Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13369 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1095-2020 proposto da:

R.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato STEFANO MARRONE;

– ricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliata in Roma, presso la

CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato NUNZIO PERRI;

– controricorrente –

e

V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FEDERICA SANTINON;

avverso la sentenza n. 2011/2019 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA,

depositata il 15/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 15/5/2019, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha accolto la domanda proposta da G.M. per la dichiarazione dell’inopponibilità, nei relativi confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto con il quale R.M.A. (debitore dell’attrice) aveva ceduto a V.M. la nuda proprietà di un proprio immobile;

a fondamento della decisione assunta, per quel che ancora rileva in questa sede, la corte territoriale ha ritenuto sussistenti tutti i presupposti di natura oggettiva e soggettiva ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria proposta dall’attrice;

avverso la sentenza d’appello, R.M.A. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo d’impugnazione;

V.M. si è costituita in giudizio in adesione ai motivi di ricorso;

G.M. resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., G.M. ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo d’impugnazione proposto, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., nonchè per vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente sussistente il requisito dell’eventus damni, quale pregiudizio derivabile alla creditrice dall’atto di disposizione impugnato, e la scientia damni in capo, sia al soggetto disponente, sia alla V., attese le ampie residualità patrimoniali in capo al R. (erroneamente ritenute non comprovate dal giudice a quo), nonchè per aver erroneamente considerato le circostanze di fatto analiticamente richiamate in ricorso a fondamento dell’assoluta assenza di consapevolezza dei disponenti di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie;

il motivo è nel suo complesso inammissibile;

osserva preliminarmente il Collegio come, sotto il profilo della contestata ripartizione degli oneri probatori tra le parti in relazione al riscontro dell’eventus damni, la corte territoriale si sia correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte ai sensi del quale, in tema di revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’eventus damni (Sez. 2, Sentenza n. 1902 del 03/02/2015, Rv. 634175 – 01);

nella specie, avendo il giudice a quo escluso l’avvenuta dimostrazione, da parte dell’odierno ricorrente, dell’insussistenza di detto rischio a carico della creditrice, le odierne censure, nella misura in cui rivendicano l’erroneità dell’esame, da parte del giudice a quo, degli elementi di prova complessivamente acquisiti sul punto, devono ritenersi del tutto inammissibili;

deve qui, infatti, ribadirsi il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 331 del 13/01/2020, Rv. 656802 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);

nella specie, la corte d’appello ha espressamente evidenziato come dall’esame degli elementi di prova complessivamente acquisiti fosse risultata insufficiente la prova della idoneità, delle residualità patrimoniali del R., a escludere la sussistenza di un concreto pregiudizio in capo alla creditrice, così come in precedenza definito, avendo i giudici d’appello avuto modo di evidenziare come l’odierno ricorrente non avesse fornito alcuna prova della titolarità di altri beni immobili, oltre quello della cui nuda proprietà ebbe a spogliarsi attraverso l’atto impugnato in questa sede, sottolineando l’inidoneità di eventuali ulteriori beni mobili a costituire un’adeguata garanzia delle ragioni creditorie, in ragione del più agevole regime di circolazione degli stessi e della conseguente maggiore facilità di occultamento rispetto alle pretese creditorie;

si tratta di considerazioni che il giudice d’appello ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dai ricorrenti;

quanto alle doglianze concernenti la dimostrazione del richiamato pregiudizio della creditrice per effetto dell’atto dispositivo impugnato (cui dev’essere associata la contestazione circa la ritenuta inidoneità dell’usufrutto residuato in capo al ricorrente, a seguito dell’atto impugnato in questa sede, a garantire le ragioni creditorie), e del requisito della scientia damni in capo ai disponenti, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure qui illustrate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), il ricorrente si sia sostanzialmente spinto a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, osserva il Collegio come i ricorrenti risultano aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente lo stesso nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

varrà osservare al riguardo come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneità della censura in esame a dedurre la violazione dell’art. 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.);

nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierne ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;

si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

a tale ultimo proposito, è appena il caso di sottolineare come il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze del ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente e della V. (costituitasi in giudizio a sostegno delle ragioni del primo) al rimborso, in favore della G., delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna R.M.A. e V.M., in solido tra loro, al rimborso, in favore di G.M., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, della Corte Suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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