Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13366 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 44-2020 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIO GRAMEGNA;

– ricorrente –

contro

F.A., C.A. e SARA ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1936/2019 del TRIBUNALE DI NOLA, depositata il

23/9/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 23/9/2019, il Tribunale di Nola ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da F.A. e C.A., ha condannato P.F., in solido con la Sara Assicurazioni s.p.a., al risarcimento dei danni subiti dagli attori a seguito del sinistro stradale dedotto in giudizio, contestualmente rigettando la domanda proposta dal P. per la condanna delle controparti al risarcimento dei danni asseritamente subiti a seguito del medesimo sinistro;

a fondamento della decisione assunta, il giudice d’appello – rilevata, preliminarmente, la mancata violazione, da parte del primo giudice, delle norme processuali concernenti la dedotta litispendenza, o il preteso difetto di integrazione del contraddittorio – ha rilevato la correttezza della decisione del giudice di primo grado nella parte in cui aveva individuato il P. quale unico ed esclusivo responsabile del sinistro dedotto in giudizio;

avverso la sentenza d’appello, P.F. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

nessun intimato ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., P.F. ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il tribunale erroneamente omesso di rilevare la violazione delle norme concernenti la litispendenza, atteso che, rispetto alla domanda proposta da F.A. e C.A. dinanzi al Giudice di pace di Sant’Anastasia, la diversa domanda proposta dal P. dinanzi al Giudice di pace di Marano era stata proposta in epoca anteriore, con la conseguenza che le due cause, invece di essere condotte dinanzi al Giudice di pace di Sant’Anastasia (come nella specie avvenuto), avrebbero dovuto essere portate alla cognizione del Giudice di pace di Marano (in forza del principio della prevenzione statuito dall’art. 39 c.p.c.), a nulla rilevando la circostanza che quest’ultimo si fosse medio tempore dichiarato incompetente;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva il Collegio come, nel caso di specie, a seguito della dichiarazione di incompetenza formalmente resa dal Giudice di pace di Marano sulla domanda proposta da P.F. nei confronti di F.A. e dell’Allianz Subalpina Assicurazioni s.p.a., e a seguito della riassunzione avvenuta dinanzi al Giudice di pace di Sant’Anastasia, fosse radicalmente venuta meno ogni presupposto per l’eventuale riconoscimento, da parte di quest’ultimo Giudice di pace, di alcuna ipotesi di litispendenza rilevante ai sensi dell’art. 39 c.p.c. (ammesso che di effettiva litispendenza si trattasse, ciò che non era nel caso in esame), essendo unicamente residuata (a seguito della dichiarazione di incompetenza da parte del Giudice di pace di Marano) la contemporanea pendenza, dinanzi al medesimo giudice, di due cause tra le medesime parti aventi a oggetto, da un lato, la ricostruzione del medesimo fatto dannoso, e dall’altro le due diverse richieste risarcitorie vicendevolmente proposte dall’una parte nei confronti dell’altra;

ciò posto, essendo venuta meno ogni (eventuale) questione di competenza tra uffici giudiziari diversi, del tutto correttamente il Giudice di pace di Sant’Anastasia ha provveduto alla riunione delle due cause connesse pendenti dinanzi a sè, e alla relativa decisione in un unico processo, senza incorrere in alcuna violazione delle norme in questa sede erroneamente richiamate dall’odierno ricorrente;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 114, nonchè dell’art. 354 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il tribunale erroneamente omesso di rilevare la mancata integrazione del contraddittorio dinanzi al giudice di pace, avendo quest’ultimo trascurato, una volta acquisita in giudizio la prova del difetto di legittimazione passiva dell’Allianz Subalpina Assicurazioni s.p.a. (originariamente convenuta in giudizio dal P.), di chiamare la compagnia assicuratrice effettivamente titolare del rapporto controverso a integrare il contraddittorio;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva il Collegio come il contraddittorio sulla domanda originariamente proposta da P.F. nei confronti di F.A. e dell’Allianz Subalpina Assicurazioni s.p.a. fosse stato, dinanzi al primo giudice, pienamente e correttamente integrato, avendo l’attore ritualmente chiamato a difendersi, in giudizio, l’asserito responsabile civile dei danni subiti a seguito del sinistro stradale dedotto, e la compagnia assicuratrice asseritamente tenuta a mallevare detto convenuto;

ciò posto, la circostanza dell’avvenuta acquisizione, in corso di causa, della prova del difetto di legittimazione passiva dell’Allianz Subalpina Assicurazioni s.p.a. (per esser risultata, non quest’ultima, ma un’altra compagnia assicuratrice tenuta a manlevare il F.), imponeva al giudice adito, non già l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’effettiva compagnia assicuratrice del F., bensì la dichiarazione, con sentenza, dell’infondatezza della domanda originariamente proposta dal P. nei confronti dell’Allianz Subalpina Assicurazioni s.p.a., senza alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’altra compagnia assicuratrice, attesa (come detto) la piena integrità di tale contraddittorio sin dall’originaria instaurazione del giudizio;

è appena il caso di osservare come la nozione di integrità del contraddittorio non alluda propriamente alla necessaria partecipazione al processo delle effettive parti sostanziali del rapporto controverso (ciò che necessariamente risulterà “a valle” dell’intero accertamento giudiziale), ma unicamente di quelle parti indicate dall’attore quali (asserite) titolari del rapporto dedotto in giudizio, o di quelle che, sulla base delle indicazioni dello stesso attore, a detto contraddittorio sono per legge tenute a partecipare;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere il tribunale erroneamente ricostruito i contenuti delle prove testimoniali acquisite, attribuendo, alle dichiarazioni dei testi assunti, il resoconto di circostanze inesistenti, e per avere, in ogni caso, erroneamente proceduto alla relativa interpretazione;

il motivo è inammissibile;

dev’essere preliminarmente osservato, come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, può configurare un travisamento, denuncia-bile solo con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, mentre è sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove si ricolleghi ad una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti (Sez. 3, Sentenza n. 4893 del 14/03/2016, Rv. 639444 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 19921 del 14/11/2012, Rv. 624476 – 01);

ciò posto, deve escludersi l’ammissibilità di eventuali censure che attengano all’errata percezione, da parte del giudice di merito, dei corretti contenuti delle fonti probatorie esaminate, dovendo in tal caso assumersi, detto errore, alla stregua di un errore revocatorio denunciabile unicamente con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4;

ferma tale premessa – e pervenendo all’esame del denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

ciò posto, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì l’omessa valutazione, da parte del giudice a quo, di una fonte probatoria, ovvero di un fatto implicitamente ritenuto privo di rilevanza probatoria idonea a disarticolare il ragionamento sui fatti di prova selezionati e valorizzati nella sentenza impugnata, ovvero di un fatto implicitamente ritenuto privo di rilevanza sul piano della costruzione dogmatica della fattispecie, con la conseguente radicale insussistenza dell’omissione denunciata;

in tal senso, varrà rilevare l’inammissibilità della censura in esame, avendo il ricorrente propriamente trascurato di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del giudice a quo, delle occorrenze di fatto asseritamente dallo stesso trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

osserva il Collegio, pertanto, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità;

quanto alla pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., osserva il Collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) sia idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime) (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01);

peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01);

nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) – si è limitato a denunciare un (pretesa) cattivo esercizio, da parte del tribunale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica anch’essa del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo nessuno degli intimati svolto difese in questa sede;

dev’essere altresì attestata della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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