Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13362 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 17/06/2011), n.13362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

DE SANCTIS 4, presso lo studio dell’avvocato TENCHINI GIUSEPPE, che

lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, RASPANTI RITA,

che lo rappresentano e difendono, giusta procura speciale notarile in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3865/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/11/2006 R.G.N. 7148/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FABBI RAFFAELA per delega RASPANTI RITA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in data 6-11-2000 D.C.V., premesso di essere titolare di rendita per inabilità del 15% derivante da infortunio sul lavoro occorso il (OMISSIS) (lesione del ginocchio sinistro), adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, esponendo che l’INAIL, in sede di revisione, gli aveva comunicato il 16-3-1999 che lo stato dei postumi era risultato immodificato, con grado di inabilità pari al 15%, e di avere proposto opposizione con esito negativo.

Il ricorrente chiedeva pertanto che fosse dichiarato che egli, in conseguenza dell’infortunio denunciato, aveva riportato una inabilità permanente valutabile nella misura complessiva del 20 % e che l’INAIL fosse condannato alla erogazione della rendita corrispondente, con gli interessi legali e quant’altro di competenza.

L’INAIL si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto del ricorso.

Il Giudice adito, con sentenza in data 5-ll-2001 depositata il 26-8- 2002) respingeva il ricorso e dichiarava non ripetibili le spese di lite.

Il D.C. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

L’INAIL si costituiva eccependo la nullità dell’appello e nel merito chiedendo il rigetto dello stesso.

Rinnovata la CTU medico – legale, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 13-11-2006, respingeva il ricorso e dichiarava irripetibili le spese del grado, ponendo a carico dell’Inail quelle di CTU. In sintesi la Corte territoriale, respinta l’eccezione di nullità dell’appello, sulla base delle conclusioni della consulenza d’ufficio espletata in sede di gravame (che in sostanza aveva confermato le risultanze tecniche emerse in primo grado), rilevava che “il CTU pur dando atto che a seguito del trauma subito il D.C. ha visto aggravarsi il suo stato gonartrosico, ha escluso che, rispetto a quanto accertato inizialmente, si sia realizzato un peggioramento rilevante”.

Per la cassazione di tale sentenza il D.C. ha proposto ricorso con un unico motivo.

L’INAIL ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione e violazione di legge, lamenta che la sentenza impugnata avrebbe ignorato l’intervenuto aggravamento della gonartrosi che il CTU di secondo grado ha riferito come sussistente, pur ritenendolo in sostanza “non significativo per i fini in questione”.

Il ricorrente, in sostanza, deduce che il CTU e la Corte di merito non avrebbero valutato “la concorrenza dell’artrosi al ginocchio destro aggravatasi in termini molto più rapidi a causa del maggior lavoro cui l’arto sano è stato sottoposto per supplire alle carenze funzionali di quello sinistro” e lamenta in sostanza la “omessa quantificazione, in termini di grado percentuale” del detto aggravamento, sulla base della mera argomentazione della irrilevanza dello Stesso.

Il ricorrente si duole, infine, che la Corte territoriale sul punto non ha disposto un rinnovo della consulenza d’ufficio espletata in secondo grado e neppure ha invitato il CTU a svolgere un supplemento di perizia.

Le censure non meritano accoglimento.

Come è stato ripetutamente affermato da questa Corte e va qui ribadito, “qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, affinchè i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni il logiche e scientificamente errate, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico; al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice” (v.

fra le altre Cass. 17-4-2004 n. 7341, Cass. 28-10-2003 n. 16223, Cass. 25-6-2004 n. 11894).

Le conclusioni, quindi, “del consulente tecnico d’ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico- legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali che, in quanto tale, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico-legale e rientra tra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”. (v. Cass. 1-8-2002 n. 11467, Cass. 3-7-2003 n. 10552, Cass. 13-8-2004 n. 15796).

Peraltro, come pure è stato precisato “rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità” (cfr.

fra le altre Cass. 10-6-1998 n. 5777, Cass. 6-4-2001 n. 5142, Cass. 17-2-2004 n. 3004, Cass. 2-3-2006 n. 4660), neppure sotto il profilo della carenza di motivazione quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza risulti comunque l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta (v. Cass. 5-6-2001 n. 7594, Cass. 10-3-2006 n. 5277).

Orbene nella fattispecie la Corte di merito, dopo aver richiamato le conclusioni del CTU nominato in secondo grado, risultate conformi a quelle emerse in primo grado, ha attentamente considerato la doglianza dell’appellante circa la mancata quantificazione del peggioramento pur rilevato dal CTU, ed all’uopo ha evidenziato che lo stesso ausiliare ha escluso che detto peggioramento potesse essere significativo e rilevante, e ciò sia da un punto di vista clinico che strumentale.

La corte territoriale inoltre ha rilevato che dalla relazione si evince che il CTU ha tenuto ben presente non solo la riduzione della funzionalità del ginocchio sinistro ma anche “la possibilità del D.C. di deambulare solo con appoggio, per cui, in difetto di più specifici rilievi, non vi sono elementi per affermare che gli esiti disfunzionali dell’infortunio del (OMISSIS) non siano stati correttamente valutati”.

Tale accertamento di fatto, congruamente motivato, resiste alle censure del ricorrente, che per il resto costituiscono soltanto un “mero dissenso diagnostico”.

Il ricorso va così respinto.

Infine sulle spese non si provvede, ratione temporis, in base al testo originario dell’art. 152 disp. att. c.p.c., vigente anteriormente al D.L. n. 269 del 2003 conv. in L. n. 326 del 2003, essendo la nuova disciplina applicabile ai soli ricorsi conseguenti a fasi di merito introdotte in epoca posteriore all’entrata in vigore dell’indicato decreto legge (2-10-2003) (v. Cass. 30-3-2004 n. 6324, Cass. 12-12-2005 n. 27323).

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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