Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13366 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 17/06/2011), n.13366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.D., domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 12 3,

presso lo studio dell’avvocato IOZIA MARCO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MOSCHELLA EPIFANIO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TADRIS PATRIZIA, STUMPO VINCENZO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/2007 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 12/02/2007 r.g.n. 256/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO per delega TADRIS PATRIZIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammifessibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata, in accoglimento dell’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Messina n. 3547/04 del 10 novembre 2004, rigetta la domanda di D. S. diretta alla concessione del sussidio LSU per il periodo ottobre 1996-maggio 1997 in cui lo stesso ha svolto attività di lavoro subordinato a tempo parziale.

La Corte d’appello di Messina precisa che:

a) secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità il sussidio per LSU è incompatibile, al pari dell’indennità di mobilità, con il reddito da attività lavorativa, sia pure a tempo parziale;

b) ciò in quanto la fattispecie è stata regolata in tal senso a partire dall’emanazione del primo decreto legge in materia, reiterato senza soluzione di continuità da successivi decreti legge non convertiti i cui effetti sono stati infine fatti salvi, con clausola di ampia portata;

c) conseguentemente, la domanda proposta dal S. va rigettata, visto che è pacifico che nel periodo per il quale chiede la corresponsione del sussidio per LSU ha svolto contemporaneamente attività lavorativa alle dipendenze della ditta SA.FRA. 2.- Il ricorso di S.D. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, l’INPS, che deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia:

a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione;

b) violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. Si contesta il passo della motivazione della sentenza nel quale la Corte d’appello da per pacifico l’avvenuto svolgimento, da parte del S., di attività lavorativa presso la ditta SA.FRA contemporaneamente alla attività lavorativa come LSU, senza che sia stata data alcuna prova a sostegno di tale circostanza dedotta dall’INPS. L’Istituto, infatti, si sarebbe limitato ad ipotizzare lo svolgimento di un’attività part-time, ma non ne ha fornito la prova, come avrebbe dovuto in base all’art. 2697 cod. civ., trattandosi di un fatto diverso da quello dedotto nella domanda attorea.

Del resto, anche nella sentenza di primo grado è stato evidenziato che la deduzione dell’INPS in argomento è rimasta priva di qualsivoglia riscontro istruttorio.

Ne consegue sul punto la sentenza impugnata appare in contrasto non solo con l’art. 115 cod. proc. civ. – che impone al giudice di decidere sulla base delle prove proposte dalle parti – ma anche con l’art. 360 c.p.c., n. 5, visto che in essa manca qualsiasi riferimento alla carenza di prova rilevata dal Tribunale.

2.- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 14 del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 1 e della L. n. 223 del 1991 art. 8, comma 7.

Si sostiene che la Corte d’appello ha interpretato male la normativa (D.L. n. 299 del 1994, art. 14 e successive modificazioni) che rinvia alla disciplina in materia di indennità di mobilità per il sussidio da corrispondere ai soggetti addetti ai lavori socialmente utili, laddove ha ritenuto di poter fare applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 8 nella parte in cui prevede la sospensione dell’indennità di mobilità per le giornate di lavoro subordinato part-time.

Infatti, il suddetto rinvio che accomuna i due istituti dal punto di vista del trattamento contributivo – essendo entrambi computabili ai fini della contribuzione figurativa – non incide sulla diversità dei presupposti che, rispettivamente, caratterizzano l’indennità di mobilità e il sussidio per LSU. In particolare, chi percepisce l’indennità di mobilità è fuori dal processo produttivo e non rende alcun tipo di prestazione in favore della collettività, invece chi effettua LSU senza ricevere CIGS o indennità di mobilità ma solo il sussidio presta un’attività lavorativa, tanto è vero che si prevede la possibilità di integrazione del sussidio per le giornate di effettiva esecuzione della prestazione.

Di ciò si trova conferma anche nel D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8 non applicabile nella specie ratione temporis, ma di cui si può tenere conto ai fini interpretativi anche per il passato, visto che i lineamenti fondamentali dell’istituto non sono stati modificati – che prevede la possibilità di cumulare il trattamento percepito per LSU con la retribuzione per un lavoro dipendente part-time, purchè non vi sia interferenza.

3.- I motivi che – per la loro intima connessione possono essere trattati congiuntamente -sono inammissibili perchè la loro formulazione non è conforme all’art. 366-bis cod. proc. civ. (applicabile nella specie ratione temporis).

La suddetta disposizione, nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dicta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (vedi per tutte: Cass. 25 febbraio 2009. n. 4556).

4.- Nella specie, il suindicato principio non è stato rispettato in quanto, per i profili di censura riguardanti asserite violazioni di legge, manca il conclusivo quesito di diritto.

D’altra parte, la denuncia di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, è sfornita della prescritta individuazione del fatto controverso in relazione al quale si sarebbe riscontrato il lamentato vizio, con la conseguente focalizzazione della questione di diritto essenziale per la decisione, che in ipotesi sarebbe stata pretermessa ovvero male esaminata (Cass. SU 30 ottobre 2008, n. 26014), tanto più che la suddetta doglianza appare piuttosto sostanziarsi in una inammissibile critica al vaglio del materiale probatorio, istituzionalmente riservato al giudice del merito, secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte (vedi, per tutte, da ultimo: Cass. 26 gennaio 2011. n. 1789;

Cass. 19 aprile 2011, n. 8965).

5.- In sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla deve statuirsi in punto di spese, in quanto la domanda introduttiva del giudizio è stata proposta prima del 2 ottobre 2003.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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