Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13368 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 01/07/2020, (ud. 04/10/2019, dep. 01/07/2020), n.13368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – rel. Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19092-2C18 proposto da:

A ERRE & CO SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente in ROMA VIA GIAMBATTISTA VICO 22, presso lo

studio, dell’avvocato SALVATORE MILETO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO FRUSCIONE, giusta procura a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in Persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresen7,a e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7464/2017 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO,

depositata 11 14/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2019 dal Consigliere Dott. ARMONE GIOVANNI MARIA;

il D.M. n. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udimmo per il ricorrente l’Avvocato FRUSCICNE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udil.o per controricorrente l’Avvocato PALASCIANO che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La A.ERRE & Co. srl propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 7464/2017, depositata il 14 dicembre 2017, che ha confermato la sentenza di primo grado con cui era stato respinto il ricorso della contribuente avverso un provvedimento dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli del 10/17 maggio 2002, con cui l’Agenzia ribadiva la revoca dell’Informazione Tariffaria Vincolante n. IT1998 – 0111C – 071100 inizialmente rilasciata alla stessa società.

2. Il ricorso è affidato a due motivi.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso o comunque il suo rigetto nel merito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli art. 1362 e 1363 c.c., nonchè dei principi generali del diritto amministrativo (anche in relazione alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3) in tema di atti di conferma.

2. Il motivo è infondato.

3. Costituisce consolidato e condivisibile orientamento della S.C. l’affermazione per cui l’interpretazione di un atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., ovverosia di una realtà fenomenica e obiettiva, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione di quelle norme in particolare, l’art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1363 e 1366 c.c. – che, dettate per l’interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi (Cass., Sez. Un., 28/11/2017, n. 28365; Cass., Sez. II, 09/10/2017, n. 23532; Cass., Sez. V, 19/04/2013, n. 9582; Cass., Sez. IV, 23/07/2010, n. 17367).

4. La ricorrente mostra di conoscere e condividere tale indirizzo, ma sostiene che nel caso di specie vi sarebbe stata, da parte della CTR, proprio la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, da un lato, degli artt. 1362 e 1363 c.c., dall’altro lato dei principi generali del diritto amministrativo (anche in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3) in tema di atti di conferma.

5. Sotto il primo profilo, la sentenza della CTR avrebbe “essa stessa riconosciuto che il tenore letterale del provvedimento militava nel senso di una sua natura meramente confermativa” e tuttavia ne avrebbe “inammissibilmente offerto un’interpretazione difforme, che finisce con lo scavalcare platealmente e, ciò che qui più rileva, consapevolmente, la stessa voluntas chiaramente espressa in quel provvedimento, che era quella di dar vita a un esame del tutto nuovo (ancorchè destinato a confermare le precedenti conclusioni) della questione controversa” (pag. 15 del ricorso);

6. In tal modo, la sentenza avrebbe omesso di dare rilievo preminente alla regola dell’interpretazione letterale degli atti amministrativi, codificata dall’art. 1362 c.c., che autorizzerebbe l’interprete a integrare il testo dell’atto con elementi esogeni solo in caso di dubbi, e avrebbe altresì violato l’art. 1363 c.c., nella parte in cui impone di interpretare le clausole dell’atto le une per mezzo delle altre.

7. In realtà, quanto all’art. 1362 c.c., va ricordato che, secondo il consolidato e qui condiviso orientamento della S.C., la necessità ivi codificata di “indagare la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”, avendo riguardo al “comportamento complessivo” dei contraenti, comporta che il dato testuale del contratto, pur rivestendo un rilievo centrale, non sia necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, in quanto il significato delle dichiarazioni negoziali non è un prius, bensì l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore (Cass., sez. III, 15/07/2016, n. 14432).

8. Analoghi concetti sono stati espressi proprio da una delle pronunce citate dalla ricorrente a proposito dell’interpretazione dell’atto amministrativo (Cass., Sez. I, 27/01/2015, n. 1510), la quale ha bensì affermato la preminenza del canone letterale nell’interpretazione degli atti amministrativi, ma ha poi precisato che tale interpretazione letterale deve essere non solo compatibile con la natura stessa dei provvedimenti amministrativi, ma deve tenere conto anche del complesso dell’atto e del comportamento dell’autorità amministrativa.

9. Nel caso di specie, la CTR ha preso le mosse dall’elemento letterale, ma, ritenendo che lo stesso presentasse margini di equivocità, non si è ad esso limitato, ha analizzato l’atto nel suo complesso (art. 1363 c.c.) e lo ha riletto alla luce del comportamento tenuto dall’Amministrazione in precedenza (art. 1362 c.c., comma 2), giungendo alla conclusione che l’Amministrazione non avesse compiuto una nuova istruttoria e che dunque l’atto impugnato davanti a sè fosse meramente confermativo (o confermativo in senso improprio).

10. In tal modo, la sentenza impugnata risulta rispettosa delle norme di cui si assume la violazione.

11. Quanto alla presunta violazione dei principi generali del diritto amministrativo (anche in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3,) in tema di atti di conferma, la sentenza impugnata ha espressamente affermato, all’esito del procedimento ermeneutico sopra descritto, che dalla lettura dell’atto “non risulta che l’Amministrazione abbia proceduto ad espletare una autonoma e nuova valutazione tecnica sulla natura del prodotto sulla base di una nuova istruttoria, avendo l’A.F. semplicemente richiamato le precedenti argomentazioni. Ciò non è sufficiente a far ritenere il provvedimento dotato di quella “novità”, che lo renderebbe in ipotesi autonomamente impugnabile”.

12. In tal modo, la CTR ha mostrato di conoscere quella distinzione tra conferma propria e impropria dell’atto amministrativo, evocata dalla ricorrente e affermata dalla giurisprudenza, e ha ritenuto di dover leggere l’atto in questione come atto non innovativo ma confermativo in senso improprio.

13. Poichè tali conclusioni sono state raggiunte, come si è detto, all’esito di un procedimento interpretativo conforme alle regole ermeneutiche applicabili al caso di specie, esse devono considerarsi incensurabili in sede di legittimità.

14. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, e art. 36, nonchè dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., ritenendo che la motivazione della stessa sia meramente apparente.

15. Ora, è noto che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione è deducibile quale vizio di legittimità solo quando si concreti in una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e che ciò accade solo qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile (v. tra le tante Cass., Sez. VI, 25/09/2018, n. 22598).

16. Nella specie tali condizioni non ricorrono.

17. La sentenza impugnata, sia pure in modo sintetico e attraverso un parziale rinvio alle controdeduzioni svolte dall’Amministrazione in sede di costituzione in appello, controdeduzioni peraltro ampiamente riportate nella parte espositiva della sentenza stessa, ha illustrato le ragioni alla base della decisione in modo completo e chiaro, sottraendosi al vizio denunciato.

18. Il ricorso va pertanto rigettato.

19. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del grado, liquidandole in Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 4 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 1 luglio 2020

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