall’individuare come il ricorso avrebbe fatto riferimento alla devoluzione in appello della questione prospettata con il motivo, nonchè dal fasi carico del rilievo di difetto di autosufficienza ai sensi dell’art. 366, n. 6;

l) la replica sul dodicesimo ed il tredicesimo motivo omette ogni considerazione della giurisprudenza sull’art. 366 c.p.c., n. 6.

p. 3. Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, con la precisazione che nella nota spese depositata parte resistente ha chiesto i diritti di procuratore, che non competono nel giudizio di cassazione (si veda Cass. (ord.) n. 29577 del 2008).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro duemila, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 25 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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