Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13364 del 28/06/2016
Cassazione civile sez. VI, 28/06/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 28/06/2016), n.13364
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10856-2015 proposto da:
ARRICHIELLO CIRO SRL, in persona del legale rappresentante pro
tempore, amministratore unico, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA G.P. DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato RINALDO
GEREMIA, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO TABARRO
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza a 10508/28/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di NAPOLI dell’1/12/2014, depositata il 03/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
25/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.
Fatto
IN FATTO E IN DIRITTO
Arrichiello Ciro ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi contro la sentenza resa dalla CTR della Campania che ha rigettato il ricorso della società contro l’avviso di accertamento notificatogli per la ripresa a tassazione di IVA, IRPEF e IRAP per l’anno 2008.
Esaminate le difese espresse dall’Agenzia delle entrate in controricorso, il primo motivo è palesemente infondato quanto ai tributi diretti, mentre per quel che riguarda l’IVA sono necessarie le seguenti precisazioni.
Ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24823, depositata il 9 dicembre 2015, esaminando la questione, rimessa da questa sottosezione con ordinanza interlocutoria n. 527/2015, hanno chiarito che le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni.
Nella medesima occasione le Sezioni Unite hanno chiarito che “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.
Orbene, la decisione impugnata non si pone in contrasto con gli enunciati principi di diritto relativi ai tributi diretti.
Ha, infatti, correttamente escluso l’annullamento dell’atto impositivo dedotto in controversia per difetto di contraddittorio endoprocedimentale quanto all’IRPEF e IRAP, venendosi pacificamente in tema d’indagine “a tavolino”, non sussistendo alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale.
Quanto invece all’accertamento a fini IVA, seguendo i principi espressi dalle S.U., in effetti la CTR avrebbe dovuto verificare, in assenza di contraddittorio endoprocedimentale, l’assolvimento, da parte della società contribuente, dell’onere di specifica enunciazione delle ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo.
La CTR avrebbe infatti dovuto verificare che il contribuente aveva assolto l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, ed ancora che “…l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto “-cfr.Cass.S.U.n.24823/2015-. E solo in Tale ipotesi il giudice di appello avrebbe potuto ritenere illegittimo l’accertamento quanto all’IVA. Il secondo motivo è palesemente infondato.
La CTR ha ritenuto di escludere l’esame delle questioni già esposte in primo grado dalla parte contribuente, puntualmente riprodotte ai fini dell’autosufficienza, nel ricorso per cassazione. In ciò non ha violato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56. Questa Corte ha infatti affermato che nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure “per relationem”, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicchè non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale – cfr. Cass. n. 24267/2015; Cass.n.26830/14-.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile non risultando che la questione relativa alla validità dell’atto impugnato, sotto il profilo del difetto della qualifica funzionale necessaria per la sottoscrizione dell’atto accertativo, sia stata proposta innanzi al giudice di merito.
Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo per quanto di ragione la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata ad altra sezione della CTR della Campania per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Code, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..
Accoglie il primo motivo per quanto di ragione rigetta il secondo e dichiara inammissibile il terzo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CM della Campania per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 25 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016