Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13363 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26854-2019 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato INZERILLO LUCA BENEDETTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 6319/2019 del TRIBUNALE DI PALERMO, depositato

il 18/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con decreto reso in data 18/7/2019, il Tribunale di Palermo, in accoglimento della domanda proposta da D.S., ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore del D., della somma di Euro 56,00, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno per essere stato il D. sottoposto a un regime di detenzione personale in condizioni inumane e degradanti;

a fondamento della decisione assunta, il Tribunale di Palermo, dopo aver accertato l’avvenuta assicurazione, a beneficio del D., durante il relativo stato di detenzione presso la Casa Circondariale ‘Pagliarellì di Palermo, di uno spazio personale pari a mq. 9,35, nel periodo di soggiorno da solo all’interno della cella, e di mq. 4,67, nei periodi di soggiorno con un altro detenuto, ha viceversa rilevato come, nel periodo di detenzione presso la Casa Circondariale di Vigevano (pari a sette giorni), lo spazio personale reso disponibile al D. fosse stato, al contrario, pari a mq. 2,6 e, dunque, inferiore al parametro di almeno mq. 3,00 di spazio personale individuato dalla Corte EDU quale soglia minima necessaria al fine di escludere il ricorso di un trattamento degradante contrario ai diritti sanciti dalla CEDU;

ciò posto moltiplicati, i sette giorni di detenzione qualificabile come inumana e degradante, per l’importo pari a otto Euro stabilito dalla L. n. 354 del 1975, art. 35-ter, il giudice a quo ha pronunciato la condanna descritta nell’importo sopra indicato;

avverso il decreto del Tribunale di Palermo, D.S. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione; il Ministero della Giustizia resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione degli artt. 702-bis702-ter c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il giudice a quo erroneamente utilizzato, ai fini della decisione, una relazione della Casa Circondariale di Palermo depositata dalla controparte senza alcuna autorizzazione del giudice ed oltre i termini dello stesso stabiliti, con la conseguente nullità della decisione impugnata in relazione alle parti fondate su tale atto istruttorio inutilizzabile;

il motivo è inammissibile;

al riguardo – ferma l’insussistenza, nell’ambito del procedimento regolato dagli artt. 737 c.p.c. e ss. (nelle cui forme è destinato a svolgersi il giudizio in esame, ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 35-ter, comma 3) di alcuna formale preclusione nell’assunzione dei mezzi istruttori – varrà rilevare come, nel caso di specie, trovi applicazione il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali (sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4) non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Sez. 5, Sentenza n. 26831 del 18/12/2014, Rv. 634236 – 01; Sez. L, Sentenza n. 6330 del 19/03/2014, Rv. 630071 – 01);

nel ridetto vizio di inammissibilità deve, conseguentemente, ritenersi incorsa l’odierna censura, non avendo il ricorrente prospettato in alcun modo le ragioni per le quali la (pretesa) erronea applicazione delle regole processuali avrebbe comportato un qualche indebito pregiudizio per la parte interessata;

con il secondo motivo, il ricorrente censura il decreto impugnato per violazione della L. n. 354 del 1975, art. 35-ter (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il Tribunale di Palermo affermato erroneamente la non detraibilità, dallo spazio personale utilizzabile dal detenuto, dell’area occupata dai letti, in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, viceversa incline ad escludere tale area dallo spazio personale fruibile dal detenuto, con la conseguente erronea determinazione degli importi dovuti a titolo risarcitorio;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come il ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

nella specie, pur avendo il Tribunale di Palermo affermato, in astratto, di ritenere opportuna la considerazione dell’area occupata dei letti, collocati all’interno della cella, come spazio liberamente fruibile dal detenuto (in senso contrario a quanto in precedenza affermato da questa Corte: cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 1170 del 21/01/2020, Rv. 656636 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 4096 del 20/02/2018, Rv. 647236 01), lo stesso ha di seguito comunque evidenziato di aver calcolato lo spazio personale concretamente fruito dal D. nella Casa Circondariale di Palermo detraendo, dalla complessiva dimensione delle celle in cui lo stesso fu ristretto, l’intero spazio indicato a titolo di arredi fissi, in tale spazio ricomprendendo anche l’area occupata dai letti (che la relazione utilizzata ai fini della decisione non aveva in alcun modo distinto da alcun altro elemento di arredo ‘fissò), sì da giungere, di fatto, a sottrarre, dall’ambito dello spazio liberamente fruibile dal detenuto, anche l’area occupata dai letti;

in forza di tali premesse, pertanto, l’odierna censura del ricorrente, nel riproporre la questione dell’erronea determinazione, da parte del giudice a quo, dell’importo risarcitorio spettante al D., non avendo il giudice detratto, dall’area complessiva della cella, lo spazio occupato dai letti, dimostra di non essersi punto confrontata con la decisione impugnata (viceversa conforme all’odierna rivendicazione del ricorrente), con la conseguente inammissibilità della censura per le specifiche ragioni in precedenza indicate;

sulla base delle argomentazioni indicate, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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